Voto: 
7.3 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Alone Records
Anno: 
2011
Line-Up: 

- Marco Serrato Gallardo - Voce, Basso
- Ricardo Jiménez Gómez - Chitarra
- Borja Díaz Vera - Batteria

Tracklist: 

1. Alto Padre
2. Taurus
3. Iatromantis
4. Hani Ba'al
5. Ábrase la Tierra

Orthodox

Baal

Quarto disco per il trio spagnolo Orthodox, come al solito sotto Alone Records, etichetta che li accompagna fin dal loro debutto datato 2006.

“Baal” è un episodio che segna un'inversione di tendenza rispetto al percorso compiuto dalla band nei suoi tre precedenti capitoli: se “Sentencia” (2009) era stato il culmine di una ricerca musicale che aveva portato i sivigliani a suonare praticamente del Free Jazz, “Baal” è un brusco ritorno al passato. Idealmente, infatti, è il disco che ci si sarebbe magari aspettati dopo “Gran Poder” (2006) e prima di “Amanecer En Puerta Oscura” (2007, il loro capolavoro).

Il nuovo album di Marco Serrato Gallardo, Ricardo Jiménez Gómez e Borja Díaz Vera riporta infatti prepotentemente coi piedi ben saldi a terra il suono e le strutture di un gruppo che su “Sentencia” s'era invece preso la massima libertà – non a caso il pezzo principale di quel disco era intitolato come uno dei più acclamati dischi di John Coltrane (“Ascension”).
Con “Baal” torniamo invece ad un Doom Metal roccioso e granitico, a strutture più vicine alla forma-canzone (o comunque nettamente meno libere rispetto al recente passato), a un suono meno astratto.

Riffoni caldi e grassi sono elargiti con generosità, riportandoci ai tempi addirittura di “Gran Poder”: è il caso della flemmatica “Taurus”, in cui rieccheggiano le ombre Drone-Doom del debutto degli spagnoli.
In “Baal”, però, tutto è compatto e conciso, più Stoner che Drone: un pezzo come “Hani Ba'al” ricorda molto più i Kyuss che gli Earth (o, se volete, più gli Earth di “Tallahassee” che quelli di “Teeth of Lions Rule the Divine”). Approccio riff-based, incedere quadratissimo della ritmica, distorsioni a go-go, voce declamatoria, headbanging rigorosamente d'obbligo: questo sono le carte giocate da “Hani Ba'al”, carte praticamente in antitesi con quelle giocate da un disco come “Sentencia”.

Solo nella finale, lunga “Abrase la Tierra”, più free-form nello sviluppo e maggiormente sciolta nei ritmi (Borja Diaz Vera rimane un batterista eclettico, intelligente e sempre interessante da ascoltare), riecheggiano gli spazi infiniti degli Orthodox più recenti, pur sempre reinterpretati con questa loro nuova, più sanguigna, mentalità.

“Baal” è un ritorno alle origini che porta con sé l'esperienza delle recenti indagini sperimentali; probabilmente piacerà maggiormente a chi si era disaffezionato alla band a causa delle sue peregrinazioni jazzistiche, mentre chi le aveva amate potrebbe rimanere sorpreso da come questo disco suoni invece corposo, rustico, compatto.
In ogni caso, al di là delle variazioni stilistiche gli Orthodox rimangono uno di quei gruppi che qualcosa di interessante, curioso e stimolante lo tirano sempre fuori. “Baal” non fa eccezione.
 

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