Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Beggars Banquet Records
Anno: 
2003
Line-Up: 

- Mike Vennart – chitarra, voce
- Steve Durose – chitarra, voce secondaria
- Stanley Posselthwaite – chitarra, tastiere
- Jon Ellis – basso, tastiere
- Mark Heron – batteria

Guests:
- Martin & Kimberly McCarrick – violoncello, violino, viola nei brani 4 e 12
- Claire Lemmon – voce secondaria nei brani 4 e 11

Tracklist: 


1. I Am The Morning
2. Catalyst
3. One Day All This Could Be Yours
4. Massive Bereavement
5. Rinsed
6. You Wish
7. Remember Where You Are
8. Amputee
9. Unravel
10. Women Who Love Men Who Love Drugs
11. Saturday Morning Breakfast Show
12. Long Forgotten

Oceansize

Effloresce

Gli inglesi Oceansize si formano a Manchester nel 1998 prendendo spunto dal titolo di una canzone dei Jane's Addiction. Dopo aver rilasciato diversi EP fin dal 1999, pubblicano il loro disco d'esordio, Effloresce, nel 2003 sotto l'egida del produttore Chris Sheldon.
La musica del gruppo mostra diverse tendenze stilistiche che si riavvicinano, oltre ai già citati e influenti Jane's, al rock alternativo americano più duro, quello (tinto dall'epoca post-grunge) degli Smashing Pumpkins e dei più moderni A Perfect Circle con i quali i punti in comune non sono pochi, in più andrebbe citata anche la proposta rocciosa ma melodica dei Dredg; oltre a ciò si nota una complessificazione, vicina al progressive rock barocco dei Mars Volta con qualche punta di psichedelia pesante (di Tooliana memoria), che porta la loro musica ad adocchiare un pizzico di tecnicismo compositivo.
In maniera secondaria infine troviamo riferimenti d'impatto ai Deftones e, per tornare in terra britannica, al rock/pop visionario dei Radiohead, alle elucubrazioni melodiche e atmosferiche dei Porcupine Tree, alla cerebralità dei King Crimson. Il tutto è condito con dilatazioni eteree vicine a certo space rock, ma filtrate con un'ottica più hard-oriented e proiettate nei territori alternativi anglosassoni degli anni 2000.

Gli Oceansize comunque cercano di coniugare melodia e complessità in una via che non nasconde i loro influenzatori ma che punta a raggiungere un compromesso personale. Il loro è un rock intricato ma ugualmente melodico dove il contrasto fra passaggi più distorti e altri più leggeri rappresenta il lato più esterno di uno stile lineare ma raffinato, capace di una certa articolazione ma sempre immediato, questo grazie anche ad una certa attitudine da jam che esalta la vena più spontanea e genuina dei musicisti.
Tuttavia, il fattore ambizione gioca ancora un ruolo chiave nella loro capacità di sintesi musicale, per cui capita che nel disco, forse per mostrare il proprio estro, si metta un po' troppa carne al fuoco e vi siano passaggi un po’ troppo prolissi e ripetitivi che sortiscono l’effetto contrario, cioè rendono meno assimilabile l’album. Un lavoro ancora un po' acerbo, quindi, il loro Effloresce, ma che proprio per questo lascia intravedere il potenziale che può venir fuori dopo la definitiva maturazione. Rimane in ogni caso molto apprezzabile la perizia del gruppo riposta in questo debutto che lascia buoni propositi da parte della formazione di Manchester.

I Am the Morning
ci introduce nell'ascolto: con la sovrapposizione di quattro chitarre, la prima che naviga agiatamente su di un leggero tappeto effettistico e si fa seguire dal miscelarsi di chords acustici di sottofondo e poi dal refrain distorto. Una strumentale tranquilla e piacevole, con i riff corposi di APC e Dredg che incontrano la morbidezza del porcospino di Steven Wilson.
La prima vera canzone è Catalyst, che ci fa ricordare l'influenza di gruppi come A Perfect Circle e i Radiohead di Ok Computer, mescolati sia musicalmente che vocalmente e conditi con spezie varie. Forse dura un po' troppo, punto che viene rimediato con l'Aperfectcircleiana One Day All This Could Be Yours, più dosata, più efficace.
Gli Oceansize difettano un po' del dono della sintesi, le loro canzoni hanno tutto un potenziale da esprimere negli arrangiamenti (intensi e vissuti), nelle scelte melodiche (flessibili nel passare da momenti più duri ad altri più fumosi), negli incastri accattivanti di refrain e bridge; ma il gruppo tende a dilatarle troppo. I circa dieci minuti di Massive Bereavement, il brano massimo del full-lenght, con riferimenti filtrati degli Slint, suonano comunque penetranti e catturanti sia nella prima parte più melodica che nella successiva scarica energica, mentre al contrario la cupa e avvolgente Rinsed, che ricorda l'atmosfericità oscura e in crescendo di certo post rock combinata alla rielaborazione della psichedelia in ambito neo-prog dei Porcupine Tree, forse sarebbe stata valorizzata paradossalmente aumentandone la lunghezza.
Verrebbe da dire che gli inglesi, quando cercano di essere maggiormente d'impatto, paiono più a loro agio quando mantengono la durata delle canzoni nella media, in modo da essere il più diretti possibile, mentre le soluzioni più soft-oriented gli vengono più congeniali nei brani più lunghi, con cui dilatano il pathos emotivo dei brani. Anche una canzone come You Wish, pur essendo lunga "solo" sei minuti, non appare del tutto brillante, con riff distorti poco incisivi, e si fa sopravanzare da altri brani: è il caso di Remember Where You Are e della fantastica Amputee, forse il brano più azzeccato dell'intero full-lenght, in cui gli Oceansize prendono quanto di meglio hanno nel proprio sacco e sanno ben impiegarlo per ottenere uno dei pezzi più carismatici, incisivi e avvolgenti.

Cercando di fondere le due anime fra loro, invece, la formazione inglese ha un approccio che vaga fra il tendere ad una quasi-poliedria e l'essere maggiormente d'impatto, senza però trovare sufficienti punti in comune per creare una miscela ricca e del tutto efficace, che sia prolungata ma al tempo stesso dinamica e coinvolgente. Non fraintendete: l'album non è un mattone, ma pare non abbia ancora una focalizzazione precisa, il risultato può quindi essere leggermente ripetitivo o leggermente incompleto (questo è relativo). Andrebbe rifinito verso una direzione per fare il salto definitivo: eliminare i surplus, o svilupparli negli arrangiamenti in modo che non siano in eccedenza ma anzi siano stimolanti e trascinanti. Per questo possiamo avere un buon album, insieme etereo e deciso, riverberato, soffuso ma anche aspro; però non un capolavoro.

Dopo una parentesi di pianoforte gradevolissima come Unravel, in cui si aggiunge il battito del trip hop di sottofondo, la chiusura dell'album si risolve con i tre brani più lunghi dell'LP (ad eccezione di Massive Bereavement): una splendida suite come Women Who Love Men Who Love Drugs (aperture atmosferiche siderali, arpeggi onirici, droni chitarristici magmatici, batteria multiforme), pur con qualche lieve sbrodolatura, mostra che per i quattro di Manchester la seconda strada prima citata è fattibilissima, mentre Saturday Morning Breakfast Show inizia a far sentire un po' di dejavu ed è meno stupefacente ed omogenea, quasi un pastone melodico ancora immaturo.
Long Forgotten si fa anche un po' manieristica, aggiungendo qualche arco di sottofondo e insistendo sulla sequenzialità ormai diventata tipica, ma trova lo spunto più coinvolgente facendo a meno del lato più aggressivo e sostituendolo con un passaggio più etereo, che chiude il disco in un'atmosfera densa ma melodiosa.

Pur presentando episodi molto buoni, il disco non convince appieno nel complesso a causa di alcuni nei, lasciando intravedere ancora ampi margini di maturazione per gli Oceansize. Rimane ben composto ed eseguito e ogni difetto non impedisce al gruppo di mostrare di avere delle qualità, ad ogni modo.
Considerando lo status di primo album si può considerare l'esordio degli Oceansize più che positivo. Speriamo che rimangano su questi livelli in futuro, magari correggendo qualche aspetto negativo, primo fra tutti la prolissità a volte eccessivamente auto-indulgente delle canzoni, rendendole più armoniche e coinvolgenti nella loro durata oppure riducendola di un poco, in modo da valorizzarle al meglio in ambo i casi.

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