Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Francesco Tognozzi
Genere: 
Etichetta: 
Brain Records
Anno: 
1972
Line-Up: 

- Michael Rother - chitarra, basso, voce
- Klaus Dinger - batteria, chitarra, banjo giapponese, voce


Tracklist: 

1. Hallogallo
2. Sonderangebot
3. Weißensee
4. Im Glück
5. Negativland
6. Lieber Honig

Neu!

Neu!

Michael Rother e Klaus Dinger si conobbero nei pressi del 1970, nelle file dei Kraftwerk del periodo embrionale, il primo giovane e raffinato polistrumentista di indiscusse doti, capace di mostrare qualche anno in più con una sei corde in braccio; il secondo percussionista dal drumming marziale e scheletrico, perfetto per incarnare lo spirito pulsante della fresca creatura della coppia Schneider-Hutter, destinata poi a far fortune solo qualche tempo più in là, e senza di lui. Due persone giuste nello stesso posto, al momento giusto, che salutarono la compagine - frattanto divorata da contrasti interni - per dare vita al combo più geniale e produttivo nella storia della nostra musica. Due soggetti predisposti dalla natura a formare un unicum, metà complementari destinate a suggellare un incastro perfetto, come Stan Laurel e Oliver Hardy, o Ginger Rogers e Fred Astaire, o se preferite, per rimanere a stretto contatto con la materia, Alan Vega e Martin Rev.
Con pochi soldi nelle tasche e due menti cariche di propositi e inventiva, Rother e Dinger vollero creare un sound assolutamente anticonvenzionale, una ventata di rivoluzione in un momento in cui il rock da certe parti cominciava già a stagnare - non evidentemente il caso della Germania. Assemblando l'esperienza della psichedelia inglese e gli spunti dell'allora nascente canterbury, la kosmische musik dei Tangerine Dream e il verbo androide dei Kraftwerk, le escursioni nelle viscere del suono (e del silenzio) di John Cage, Karleinz Stockhausen e dei Minimalisti americani, il duo di Dusseldorf partorì in rapida successione tre dischi immortali, di una portata gigantesca, e gettò le fondamenta per intere generazioni a venire ponendo il proprio verbo a fulcro di un'enorme rifondazione che qualcuno definì simpaticamente krautrock. Neu! è il minaccioso monicker che i due scelsero per sé, convogliato puntualmente in un'estetica suprematista (mitologiche le tre copertine dominate dal solo nome della band) capace di rivelarne con immediatezza l'essenza più pura: quella di una tracotante sfida al passato, al presente, e financo al futuro.
Quella che si va a narrare è pura emozione, che esula dalla materia di cui è composta. Un flusso senza soluzione di continuità di droni, sibili, pulsazioni, scosse elettriche, bagliori quasi impercettibili, residui sintetici di vita amena e metropolitana, condensati a forgiare una musica totale, ultraterrena, seducente e inafferrabile. Una musica senza tempo né memoria, priva di qualsiasi connotazione profana, una nuda esperienza sensoriale.

Il cammino artistico dei Neu! parte dall'esordio omonimo datato 1972, considerato dai più il loro eterno e indiscutibile capolavoro. La prima uscita del combo teutonico, frutto di poche ore di registrazione effettiva (quasi esclusivamente sotto forma di improvvisazione free-form) negli Windrose-Dumont-Time Studios di Amburgo sotto la magistrale direzione di Conny Plank, rappresenta effettivamente già un'esaustiva sintesi dell'intera carriera della coppia Rother-Dinger, un'oasi di perfezione che racchiude in nuce tutti gli elementi fondamentali per inquadrare, di lì in poi, il sound iconoclasta di marca Neu!. Dal motorik, la leggendaria battuta àtona e ripetitiva che ha incarnato per decenni il fenomeno kraut nell'immaginario collettivo, alle evoluzioni oniriche e sconfinate del chitarrismo di Michael Rother; dall'uso ponderato (e mai fine a sé stesso) dell'elettronica seminale di derivazione Kraftwerk, al recupero dei rumori della nuova realtà urbana, dell'operosità umana e della macchina, a costituire a tratti autentici vagiti del culto musicale industrial. Il primo album della premiata ditta di Germania è tutto questo e molto di più. E' la sintesi perfetta di tutto ciò che oggi chiamiamo krautrock, una delle esperienze artistiche più eversive e seminali di sempre ed è, in ultima analisi, il disco da cui sorprendentemente il punk prende le mosse in maniera più netta rispetto a qualsiasi altro lavoro prodotto entro il 1974 - Velvet Underground esclusi.
Già, proto-punk, assolutamente, e bastano i primi rintocchi di Hallogallo per rendersi conto che la storia della musica, nel 1972, prende una nuova piega, si impone una deviazione sostanziale. Mentre Bowie, Lou Reed e Iggy Pop stendono il tappeto alla stirpe di successione a suon di make-up, ironia e ambiguità, ai Tedeschi tocca il lavoro sporco: la progettazione delle meccaniche della nuova fondazione. Ed ecco che per la prima volta fa la comparsa, sotto le testine dei giradischi, il mitizzato motorik, nel più mitizzato degli episodi firmati Neu!: Rother e Dinger colgono tutti in anticipo nel riprodurre la vera colonna sonora del mondo che oggi conosciamo, la strada, l'automobile, il viaggio, la frenesia e il moto perpetuo dell'uomo moderno. Prima ancora del colossale Autobahn dei Kraftwerk, sono proprio due germogli staccatisi da una costola di essi a cogliere l'essenza concreta della nostra civiltà e del suo avvenire, con un approccio terreno e già assai distante dalla filosofia asimoviana dell'uomo-macchina, proclamata dai padri Schneider e Hutter. Il battito incessante che Klaus Dinger brevetta apre le porte all'avvento di una musica veloce, diretta, minimale: esattamente ciò che il punk sarà; l'anima del genio Neu! è tutta qui, in questa ragnatela di pulsazioni che si fa sempre più intricata nel corso dei dieci minuti di suite ed accoglie magicamente i fendenti della sei corde effettata di Rother, calda e passionale, a contrafforte del glaciale scheletro percussivo.
Sonderangebot è invece ancor più concettuale che strumentale: un sinistro susseguirsi di scie chimiche, fragori lontani e micidiali scariche di tensione, immerse in un silenzio tutt'altro che confortante. Abbandonati subito il motorik e lo wah, la seconda traccia del disco, la più breve delle sei, si nutre del synth e del sibilo ipnotizzante di un theremin, a mostrare stavolta vertiginose aperture alla fantascienza, all'infinità dello spazio e nella fattispecie ai canoni riconosciuti della kosmische di Tangerine Dream e Klaus Schulze. Una parentesi inquietante (ma ben più di un mero interludio) che sembra voler destabilizzare l'ascoltatore dopo l'appassionante cavalcata dell'opening track.
E se Sonderangebot è l'eccezione che conferma la regola, Weißensee serve per ripristinare l'ordine ma lo fa rallentando il passo, imponendo al beat di Dinger una posa più riflessiva, una cadenza più misurata. Scelta che paga, e regala dosi indefinibili di emozione: è forse nei quasi sette minuti di questo naufragio sonoro su lidi desolati, che incontriamo le note più belle, nell'accezione più classica del termine, dell'intera opera. Una melodia liquida ed eterea, su cui Rother indugia tracciando pennellate di sogno mentre il suo collega, cuore pulsante nell'alchimia della band, si limita ad accompagnare con un drumming compassato e tipicamente monocromo, come da marchio di fabbrica.
Quando il battito muore e voci campionate si sovrappongono al gorgoglio di un rivolo d'acqua, siamo già dalle parti di Im Glück: come portato in immersione, il tema della track precedente gode di una nuova vita, subacquea e ancestrale, che intorpidisce e al contempo incanta i sensi. Una litania lontana, dai contorni sfocati, defraudata della ritmica e resa quasi impercettibile, domata solo nel finale dagli squilli della pedal steel che sembra stavolta evocare il canto dei gabbiani, in un quadro che possiede già inequivocabilmente un sapore pelagico.
La quarta traccia si conclude con un intero minuto di tributo al potere del silenzio, potere reso ancor più forte dal boato che sconquassa la scena in apertura della successiva: nientemeno che un martello pneumatico, la macchina più assordante e temuta del cantiere stradale, un originale campione di caos contemporaneo deputato all'introduzione del pezzo più significativo dell'esordio in questione. La concitazione di una folla, un prolungato fruscìo metallico, e poi via con il micidiale motorik di Negativland, gommoso e roboante, che imperversa per dieci minuti di claustrofobia metropolitana rimbalzando tra i muri di distorsione eretti sempre più alti da Rother, in un crescendo di tensione costruito su ripetute accelerazioni e frenate. A tratti la logica del punk sembra già cosa compiuta, quando in realtà siamo ancora più vicini, cronologicamente parlando, a Woodstock piuttosto che alla Londra dei Sex Pistols: questo è il miracolo dei Neu!, e ascoltare il modo in cui i due aggrediscono gli strumenti (ma mai senza perdere il controllo) nell'epopea della Terra Negativa, provoca ancora oggi un brivido sulla schiena - non una cosa da poco per un disco prossimo a compiere i quaranta anni di età.
Degna conclusione di un sogno di questa portata, la lentissima ninna-nanna di Lieber Honig cala il sipario sull'opera con un carico di sorprendente dolcezza. Ancora un'ultima volta i Neu! giocano d'antitesi e scelgono di traghettare mitemente lo spirito fino alla fine del viaggio: dalle macerie di Negativland così non emergono altro che sommesse e sparute note di banjo giapponese (!) e il canto, o per meglio dire il sussurro soffocato di Rother, quasi un lamento, al limite della sperimentazione vocale. E poi di nuovo lande sconfinate, scrosci d'acqua, e infine silenzio. Un epilogo catartico, per purificarsi prima del saluto a queste sponde, alle quali però si cerca sempre di riapprodare quanto prima.

Neu! è un punto di riferimento assoluto, un crocevia stilistico dopo il quale il rock inevitabilmente non sarà più lo stesso. Lo sa John Lydon, portavoce massimo della furia nichilista del punk, pur paradossalmente lontano anni luce da qui; lo sanno David Bowie e Brian Eno, illustri adepti della scuola germanica e del genio kraut in primis; lo sa chi, circa un decennio dopo, farà tesoro - quando non uso sfrontato - delle sonorità spigolose di Negativland e del motorik, vedi il ramo più crudo e abissale della corrente post-punk, di cui saranno portabandiera Joy Division, A Certain Ratio, P.I.L. (ancora Lydon), Cabaret Voltaire e via dicendo. Uno specchio generazionale di immenso valore, eppure ancora oggi misconosciuto; ma non perchè freddo, distaccato o inumano, come verrebbe magari da pensare. Si tratta anzi per lo più di un'opera calda e intrigante, densa di mistero perchè racchiusa nel suo amorfo guscio di estetica minimalista, ma accessibile e pronta a rivelarsi a chiunque per la sua natura innovativa e poetica. La sintesi ideale della Germania che fu, capace di valicare montagne con una buona padronanza degli strumenti, una fucina di idee in continuo sviluppo e una grande dose di coraggio.
Neu! significa voltare pagina, e questo è solo il primo passo di un duo che ha riscritto le sorti della musica; ripercorreremo le sue evoluzioni in tre puntate successive, per rendere merito a chi ha veramente tracciato la strada per il futuro, con eleganza, semplicità e tanta necessità di sognare con lo sguardo rivolto al cielo, e all'orizzonte.


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