Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
4AD
Anno: 
1992
Line-Up: 

- Ian Masters - Voce, Basso
- Graeme Naysmith - Chitarra
- Chris Cooper - Batteria
- Meriel Barham - Voce, Chitarra

Tracklist: 

1. Throwing Back the Apple
2. Ordeal
3. Thread Of Light
4. Shell
5. There Is No Day
6. Hunted
7. Hair Shoes
8. Babymaker
9. Liquid
10. Neverending Night
11. Featherframe
12. A Thousand Stars Burst Open

Pale Saints

In Ribbons

Quando nel 1985 i The Jesus & Mary Chain pubblicarono Psychocandy, nessuno avrebbe mai immaginato che da quelle devianti intuizioni sonore (allo stesso tempo affiancate dall'indelebile lezione onirica dei Cocteau Twins) sarebbe scaturita una delle più affascinanti correnti del rock moderno, ironicamente definita "shoegaze", che trovò nella magia eterea dei My Bloody Valentine la sua prima, vera, grande esplosione. Di lì in poi, un'esponenziale crescita e consolidamento artistico che finì per avvolgere sempre più act e musicisti nel suo fumoso alone: Ride, Slowdive, Lush, Chapterhouse e quei Pale Saints che fin troppe volte (e a torto) vengono oscurati quando si parla di shoegaze. Nati - come quasi tutti i complessi appartenenti a tale tendenza - nel 1987 in Gran Bretagna per volere del bassista/cantante Ian Masters, del chitarrista Graeme Naysmith e del drummer Chris Cooper, i Pale Saints divennero uno dei tanti fiori all'occhiello del movimento noise-pop/shoegaze che nei primi anni '90 donò alla storia del rock contemporaneo alcune delle sue pagine più innovative e affascinanti.

Messi sotto contratto dalla 4AD - etichetta mecenate di dream pop e derivati - i Pale Saints giungono nel 1990 alla pubblicazione del primo full-lenght The Comfort Of Madness, disco energico e sognante ma ancora incapace di evolversi in un linguaggio peculiare e distaccato dai canoni del genere. Il 1992 segna al contrario l'anno del passo in avanti e della grande maturazione stilistica: nello stesso periodo in cui il capolavoro Loveless dei My Bloody Valentine comincia a spopolare nei locali underground britannici, Masters e soci portano a termine In Ribbons, una delle opere più mesmerizzanti, ipnotiche e toccanti di tutto il movimento shoegaze.

Arricchita la line-up con l'arrivo di Meriel Barham (singer dei connazionali Lush), i Pale Saints compiono un notevole miglioramento compositivo e stilistico, spingendo l'acceleratore sull'atmosfera e anche su quell'intensità drammatica che nel precedente The Comfort Of Madness era obliata da un mood più energico ma sicuramente meno incisivo sotto il profilo emotivo. Le geometrie di Masters si fanno qui più graffianti e "pensate", il ritmo si presenta con fattezze più dinamiche e varie, le linee di chitarra aumentano vertiginosamente di spessore senza però mai cadere nella solita e scontata orgia effettistica, disegnando melodie toccanti e dal travolgente vigore atmosferico: sempre più lontano dallo shoegaze d'impronta pop, In Ribbons si proietta in una dimensione estremamente personale e coinvolgente, in grado di scardinare la più tipica forma-canzone oltre che di allontanarsi in parte dagli ormai fissati paradigmi dello shoegaze. Ne sono esempio i due gioielli assoluti del disco, Shell e Hair Shoes, non solo migliori brani presenti su In Ribbons ma tra le migliori composizioni nell'intera storia del genere. Shell è una ballata lenta, malinconica e dall'inesauribile forza evocativa: lanciata da una commovente apertura di chitarra acustica e violoncello (apparizione insolita nelle gerarchie strumentali dello shoegaze), il brano si scioglie in ipnotici refrain su cui si impone il tono morbido e suadente di Masters, egregiamente accompagnato dal sottofondo strumentale in cui la chitarra di Naysmith disegna accoglienti cornici atmosferiche all'insegna di una melanconica psichedelia. Anche Hair Shoes è una ballata (anch'essa, come la sopracitata, priva di qualsiasi riferimento ritmico), ma dai risvolti atmosferici completamente differenti: mentre Shell era resa quasi più "tangibile" e concreta dalla sezione acustica chitarra-violoncello, Hair Shoes è completamente immersa in un afrodisiaco rituale elettrico, devastante tanto nella potenza emotiva quanto nello slancio atmosferico (le trovate chitarristiche di Naysmith sono qui più geniali e penetranti che mai).

Esclusi i suoi due più grandi gioielli, In Ribbons - durante i restanti episodi - si dimostra sicuramente più legato alla grande tradizione shoegaze britannica, sebbene ne operi con classe una fascinosa rielaborazione, soprattutto in chiave melodica: il groove dell'opener Throwing Back the Apple e quello più straniante di Hunted, il frastuono strumentale della successiva Ordeal o ancora i più ricercati fraseggi armonico-melodici di Thread Of Light (in cui fa per la prima volta apparizione la Barham) sono palesi esempi della capacità con cui i Pale Saints abbiano saputo reinterpretare lo shoegaze in uno stile tanto legato agli stilemi del genere (le coordinate stilistiche erano identiche e fondamentali per qualunque complesso di quel tipo) quanto in grado di trasformarne le strutture in un linguaggio toccante e personale. Con grande varietà espressiva e creativa, Masters riversa in ogni canzone la sua stessa essenza nella maniera più sincera e toccante, sia che si tratti di insanabili dolori interiori e di inquietudini esistenziali (i toni misteriosi della splendida Liquid e le più ricercate evoluzioni atmosferiche dell'altro gioiello Neverending Night), sia di ricordi solari e aperture ariose (il dinamismo di Babymaker, la dolcezza di A Thousand Stars Burst Open, episodio conclusivo del disco), dimostrandosi cantautore estremamente introverso e riflessivo ma al contempo dall'ammaliante talento creativo; pochi saranno infatti, in termini tanto "spirituali" quanto musicali, i personaggi dello shoegaze che riusciranno ad avvicinarsi anche minimamente all'unicità della figura di Masters, tra i più particolari personaggi del rock anni '90 oltre che colonna portante di una band straordinaria e fin troppo spesso sottovalutata.

Tanto che quando Ian Masters lascerà la band nel 1993 - ovvero subito dopo la distribuzione di In Ribbons - i Pale Saints riusciranno a resistere per un solo anno, pubblicando un disco (Slow Buildings) lontano anni luce dalla bellezza cristallina di quel capolavoro che trascinò lo shoegaze e tutta la nuova psichedelia europea verso uno dei suoi più ampi e affascinanti orizzonti.

 

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