Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Pulverised Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Paul Speckmann - voce, basso
- Alex Nejezchleba - chitarra
- Zdenek Pradlovsky - batteria

 

Tracklist: 



1. The Human Machine (05:17)
2. It’s What Your Country Can Do for You (06:10)
3. Twisted Truth (03:14)
4. True Color (05:39)
5. Suppress Free Thinking (05:47)
6. A Replica of Invention (03:24)
7. Faceless Victims Expelled (03:25)
8. Worship the Sun (04:04)
9. The Lack of Space (03:55)
10. Impale to Kill (04:56)

Master

The Human Machine

Approcciarsi ad un album dei Master è come andare a vedere un film d’azione di Sylvester Stallone: passano gli anni, si invecchia ma si sa sempre a ciò che si va incontro. E, come i film dell’attore italoamericano, gli album dei Master hanno vissuto alti e bassi ma hanno comunque avuto un filo conduttore tra di loro, la violenza. Paul Speckmann non si è mai tirato indietro a fronte dell’idea di suonare musica pesante e veloce poiché è ciò di cui vive questo intrepido musicista. Tra i precursori del death metal statunitense, i Master arrivano al traguardo del decimo studio album senza che la grinta degli esordi sia scemata. The Human Machine è puro vintage death metal a cura di una band che se n’è sempre fregata di seguire i trend e ha puntato una vita intera a massacrare gli strumenti con poca tecnica, ma tanta passione e dedizione; cose che ritengo molto più importanti che il saper fare trenta note in un secondo.

E così, già con una copertina che rimanda inequivocabilmente alla fine degli anni 80 o inizio 90, tutta la brutalità del gruppo esplode nei prolungati up tempo di una ferale title-track. La voce di Paul è roca, acida e profonda mentre la sezione ritmica martella senza pietà con il solito tocco leggermente punk che distinse i Master sin dagli esordi. Il riffing è serrato, in tremolo principalmente e con la successiva It’s What your Country Can do For You si riscontrano chiare chiare tendenze black metal nel riffing succitato, miscelandosi con stop e ripartenze poderose. Altra caratteristica importante nel sound della band è il groove che appare al momento giusto, in occasione dei tempi medi, tra una miriade di sezioni impulsive e dannatamente senza fronzoli. Un esempio di ciò é la completa A Replica of Invention mentre le fasi soliste nelle canzoni ancora una volta sono legate agli albori del genere, con una fortissima impronta Slayeriana nella loro velocità e impulsività. Qui si nasconde ancora una volta tutta la volontà dei Master di ricalcare una strada che loro stessi hanno contribuito a creare nel lontano 1983.

I blast beats arrivano con Worship the Sun, esaltati da una produzione pulita ma non pompata, a voler conservare il sound degli anni passati nell’underground. Essi si ritrovano anche in occasione di Suppress Free Thinking e con True Color anche se le sezione veramente buone si riscontrano maggiormente con l’utilizzo del semplice up tempo poiché trovo che i blast beats a volte siano un po’ sconnessi dalle sezioni di chitarra. Non c’è un attimo di tregua in questa marcia forsennata degli strumenti e presto ci si ritrova avvolti e distrutti senza accorgersene. Concludono il disco il groove massiccio sdraiato su un tappeto di doppia cassa di Impale to Kill e la brutalità della finale The Lack of Space, adattissima a darci il colpo finale per un disco che non ammette in alcun modo cali di tensione o intensità.

I Master sono ancora tra di noi e nonostante i vari cambi di line-up, Paul è sempre un buon compositore di death metal. La sua costanza e inamovibilità ormai sono così leggendari che molti lo considerano il Lemmy del metal estremo e penso che questo soprannome possa calzare a pennello per lui. I Master sono death metal classico quindi adulatori dell’estremismo tecnico astenersi, per piacere.  
 

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