Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Inside Out/Audioglobe
Anno: 
1999
Line-Up: 

- Daniel Gildenlöw - voce solista e chitarra

- Fredrik Hermansson - tastiera

- Johan Langell - batteria, percussioni, voce

- Kristoffer Gildenlöw - basso, voce

- Johan Hallgren - chitarra




Tracklist: 

1. Spirit Of The Land (0:43)

2. Inside (06:12)

3. The Big Machine (04:21)

4. Handful Of Nothing (05:37)

5. New Year's Eve (05:37)

6. Water (05:05)

7. Home (05:44)

8. Black Hills (06:32)

9. Shore Serenity (03:17)

10. Pilgrim (03:13)

11. Inside Out (06:37)

Pain of Salvation

One Hour by the Concrete Lake

Dopo il favoloso debutto con Entropia, in cui l’idea di un concept album era solo fievole poiché il materiale assemblato era troppo discostante nella sfera lirica, gli svedesi Pain of Salvation cambiano completamente rotta con quello che diverrà l’emblema del nuovo pensiero di Daniel e compagni: One Hour by the Concrete Lake è la prima storia introspettiva inventata dalla band, il primo viaggio interiore affrontato per comprendere meglio noi stessi.
One Hour by the Concrete Lake racconta la vicenda di un uomo che lavora in una fabbrica d’armi: egli costruisce le armi che poi saranno impiegate in guerra per uccidere e, quando comprende che la sua passività al sistema sta provocando solo vittime, compie un viaggio giungendo fino alle sponde del lago Karachay, dove troverà le risposte che cerca da troppo tempo. I temi approfonditi da Daniel Gildenlow sono l’indifferenza della società a ciò che la circonda e il comportamento dell’occidente rispetto a molti ambiti dell’esistenza. Ma bisogna essere parte della macchina per poterla cambiare da dentro…e così nasce l’idea dell’album One Hour by the Concrete Lake, diviso in tre capitoli.
Dodici tracce di estrema raffinatezza progressiva che uniscono aggressività e melodia, facendo intrecciare le parti e risultando così contorte ma affascinanti.

L’introduzione atmosferica Spirit of the Land immette nella vorticosa Inside, canzone caratterizzata da veloci scale di pianoforte che si susseguono senza tregua sopra i tempi dispari disegnati dal tessuto musicale; la straordinaria tecnica dei membri si percepisce già all’inizio del full-lenght, poiché il song-writing è completo ed efficace, non lasciando nulla al caso. Il brano rimane sommesso per poi esplodere nella seconda parte, dove protagonista è la voce acuta e mai inespressiva di Daniel, il miglior strumento in possesso della formazione scandinava.
The Big Machine, dal ritmo lento, è un pezzo cupo e buio, in cui emergono spettrali cori dalle parvenze medievali: le reminescenze vocali dei Symphony X non sono seguite dalla rapidità del brano, in quanto ad aumentare a dismisura è solo l’estensione tonale di Daniel, capace di inserirsi perfettamente su riff complessi e intrisi di pura follia progressiva.
Gli arpeggi tenebrosi di New Year’s Eve si tramutano in raffiche di chitarra impetuose e contraddistinte da un ritmo intricato e tirato, in cui si possono ammirare le magie tecniche del quintetto svedese e passaggi inaspettati, sempre in grado di fare la differenza all’interno dello stile dei Pain of Salvation. Molto più legata alle influenze dei nuovi gruppi Progressive, quali Threshold e Vanden Plas, è Handful of Nothing, provvista di un approccio originale, perché vario e mai scontato; non mancano le aperture melodiche di notevole fattura, costruite con l’apporto delle tastiere onnipresenti ed azzeccate negli interventi in primo piano.

E se Water addolcisce l’atmosfera con le distensioni, le spruzzate toccanti di pianoforte e i virtuosismi della chitarra elettrica, Home risulta canzone a tratti spinta ad elevati livelli ritmici, coinvolgendo a pieno l’ascoltatore nei meandri contorti e diventando riflessiva nelle sezioni più spalmate.
Il Progressive elegante e mai banale dei Pain of Salvation si sviluppa ancora nei brani seguenti, tra cui spiccano Pilgrim, commovente e ricercata ballata acustica scandita dalla voce soave e dagli archi di sottofondo, e la penultima Inside Out, l’episodio più inatteso per la sua velocità impressionante e per la direzione che assume nei suoi dodici minuti di durata. L’evoluzione continua della band ha portato alla conclusione di One Hour by the Concrete Lake: numerose le parti meste, ma ricche di quella potenza unita a passione che rende grandioso e unico il sound dei Pain of Salvation.
Il concept fa sgorgare emozioni da ogni sua traccia, riprendendo i temi di base e mutandoli verso luoghi musicali inesplorati: qui sta la capacità del combo, sempre più vicino a raggiungere il massimo apice del Progressive mondiale, ma troppo poco conosciuto. Gli amanti dei sopravvalutati Dream Theater rimarranno sicuramente impressionati dalla nuova realtà emergente nord europea, esperta e consapevole delle proprie potenzialità: un Progressive ragionato e non costituito solo da pura tecnica senza sentimento.

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