Voto: 
10.0 / 10
Autore: 
Stefano Magrassi
Genere: 
Etichetta: 
Roadrunner Records
Anno: 
1989
Line-Up: 

- John Tardy - Voce
- Trevor Peres - Chitarra
- Allen West - Chitarra
- Donald Tardy - Batteria
- Daniel Tucker - Basso

Tracklist: 

1. Internal Bleeding (03:00)
2. Godly Beings (01:58)
3. 'Til Death (04:01)
4. Slowly We Rot (03:41)
5. Immortal Visions (02:30)
6. Gates To Hell (02:47)
7. Words of Evil (02:02)
8. Suffocation (02:38)
9. Intoxicated (04:46)
10. Deadly Intentions (02:13)
11. Bloodsoaked (03:15)
12. Stinkupuss (03:01)

Obituary

Slowly We Rot

Un urlo agghiacciante, malato, sintomo di tutto il male e il disgusto del mondo, incomprensibile e marcio come tutto quello che ci circonda. E' così che veniamo gettati nell'universo da incubo di Slowly We Rot, primo full length di uno dei gruppi che nell'ormai lontano 1989 diedero vita, in Florida, assieme a Morbid Angel e Death, al Death Metal, genere musicale estremo per definizione.

Il death di cui si parla è quello violento e primordiale della fine degli anni 80, figlio di una certa tradizione Thrash capitanata dai Possesed, senza fronzoli e caratterizzato da quel suono marcio, quasi proveniente dalle più nascoste profondità della terra. John Tardy distorce ogni singola parola che proferisce, trasformando il suo cantato in un rantolio, in un rigurgito disgustoso, accompagnato dal lento e pesante chitarrismo della coppia West-Peres e dai suoni a "tombino" della batteria del fratello Donald.

La potenza e la violenza che un disco come Slowly We Rot riesce a generare è indescrivibile. Come era stato anni prima per i gruppi della NWOBHV e in seguito per le band del primo periodo del Thrash (Metallica e Slayer tanto per intenderci), gli Obituary annichilirono completamente il pubblico e la critica, estremizzando tutto quello che il metal aveva proposto negli ultimi venti anni. E' cattiveria pura, odio profondo per quello che si ha intorno, descritto attraverso figure di malattia, morte, devastazione; visione nichilista di un mondo in involuzione verso la completa trasformazione in una fogna a cielo aperto. La produzione curata da Scott Burns (vero e proprio guru del Deah metal targato Roadrunner) ben si adatta al sound Obituary, con suoni compressi e pesanti , ad aumentare il senso di claustrofobia che esprimono i riff. Senza contare che la voce di Tardy è caricata di una potenza incredibile, tale da rendere la sua prova su quest'album una tra le più apprezzate dai fan di death metal di ogni tempo.

Il disco si apre con Internal Bleeding, che grazie all'urlo iniziale di John Tardy ci proietta appieno nell'esperienza sonora e mentale di Slowly We Rot: chitarre pesanti, tempi che rimangono su una velocità non elevata, ma nello stesso momento non troppo lenta, creando una via di mezzo claustrofobica e incapace di mettere a suo agio l'ascoltatore, spiazzato dal disgusto che l'album trasuda. La brevità è una delle caratteristiche che contradistingue la prima fatica del gruppo Floridiano; infatti a seguire troviamo Godly Beings divisa tra un riff thrasheggiante di forte impatto e una cadenza arricchità dalla voce effettata di Tardy. Dopo appena un paio diminuti, la malata velocità e la marcia lentezza ci gettano in 'Til Death, sicuramente una delle canzoni migliori, per la particolarità delle linee di chitarra e la varietà della composizione. Ma il pezzo forte arriva grazie a quel piccolo capolavoro di Slowly We Rot: la title track parte con un introduzione degna di un funerale, in una specie di macabra marcia, per poi evolversi e coinvolgere con il suo riff portante.

Come in qualsiasi album degli Obituary, a fare la differenza è la voce di John Tardy, per questo anche in questo disco a spiccare è questa caratteristica, ben supportato ovviamente dal chitarrismo di Peres e dalla batteria di Donald. Così il nostro viaggio nelle profondità più nascoste e deprecabili dell'essenza umana continuano con Immortal Visions e Gates Of Hell: il cantato si fa sempre più caotico e rantolante, la velocità aumenta, qualche assolo spezza un pochino la composizione e i riff ancora fortemente influenzati dal passato thrash entrano definitivamente nell'antologia del metal. La brevità delle canzoni non da il tempo di riprendersi: ci si sente sempre più schiacciati e nauseati, ma è una sensazione di piacere. Piacevole disgusto si potrebbe definire. La semi strumentale Words Of Evil lascia così il posto a Suffocation, dove il growl ibrido e straziante di Tardy coinvolge e confonde la mente. L'ascolto ogni minuto che passa, grazie anche alla ripetitività con cui i riff vengono proposti, diventa sempre di più un'esperienza che si distacca dal semplice contesto musicale, diventando qualcosa che arriva al nostro cervello. Intoxicated ne è l'esempio; è doveroso sottolineare che la struttura di questa canzone anticipa in maniera lampante lavori come The End Complete che rappresenterà in futuro l'affermazione definitiva del sound Obituary.

Sempre rientrante in un contesto di evoluzione all'interno dello stesso disco, si inserisce Deadly Intentions: di nuovo la voce di John fa da padrona, distorgendo ancora le parole, fino a renderle praticamente incomprensibili. Il tutto supportato da un song writing che si differenzia dalle prima tracce, con l'aggiunta di sempre più parti cadenzate e pesanti ed abbasando notevolmente la velocità. Una concezione sempre più minimalista, che è ben presente anche in Bloodsoaked e nella traccia conclusiva Stinkupuss, da sottolineare per il suo riff thrasheggiante molto coinvolgente.

Album come Slowly We Rot sono parte della storia della musica, estrema e non, sono rappresentanti di un momento storico, di un cambiamento, di un sentimento comune a migliaia di persone, ed espresso nella maniera più diretta e potente possibile, come solo gli Obituary sono stati capaci di fare. Difficile non uscrine colpiti dall'ascolto, quasi shoccati e disorientati. Questo disco è essenziale per chiunque intenda il metal come genere fuori dalle righe, duro e crudo, capace di esprimere il proprio disgusto verso quello che viene proposto a forza e non è possibile accettare incondizionatamente. Un modo anche per pensare ed agire sempre fregandosene del pensiero della massa, amando l'imperfezione proprio perchè è unica. Un motivo per cui si può essere fieri di essere metallari.
 

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