Voto: 
4.4 / 10
Autore: 
Gabriele Bartolini
Genere: 
Etichetta: 
Mercury Records
Anno: 
2011
Line-Up: 

- Charlie Fink - Voce, chitarra
- Tom Hobden - Violino
- Matt Owens - Basso
- Fred Abbott - Chitarra

Tracklist: 

1. Life is Life
2. Tonight's The Kind of Night
3. L.I.F.E.G.O.E.S.O.N
4. Wild Thing
5. Give it All Back
6. Just Me Before We Met
7. Paradise Stars
8. Waiting for My Chance to Come
9. The Line
10. Old Joy

Noah and the Whale

Last Night on Earth

Odio i pregiudizi, soprattutto quando so per certo che essi si dimostrano infondati, perché costruiti su false ipotesi, fasulle idee di partenza. Ma è risaputo che dopo mille contraddizioni, alla fine anche le malelingue trovano il loro momento di gloria. Che combacia, ahimè, proprio con la terza uscita di uno dei gruppi da me seguiti con tanto ardore e riempiti di elogi. Tornano infatti con Last Night on Earth i Noah and The Whale, nome che stà trovando una nicchia sempre più ampia di fan nel panorama del rock indipendente. Due album precedenti a questo avevano fatto pensare ad un terzo disco che calcasse la scia di Peaceful, The World Lays Me Down, album d' esordio che riprendeva il meglio del folk/rock scanzonato inglese (come quello di Donovan, ad esempio), a cui aveva fatto seguito The First Days Of Spring, disco completo, ricco di ottime composizioni orchestrali, nato da una delusione in amore presa dal frontman Fink e perciò dal mood struggente e malinconico.

 
Peccato solo la regola che vuole vedere scoppiato un gruppo di indie/rock dopo pochi dischi trovi qui conferma. Last Night On Earth infatti intraprende ben altra strada dal debutto, pur mantenendo lo spirito di quelle tracce, che dopo l' ascolto di questo album appaiono come qualcosa di inarrivabile dal gruppo stesso, sebbene le esecuzioni si basassero sulla loro semplicità. Queste dieci tracce spostano la parabola Noah And The Whale a percorrere pedissequamente la strada del sinth pop, accentuata talvolta da episodi soul, che solo in teoria dovrebbero far acquisire al lavoro un' aurea vintage. In mezzo si intrufolano spezzoni ripresi dall' hip-hop davvero impensabili, e brani dal tiro più indie/rock, quelli che alla fine fanno alzare il voto per la discreta originalità. "Anche loro, alla fine, ci sono cascati" recitava un mio collega a proposito di un album che riuscì a suo tempo a dividere, e non poco. Anche questo, ne sono sicuro, troverà pareri positivi ed altri molto meno. Chi scrive questa recensione, entrando nel merito, non si capacita di come una band fattasi notare per i suoni puramente folk, sghembi ma al contempo cristallini, possa uscire fuori con tracce che odorano di plastica, in sè e per sè. Ma d' altra parte, và dato merito ai soliti maligni che a suo tempo ( il 2010, per la precisione) criticarono il clima da festa a cui il violinista dei Noah and The Whale aveva voluto prendere parte, ovvero il progetto Mt. Desolation, anch' esso dai tratti folk/pop, frutto però di un' insana idea di divertimento ( a nostre spese) insieme a membri di Keane, Mumford & Sons e Killers, che non si sà come convinse l' Inghilterra tutta.
 
Prendendo atto di questa introduzione, partiamo dalle note positive, che pur essendo poche possono ingannare nella trattazione del voto finale, considerando che effettivamente risultano convincenti per le atmosfere evocate. Wild Thing, nella totalità dei suoi quattro minuti alla fine è la più convincente: il testo, per la profondità, non sembra nemmeno loro, ma si adatta alla grande ai toni da Coldplay malinconici della canzone, che se fosse stata messa come title-track nessuno si sarebbe lamentato. L' altro brano è Waiting for My Chance To Come, che rispolvera metriche tipicamente folk per arrivare a comporre una loro canzone, nel vero senso della parola: vita, cielo, amore e sorrisi, tutti temi cari alla band inglese. Le note negative, che  transitano lungo tutto il disco, sono tante, ma accomunate da unici comuni denominatori. La mollezza innanzitutto. La voce di Fink non si è mai dimostrata particolarmente aggressiva o esagitata, ma qui sfiora il ridicolo: tra la musica si riesce ad identificare infatti solo un cantante che cerca di emulare costantemente le voci calde degli 80's. La ricerca ossessiva della pop song perfetta, a tutti i costi. Questo fattore riconduce probabilmente al primo, ma è inevitabile non pensare alle tracce contenute negli altri dischi, pieni di familiarità e naturalezza, qui tramutate in pezzi saturi di elettronica che sa di zuccheri dannosi. Si parte con Life Is Life, degna solo di presentare una beat box in sede live, per giungere a Tonight's The Kind of Night e L.I.F.E.G.O.E.S.O.N., pezzi diabetici dal ritornello facile, per passare a Just Me Before We Met e Paradise Stars, la prima ripetitiva fino allo sfinimento e l' altra insensata, e concludere con una The Line scopiazzata da un vecchio motivetto e con Old Joy, ipocrita nella forma, ma soprattutto ricca di una nostalgia dei minuti passati (riempita di cori da Chiesa e voci dal tono addirittura serio) che davvero non riesco a comprendere.
 

Le uniche persone che mi vengono in mente a cui potrebbe piacere questo scempio sono gli hipster del genere, fomentati al solito dalle tipiche webzine (molto spesso di matrice indie) che catalogherebbero Last Night on Earth come uno dei cambi di rotta di maggiore effetto, sottolineando come questo album rappresenti una rivincita presa da Fink nei confronti della bella Laura Marling ed elogiando la musica, mai così sensibile e piena di variegati affetti. Ma a me rimane l'amaro in bocca conclusi tutti i brani. Molti dei quali sanno di riempitivo, mentre altri nascondono sotto un'autenticità all'apparenza inconfutabile della sottile furbizia.

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