Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Projekt
Anno: 
1997
Line-Up: 

- Michael Van Portfleet - Chitarra, Voce, Sampling
- Tana Vanflower - Voce
- David Galas - Tastiere, Samplig

Tracklist: 

1. Frozen
2. Bare
3. Baltica
4. Colder
5. Snowdrop
6. Drifting
7. December
8. Polaris
9. Later

Lycia

Cold

Enigmatica, sofferta e metafisica, la musica di Lycia ha rappresentato e rappresenta tutt'ora la testimonianza più agghiacciante del mistero e del linguaggio oscuro della dark wave moderna, un cosmo vuoto a cui Michael Van Portfleet ha dato forma, schiacciandolo in una dimensione astratta e indefinibile, raffigurandone all'interno la decadenza più straziante, le riflessioni più angoscianti, le atmosfere più tenebrose.
Tutto questo ebbe inizio nel lontano 1988, quando Van Portfleet decise di staccare la spina e di abbandonarsi alla graffiante morsa della solitudine ("A partire dal 1981, avevo suonato la chitarra in diversi gruppi. Il motivo per cui ho messo su Lycia e’ che mi ero davvero stancato di non poter fare quello che mi andava di fare") dando alla luce Wake, primo abbozzo di quello che più avanti diverrà uno dei sound più penetranti e atmosferici che la musica moderna ricordi.
Fluttuanti masse oniriche che si incastrano a melodie lente e abbandonate, debitrici del dark ottantiano (Dead Can Dance e Joy Division in primis) ma allo stesso tempo capaci di evocare sensazioni interiori mai sperimentate prima, perchè quelle radici sonore ai quali Van Portfleet era indissolubilmente legato vengono sradicate, tirate fuori dalla loro area, intensamente reinterpretate, distorte e immerse nel buio più totale, nello stato mentale/interiore di un essere umano che ha superato l'atmosfera indefinita e in qualche modo fantastica degli anni '80 e si ritrova così nello straziante silenzio della quiete post moderna.

"The time has come for everything to fade
as I slip in the cold...and I'm colder"


Cold esce nel 1997, ovvero quando i primi due capolavori A Day In The Stark Corner (1993) e The Burning Circle And Then The Dust (1995) avevano già possentemente innalzato il nome di Lycia tra i più maestosi e affascinanti della musica di allora. Il suono tenebroso, fitto e inscalfibile dei due precedenti dischi incomincia però ad allontanarsi lentamente dai pensieri e dalle idee di un Van Portfleet diverso, trasformato; Cold dilata ed espande infatti le possenti strutture su cui si basavano Stark Corner e The Burning Circle, sciogliendo i loro nodi atmosferici, risolvendo i loro enigmi concettuali e rigettandoli in quel freddo a cui l'arte visionaria del compositore statunitense non ha saputo resistere, abbandonandovisi.
Le chitarre lente e distorte di Van Portfleet disegnano in Cold sinfonie maestose e raggelanti, guadagnando in limpidezza e spessore evocativo anche se a scapito delle sonorità più cupe e fumose che regnavano in A Day In The Stark Corner.
Ma è d'altronde l'intera atmosfera di base del disco che presenta un distacco notevole: il riffing si trasforma in una marcia sempre più lenta, dilatata e resa soave dalla voce dell'appena entrata sirena Tana Vanflower, le tastiere di David Galas (in pianta stabile dopo la pubblicazione di Ionia nel 1991) implodono in tappeti sonori gotici e inquietanti su cui la sei corde di Van Portfleet s'impone con il suo suono crudo e rarefatto.

"I'm so frozen and so caught up in this day
I'm so frozen and so lost in this cold day"


Qualche leggero rintocco di batteria sintetizzata, una chitarra smorzata che piange decadenti melodie ed eterei soundscapes provenienti dalla caligine dell'orizzonte: Frozen apre il disco nella maniera più gelida possibile, distribuendo sulla pelle brividi d'angoscia esasperati dalla voce di un Van Portfleet quasi demoniaco; all'interno di ogni nota le emozioni si anestetizzano, le immagini si fanno ghiaccio, i sentimenti si bloccano in una paralisi interiore che delinea la struggente poetica dell'abbandono nascosta all'interno di Cold. Per giungere fino al suo nucleo più profondo bisogna allora spaccare una ad una le lastre di ghiaccio che lo raccolgono: Bare comincia ad appiccare un fragile fuoco attraverso i suoi refrain romantici e sognanti (resi poi ancora più commoventi nella stupenda Drifting), mentre il candido cantato della Vanflower risponde fragilmente all'eco onirico delle chitarre di Van Portfleet, capaci di raccogliere con eleganza estrema l'eredità strumentale dei Cocteau Twins e del dream-pop, aspetto riscontrabile anche nell'esoterismo psichedelico e nelle magie ipnotizzanti di Baltica, Polaris e Snowdrop, che riportano alla mente i fumosi misteri e gli enigmi dei Dead Can Dance di Spleen And Ideal. Ma laddove sembri esistere una lieve fiamma che possa sciogliere il freddo di questa musica, subentrano immediatamente il senso di straniamento, l'alienazione interiore e la più dannata sensibilità decadente: dapprima Colder, vero gioiello del disco, erge davanti ai nostri occhi un monumento alla tristezza con i suoi arrangiamenti posati ma colmi di enfasi drammatica, poi December fa ingresso trascinandosi dietro tutta la desolazione del mondo e trasponendo in musica uno dei passaggi cruciali nella carriera e nella vita di Van Portfleet, ovvero il trasferimento dal silenzioso deserto dell'Arizona alle vette innevate dell'Ohio su cui il disco gira interamente, cercando di esprimere nella maniera più intensa ed evocativa lo splendore dell'inverno e del suo freddo, ma anche il dilemma della distanza, del distacco, dello sgomento.

Cold è un monumento alla desolazione e alla malinconia, un'opera d'enorme valore, evocativa e atmosferica come poche, soprattutto per quanto riguarda quella scena dark risvegliatasi ad inizio anni '90 che vede proprio nella splendida creatura di Van Porfleet la sua espressione più maestosa e affascinante. Aspetto che si realizza quando poi Later, traccia conclusiva del disco, dopo essersi innalzata nelle sue distorte cavalcate di stampo shoegaze, si dilegua tra gli ultimi residui di nebbia lasciando solo il silenzio al suo addio, con quella penetrante sensazione di freddo e di solitudine che, invece di placarsi, si espande e si riproduce, lasciando che la pelle si immobilizzi e che i brividi ghiaccino la spina dorsale, mentre il cuore, perso e abbandonato, riposa silenzioso nell'interminabile eco di questo incantesimo invernale.

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