Voto: 
9.3 / 10
Autore: 
Vincenzo Ticli
Etichetta: 
Island Records
Anno: 
1972
Tracklist: 

1. Pink Moon
2. Place to Be
3. Road
4. Which Will
5. Horn
6. Things Behind the Sun
7. Know
8. Parasite
9. Free Ride
10. Harvest Breed
11. From the Morning

Nick Drake

Pink Moon

Come un po’ tutto ciò che proviene dagli anni ’60 e ’70 anche Nick Drake, all’epoca quasi sconosciuto e sicuramente trascurato, è diventato –a ragione- un mito qualche decennio dopo.

Solo che, a differenza di qualcuno dei suoi più celebri colleghi, ricordati dalla marmaglia informe quasi più per il loro nome e come fonti di improbabili citazioni riportate ovunque che per la loro musica, l’oblio a cui Drake è stato condannato fin dall’inizio della sua carriera ha fatto sì che a salvarlo dalla damnatio memoriae fossero soltanto coloro che volessero approfondire la sua conoscenza, apprezzando la sua musica. Anche perché di Nick Drake, a parte i suoi album e qualche demo, ci resta ben poco: niente esibizioni celebri, niente vita da “sesso, droga e rock’n’roll”, niente Woodstock, niente morti spettacolari. Solo poche foto, niente video, tre album e una tecnica chitarristica sensazionale. Pink Moon è l’ultima vera e propria raccolta d’inediti di un’anima semplice e schiva, divorata dal selvaggio showbiz e dal pubblico insensibile dell’epoca, che lo portarono presto alla morte.

L’  opera si articola in undici canzoni per sola chitarra e voce. L’unica che fa eccezione è la title-track, Pink Moon, che al suo interno è abbellita da pochi tocchi di pianoforte sorretti da un riff di chitarra semplice e quasi ottimistico. Le parole sono poche: la luna rosa (la luna piena di aprile) sta procedendo, nessuno riuscirebbe mai a raggiungerla e lei si prenderà tutti. È la descrizione di un fenomeno ineluttabile, accettato con gioia in tutta la sua irreversibilità che accomuna chiunque, buoni e cattivi, aguzzini e afflitti. Ed è questa la tematica centrale su cui si aggira l’intera opera, un vero e proprio testamento musicale a cui Drake affida tutto il suo tormento, un tormento profondo, esistenziale, che nemmeno l’amore è in grado di mitigare. L’amore, infatti, è una tematica poco presente, se ne parla di sfuggita e mai in maniera ottimistica: Which Will parla di abbandono, Know e il suo sferzante, ripetitivo riff blues reso quasi metallico dalle corde percosse con forza tratta di un amore che non può andare avanti. Anche alla fine di Place to Be c’è un verso dedicato quasi come una concessione ad un’enigmatica figura, sebbene la canzone in sé abbia tutto un altro senso: l’autore prende coscienza del suo senso di inadeguatezza rispetto alla società, rimpiange la realtà ovattata dell’infanzia e maledice il disincanto della vita adulta che gli para brutalmente davanti la verità delle cose. Proprio questa contrapposizione essenziale con la società e le sue contraddizioni permea tutto il lavoro e sorgono così canzoni come Parasite, una cantilenante nenia gotica che, nell’altalena di una chitarra spietata, dipinge le immagini di un’umanità disperata e abbandonata anche da Dio. L‘ umanità è protagonista anche di Road, intima e dinamica canzone country in cui, ancora una volta, il cantautore si contrappone alla gente disposta ad illudersi pur di non guardare dentro se stessa. Questa contrapposizione, infine, trova la sua massima espressione in Things Behind the Sun, la canzone migliore dell’album, introdotta da un breve strumentale chitarristico. Il tono qui è diverso rispetto a quello che grava su tutte le altre canzoni: non è malinconico o rassegnato quanto piuttosto combattivo, virale. Le dita si intrecciano in arpeggi complicati e veloci, oscuri ma capaci di schiarirsi all’improvviso e aprirsi quasi con ironia per poi tornare ad incupirsi sotto nubi plumbee. La voce, pacata come sempre, si vena di una certa aggressività mentre si scaglia con crudeltà contro la stoltezza malevola delle persone, che guardano e compiangono con una certa goduria il cosiddetto “anello debole della catena” per i suoi problemi ma non rendendosi conto della vacuità della vita che portano avanti. E allora, l’unico modo per poter elevarsi da quella terra malata è rendersi conto del proprio vero valore, l’unico vero motivo per cui vivere una vita che si possa chiamare tale: “Yes, be what you’ll be”, il messaggio che Drake vuole comunicare fin dall’inizio.
Alla fine, l’unico modo per liberarsi da questo disagio sembra essere la morte ed è a lei che, più o meno esplicitamente, Drake inneggia sempre più spesso: da Free Ride, in cui destreggiandosi tra le corde di un controcanto chitarristico ancora una volta dalle intenzioni blues, la sua voce tranquilla si rende conto dell’ormai avvicinarsi della morte, ma le chiede supplice un altro giro, un’altra possibilità. Harvest Breed è crepuscolare e irregolare, è l’accettazione travagliata di ciò che di lì a poco dovrà avvenire. From the Morning è una canzone classicamente country, ed è il momento finale: ormai tutto è avvenuto, la morte sta arrivando, arriva, si realizza, ed è tutto bellissimo.

Per Nick Drake, la morte arrivò due anni dopo questa registrazione, a 26 anni, per una dose eccessiva di antidepressivi, nel tentativo forse di liberarsi una volta per tutte di una malattia che ha segnato la sua vita. Un disturbo che ha certamente segnato anche la sua musica, complicata e tortuosa, virtuosistica ma non per questo ridondante ed eccessiva, quanto piuttosto strabiliante proprio nella sua capacità di essere accessibile a tutti nonostante la sua difficoltà, a volte tanto elevata da risultare quasi impossibile. Le accordature di chitarra sono varie e non convenzionali, gli arpeggi sono articolati e veloci e la chitarra sembra parlare autonomamente, non a supporto della voce ma a fianco di essa, compagna indissolubile. Il rock di Pink Moon si discosta nelle intenzioni da quello dei suoi contemporanei, non tende a stupire ma, al contrario, diventa scarno, tenue, e crea le basi per il rock alternativo dei decenni a venire come quello, ad esempio, dei Radiohead e della generazione anti-folk dei primi duemila, come gli italiani Marta sui Tubi.

Ci sono voluti molti anni, ma alla fine si è realizzato ciò che Nick Drake ha sempre auspicato che accadesse: il mondo si è reso conto di quanto valesse realmente.

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