Voto: 
6.8 / 10
Autore: 
Lorenzo Iotti
Genere: 
Etichetta: 
Roadrunner Records
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Dave Mustaine - chitarra e voce
- James LoMenzo - basso
- Glen Driver - chitarra
- Shawn Driver - batteria

Tracklist: 

1. Sleepwalker
2. Washington Is Next!
3. Never Walk Alone...A Call To Arms
4. United Abominations
5. Gears Of War
6. Blessed The Dead
7. Play For Blood
8. A Tout Le Monde (Set Me Free)
9. Amerikhastan
10. You’re Dead
11. Burnt Ice

Megadeth

United Abominations

Preannunciato nel peggiore dei modi dal video di A Tout Le Monde (Set Me Free), senza dubbio la canzone più commerciale che i Megadeth abbiano mai fatto e per giunta rifacimento di un brano già apparso su Youthanasia, mentre il leader della band Dave Mustaine continuava ad affermare che il nuovo disco sarebbe stato “così duro che lo si potrebbe usare per tagliare il vetro”, il nuovo United Abominations, come di consueto caratterizzato da un titolo critico e pungente, ha creato una certa aspettativa nei fan, nella costante speranza che si torni ai fasti di dischi come Peace Sells e Rust In Peace.
La nuova line-up, già cambiata durante il Gigantour, ha visto l’ingresso del bassista James LoMenzo, ex membro di White Lion e Black Label Society, e dei fratelli Glen e Shawn Driver, rispettivamente alla chitarra e alla batteria; questi si rivelano senza dubbio degli impeccabili esecutori, con un buono stile ma del tutto privi del carattere di musicisti come Marty Friedman, Chris Poland e Dave Ellefson, che avevano contribuito negli anni d’oro a delineare il sound della band, ora più che mai ridotta ad una sorta di progetto solista di Mustaine.
Per quanto riguarda il disco, le canzoni hanno poco a che vedere con il deludente singolo, e anzi si capta un allontanamento dagli elementi moderni degli ultimi due dischi a favore di un approccio più old school; peccato che il tutto non faccia che far rimpiangere i capolavori del passato, complici una forte mancanza di quella cattiveria e aggressività che ha reso grandi i Megadeth, e una produzione sì impeccabile dal punto di vista della resa ma che ammorbidisce parecchio i suoni facendo risultare il tutto di poca presa.
United Abominations è un disco che si configura come il prodotto e la rielaborazione di tutta la carriera dei Megadeth, dalle sfuriate thrash ai pezzi più commerciali; il vero problema è che questo processo è condotto in modo disorganico, dando vita ad un album dove si alternano brani, e anche elementi all’interno delle singole canzoni, che hanno poco da spartire l’uno con l’altro.

La mancanza di organicità emerge già dalla opener Sleepwalker, pezzo veloce contraddistinto da riff dinamici e una ritmica piuttosto semplice, nel quale si delineano, a seguito dell’ottima introduzione dai toni oscuri, strofe graffianti, un ritornello più melodico e molto poco integrato nell’atmosfera, e alcuni stacchi pestati, distorti e molto riusciti. La voce di Mustaine appare piuttosto sottotono, distaccata e poco coinvolgente anche rispetto agli ultimi dischi, mentre una nota di merito va agli assoli, come di consueto contorti e ben inseriti nel contesto. Nonostante un’eccessiva lunghezza, il brano è buono e piacevole, uno dei migliori del disco, ma si sente da subito una certa mancanza di suoni taglienti e aggressivi, che viene amplificata nella successiva Washington Is Next!, i cui fraseggi appaiono parecchio ammorbiditi e addolciti dalla produzione, lontani anni luce dall’oscurità inquietante di Peace Sells; la ritmica invece si movimenta, sia per quanto riguarda il drumming più vario che il basso rombante di LoMenzo. Il brano pare riassumere l’essenza dei Megadeth del 2007: accattivanti ma eccessivamente spenti, con un ritorno ai tempi di Youthanasia per quanto riguarda i ritornelli melodici inseriti in un contesto pseudo-pesante.
Questa contrapposizione è esasperata in Never Walk Alone...A Call To Arms, brano piuttosto aggressivo, dove emergono spunti del vecchio Rust In Peace negli assoli folli stesi su un drumming pestato, ma il cui mood è completamente rovinato da linee vocali fastidiose e quanto mai inappropriate.
Si arriva così alla title-track, pezzo che incarna proprio la disorganicità che aleggia su tutto il disco: riff spessi e distorti e voce strafottente che confluiscono in un ritornello quasi sdolcinato senza alcun senso; riguardo ai testi e alla critica sociale, inoltre, in parte a causa di questa mancanza di coinvolgimento emotivo, l’impressione che si fa strada è che il buon Mustaine si nasconda dietro di essa per non tradire una certa mancanza di idee.

La parte centrale del disco è caratterizzata da riempitivi parecchio anonimi, come Gears of War e Blessed To The Dead, che si mantengono su un tempo cadenzato senza quei riff di grande impatto che sono solitamente il punto di forza della band, per sfociare nella già citata A Tout Le Monde, rifacimento ruffiano, commerciale, banale e inutile, che vede la comparsa altrettanto inutile della nostra Cristina Scabbia dei Lacuna Coil. Non che il brano sia effettivamente mal fatto, ma risulta totalmente fuori dall’atmosfera del disco e di qualsiasi cosa i Megadeth abbiano mai suonato e composto, evidenziando a pieno una forte mancanza di nuove idee; se è questo il modo in cui Mustaine intende “essere una sorta di defibrillatore per il mondo del metal” (parole sue), è evidente non abbia capito bene cosa ci vuole.
Migliori invece i brani restanti, a partire dall’ottima Play For Blood, brano cadenzato dal sapore rockeggiante e caratterizzato da riff coinvolgenti, assoli malvagi e una voce per una volta calata nell’atmosfera, e continuando con la più melodica Amerikhastan, discreto compromesso tra suoni ammorbiditi e assoli schizzati, ancora una volta però rovinato da linee vocali spesso contrastanti e dal parlato da sempre caro a Mustaine.
Tornano invece finalmente le care vecchie sfuriate di batteria, finora assenti in tutto il disco, nei due pezzi conclusivi: la discreta e strafottente You’re Dead, dalla ritmica varia e complessa, e la peggiore Burnt Ice, unico episodio in cui gli assoli si rivelano eccessivamente prolissi.

Dovendo fare un bilancio finale del disco, si può con certezza affermare che, nonostante alcuni brani molto poco ispirati, esso è stato composto con cautela, e risulta privo di quei brani veramente malfatti che sono un elemento sempre presente in misura variabile negli ultimi lavori della band.
Nonostante ciò, non basta riprendere qualche elemento dei vecchi capolavori, semplificarlo e rielaborarlo con l’aggiunta di elementi melodici più votati al mainstream per produrre un buon disco, e tutto questo emerge in modo evidente dall’ascolto di United Abominations, un disco fatto per accontentare tutti, da chi vuole un ritorno al thrash degli esordi a chi vuole pezzi più commerciali, un disco che non è né carne né pesce, e si rivela un prodotto per nulla innovativo, mediocre e piuttosto banale, mascherato ed esaltato da un’ottima produzione.

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