Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Play It Again Sam/Matador/WoS
Anno: 
2008
Line-Up: 

:
- Dominic Aitchison - basso
- Stuart Braithwaite - chitarra
- Martin Bulloch - batteria
- John Cummings chitarra
- Barry Burns - chitarra, tastiera


Tracklist: 

:
1. I'm Jim Morrison, I'm Dead
2. Batcat
3. Danphe and the Brain
4. Local Authority
5. The Sun Smells Too Loud
6. Kings Meadow
7. I Love You, I'm Going to Blow up Your School
8. Scotland's Shame
9. Thank You Space Expert
10. The Precipice

Mogwai

The Hawk Is Howling

Vien da sè pensare, quando si parla dei Mogwai, alla diatriba fra chi spende gli elogi più sperticati verso di loro e chi degli scozzesi un po' si è stancato già da tempo.
I discorsi sono sempre gli stessi, vertendo sulle due facce che contraddistinguono i gruppi etichettati con quella fumosa definizione che è "post rock", cioè l'estro e l'emozionalità delle costruzioni melodiche contrapposte alla blandezza e alla schematicità di certe proposte. Fanboy vs detrattori, per semplificare.
Come spesso accade la verità sta un po' nel mezzo.

Dopo essersi congedati da noi solo due anni fa con Mr. Beast (escludendo la colonna sonora del film su Zidane) i Mogwai ritornano così con un disco che inizialmente ha fatto storcere il naso a qualcuno all'annuncio per via del titolo e della copertina giusto un tantino stereotipati: The Hawk Is Howling.
Senza sorprese, il marchio di fabbrica è quello, tipico, che forse ci si aspetterebbe; ma Stuart Braithwaite e soci danno più che altro l'impressione di essersi fermati a meditare sul loro status, per poi decidere di riprendere qualcosa dal loro passato - allontanandosi dal precedente lavoro, con cui comunque si mantiene qualche contatto in certi pezzi - e rimaneggiarlo con l'ottica attuale, realizzando, insomma, un disco al tempo stesso retrospettivo e rielaborativo. Aggiungiamo il produttore Andy Miller, che già collaborò con il gruppo quando rilasciò i primi demo, che conferisce un suono morbido e cristallino come ciliegina sulla torta.

Diverse lunge suite (tutte strumentali) avvolgenti, la consueta classe compositiva e il personale e maturo trademark fanno di The Hawk Is Howling un disco che scorre via in maniera del tutto godibile, mantenendo sempre passione e arrangiamenti certosini. Per contro, dopo dieci anni senza grossi sussulti orma c'è sempre più mancanza di sorpresa, il che minaccia sempre di ripescare da dietro l'angolo gli spettri della prevedibilità e del manierismo, che ci riportano alla mente che di acqua sotto i ponti ne è passata, anche proveniente da altri interessanti e meritevoli gruppi.
E qui casca l'asino: nonostante tutto i Mogwai continuano ad avere una loro ispirazione genuina, senza contare che certo modo di approcciarsi al mondo post rock l'hanno istituzionalizzato loro, praticamente dei vati per innumerevoli band che li hanno presi a modello. Insomma, invecchiano senza mostrare acciacchi (tuttavia senza garanzie sul futuro), sapendo trovare la melodia vincente anche ripescando da una formula già sperimentata ma stonando un pochino in quei frangenti in qui iniziano ad esser ripescati un po' troppi clichè: e l'eredità del primo ottimo disco Young Team, forse, può scoraggiare. Chissà se il discorso continuerà ad essere così o i Mogwai si abbandoneranno ad un piatto mantenere lo status quo.
The Hawk Is Howling sembra come un album fatto o per dare il La ai prossimi parti del gruppo partendo da una base collaudata, "stagionando" con classe, oppure per mostrare l'intenzione di persistere sulle medesime coordinate senza osare proprio nulla di più - soluzione che però facilmente sfocerebbe verso il fondo di una lenta parabola discendente.

L'iniziale I'm Jim Morrison I'm Dead (titolo che forse non divertirà i fan con poco senso dell'umorismo del fu grande capo dei Doors) segue uno dei topoi del post rock, con inizio placidissimo fra tenui note di pianoforte e lievi arpeggi, crescendo sonoro e climax centrale fino alla fine del pezzo in cui melodie dolcissime si adagiano su di un tappeto sonoro atmosferico che esalta la carica emotiva del brano. Rimane tuttavia abbastanza prevedibile, a differenza della successiva parentesi più intensa Batcat, singolo accattivante con attacchi che rievocano i Marlene Kuntz e bassi quasi a la Muse, ma anche senza mostrare particolare verve - un semplice buon pezzo.
Invece Danphe and the Brain distende i ritmi, adagiandosi su di un vellutato intreccio di piccoli effetti elettronici di sottofondo, timide chitarre appena accennate e spruzzi psichedelici, fino al crescendo finale che aggiunge tocchi onirici al tutto. Ci si immerge ancora di più nella malinconia con Local Authority, grazie alla triste chitarra ripetuta sullo sfondo mentre in primo piano continuano a dipanarsi lievi giri di note melodiche e nostalgiche, assieme a riempimenti ambient che rievocano ora certi Bark Psychosis, ora i primi dischi di Mogwai. C'è però una monotonia un po' troppo eccessiva, nonostante tutta la bontà melodica del gruppo.
Emerge invece, soprattutto nel "ritornello", una sensazione di spensieratezza e di leggerezza nella melodica The Sun Smells Too Louds, pezzo dal mood più libero, con spolverate IDM, ritmiche sincopate e scioltezza quasi indie. Ma rimane sempre un certo retrogusto malinconico fra le note, che ricrea così un effetto dolceamaro evocativo seppure un po' stridulo in certi frangenti (oltre che, forse, un po' troppo ripetitivo).
Kings Meadow è più cupa; sempre insistendo sulla canonica soluzione dei giri-di-note che sono dolci-malinconici-emozionali-blabblah-ecc.-ecc., si aggiungono vibrafoni e tocchi elettronici che però non impediscono che il pezzo, seppur relativamente breve, non stupisca e continui a sembrare ripetitivo.
I Love You, I'm Going to Blow up Your School è un classico ed efficace pezzo da Mogwai, con l'introduzione cupa, il progressivo crescendo, qualche rallentamento, batteria sporcata di jazz, esplosione finale di distorsioni inquietanti. Pregevole ed evocativa, ma per contro è un po' "tutto qui".
Colpisce invece ancora di più Scotland's Shame (titolo che si riferisce ad un discorso di James McMillan del 1998 in cui si denunciava l'anti-cattolicesimo presente in Scozia), concreta rielaborazione dei Mogwai di Young Team nell'ottica 2008, emozionante ed avvolgente, con ritmi sincopati a sostegno della melodia addolorata e dell'atmosfera meditativa, mentre sullo sfondo si inseriscono leggeri droni chitarristici che rendono il pezzo maggiormente corposo.
Thank You Space Expert però inizia a scorrere un po' per inerzia per i consueti elementi (andamento lento, piccole costruzioni di tastiera, tappeti ambient, melodie candide) che non stupiscono, nonostante alcuni piacevoli refrain - con qualche panoramica che ricorda in parte i Sigur Ròs, ma nel complesso un po' più piattine.
Chiusura affidata a The Precipice, con arpeggi tetri, stratificazioni melodiche corrosive, accordi oscuri e saturazioni di chitarra nel climax inquietante e ronzante che "distruggono" l'aura dolce, quasi blanda del precedente pezzo, concedendoci una delle tracce più suggestive dell'intero disco.

Disco naturalmente consigliato ai fan dei Mogwai, che probabilmente lo considereranno anche (esageratamente) "l'ennesimo capolavoro", mentre ovviamente chi non li ha mai presi con simpatia non cambierà certo idea con questo lavoro.
Vedremo in futuro se gli scozzesi precipiteranno nella stagnazione o sapranno reinventarsi anche poco partendo da questo trampolino. Manca qualche brano che svetti in particolar modo su tutti gli altri e (prevedibilmente) non innova granché, ma questo è, in ogni caso, un disco piacevole e godibile, pur con qualche neo, che inquadriamo lo stesso come uscita equilibrata e ascoltabile. Ma è anche il caso, effettivamente, di ridimensionare la nomea dei Mogwai, certamente un buon gruppo ma su cui spesso si esagera.

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