Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Enrico Gullo
Etichetta: 
Relapse Records/Self
Anno: 
2004
Line-Up: 

- Brent Hines - chitarra, voce
- Troy Sanders - basso, voce
- Bill Kelliher - chitarra
- Brann Dailor - batteria

Tracklist: 

1. Blood and Thunder
2. I Am Ahab
3. Seabeast
4. Island
5. Iron Tusk
6. Megalodon
7. Naked Burn
8. Aqua Dementia
9. Hearts Alive
10. Joseph Merrick

Mastodon

Leviathan

Di tutto ci si può aspettare da un gruppo che decide di produrre un album ispirato ad uno dei più celebri romanzi di tutti i tempi, il “Moby Dick” di Herman Melville. Certo giunge inaspettato un album che riesce a rendere, grazie alla maestria dei Mastodon (per molti i degni eredi dei Neurosis), ogni sensazione comunicata dal romanzo, dalla rabbia del capitano Ahab alle onde del mare in tempesta, dalla furia degli elementi alla frenesia della Balena Bianca – il “Santo Graal”, come il gruppo ama chiamarla nella traccia di apertura del disco.

Blood and Thunder, questo il titolo del primo pezzo, si apre con un riff di chitarra semplice, nervoso e devastante allo stesso tempo, subito affiancato dalla distruttiva batteria di Brann Dailor, dall’altra chitarra e dalla linea di basso macinata da Troy Sanders. La canzone si mantiene su una struttura abbastanza semplice, ed è proprio questa semplicità a renderla coinvolgente e carica, e in un turbinìo vocale già da questa canzone il gruppo ci trascina nella propria apocalisse sonora. Ma non c’è tempo per la possente frenesia dei Mastodon: finito il primo pezzo, subito attacca I Am Ahab, altro pezzo che segue la scia di Blood and Thunder, senza cambiarne troppo i toni, alleggerendoli soltanto nel bel mezzo della canzone con un arpeggio montato sopra una batteria mai stanca di stupire, solo per riprendere subito con un’aggressione vocale che lascia di sasso. Un altro arpeggio, dalle sonorità parecchio strane e inquietanti apre Seabeast, che alleggerisce i toni e si intreccia con suoni leggermente più melodici e meglio definiti – anche alcune delle parti vocali passano dalla possanza delle prime due tracce a una voce “stranamente” melodica. E in un batter d’occhio ci ritroviamo in Island, velocissima, cattivissima e rabbiosissima, con la solita batteria che non lascia vie d’uscita e gli ormai noti riff di Brent Hines e Bill Kelliher – un vero e proprio attacco diretto alle orecchie dell’ascoltatore.

Quindi parte Iron Tusk, uno dei pezzi più orecchiabili e meglio costruiti del disco: eseguito in maniera magistrale, con ogni strumento che dà il meglio di sé, la decisione che trasuda dalla voce del cantante/bassista Troy Sanders, spietata. Megalodon ci illude che il peggio sia passato con un arpeggio che lascia presagire una canzone calma, ma i Mastodon hanno ancora molti colpi in canna, e tirano fuori un’altra canzone con dei suoni quanto mai nevrotici, instancabili, strambi e inauditi. L’intro di Naked Burn è degna di un film di alta tensione – naturalmente con una grande colonna sonora, perché con Naked Burn abbiamo tra le mani un pezzo di alto livello, denso di emozioni e di sonorità inaspettate quanto piacevoli. Aqua Dementia è il penultimo pezzo, impreziosito dalla collaborazione vocale di Scott Kelly dei Neurosis, che riprende i toni di Island, e ci prepara all’arrivo del piatto forte del disco: Hearts Alive, una canzone composta da circa tredici minuti di pura sperimentazione sonora, dove le due chitarre Hines e Kelliher trovano lo spazio necessario per provare tutta la propria abilità, mentre Brann Dailor macina tempi su tempi senza fare una piega, accompagnato da Sanders che continua a tratti ad aggredire il microfono, altri ad accarezzarlo con una voce calma – ma continuando a seguire il ritmo della batteria con il suo Warwick. Il tutto viene accompagnato da degli effetti sonori molto suggestivi (notare il rumore delle onde del mare all’inizio della canzone, che per tutto l’album viene riprodotto dagli strumenti) e da delle atmosfere inquietanti o tranquille create.

Le note si arrampicano in un turbine che porta a un assolo di chitarra che occupa gran parte degli ultimi minuti della canzone, quindi un bridge e il gran finale: con un power chord lasciato in fade out si chiude la nevrotica apocalisse sonora. Joseph Merrick, un brano strumentale con chitarra acustica, una batteria che scandisce il lento ritmo e una chitarra elettrica leggermente “sporca” che fraseggia su un brano finalmente lento, pacifico. Che i Mastodon abbiano finalmente trovato la pace tanto freneticamente cercata nella rabbia degli altri brani? Che abbiano – sarebbe il caso di dirlo – trovato il loro personale “Santo Graal”, che abbiano raggiunto la loro Balena Bianca?

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