Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Marco Lorenzi
Genere: 
Etichetta: 
Dedted Records
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Darren Ford - voce, chitarra, batteria
- Daniel Symons - chitarra
- Miles Willey - basso


Tracklist: 


1. Clear (03:54)
2. Burning Embers (03:21)
3. Just Like Skin (04:18)
4. Don't Let Love In (03:48)
5. Flame (04:06)
6. When the Song Is Over (04:26)
7. Dead Sea (04:14)
8. Nothing Stays the Same (04:03)
9. Farmer's Tale (03:51)
10. Hope & Reason (04:02)

Lowgold

Promise Lands

Avete presente i colori a tempera? Quelli che dai tubetti piccoli finivano nel piattino per essere mescolati e scoprire le tonalità dense e variegate che il colore è in grado di generare?
Ecco, pensiamo alla stessa cosa. Con l'eccezione che, in questo caso, nel piattino non ci metteremo i colori, ma le note e le parole di una band. Prendiamo un po' dei Travis, stendiamoli piano unitamente ai toni più distesi di certi Coldplay d'annata. Proviamo ad aggiungere anche qualche lirica disincantata alla Gary Lightbody, Snow Patrol.
Manca ancora qualcosa. Mettimoci anche un bel po' di freschezza e semplicità compositiva ed il gioco e fatto. Ecco a voi i Lowgold, Indie Pop band d'oltre Manica, che arriva in questo 2008 con un nuovo lavoro in studio, dal titolo Promise Lands.

Terre promesse, appunto, come quelle che il trio capitanato dal "tuttofare" Darren Ford sta per raggiungere dopo anni di gavetta con qualche EP, un album in studio ed un'antologia. Si, perché non è certo buono il rapporto che la formazione britannica di St. Albans ha avuto nel corso degli anni con la fortuna. Ricordiamo il fallimento di Nude Records, etichetta con la quale la band esordì nel 2000, quindi i momenti difficili dopo l'abbandono di uno dei membri fondatori, Simon Scott.
La decisione di fondare la Dedted Records, etichetta indipendente propria, ha portato alla nascita di Promise Lands, che sembra rappresentare un punto di svolta per la band.

Quello dei Lowgold è Indie Pop/Rock denso e ben congegnato, costruito su atmosfere ovattate e con una sezione ritmica mai eccessivamente incalzante. Una cura smaniosa dei particolari negli arrangiamenti è ciò che balza agli occhi immediatamente. Fin dalle note di Clear, in effetti, ci rendiamo conto di trovarci di fronte ad un lavoro di tutto rispetto. C'è qualche rimando ai Travis più conosciuti, come detto in apertura, ma la sensazione di deja entendu non c'è e di questo l'ascoltatore può essere felice.
La ballata iniziale ci porta dritti a Burning Embers e Just Like Skin, le quali accrescono in noi la consapevolezza di avere tra le mani una novità davvero interessante.

Ulteriori conferme giungono dalla parte centrale del full-lenght, con una Flame che mette in prima linea la sezione ritmica, in un connubio con chitarre elettriche riverberate e la voce di Darren Ford quasi in sordina. When the Song Is Over è, invece, episodio più scanzonato, in grado di richiamare forse qualche vecchia pagina di storia firmata U2. Non azzardiamo paragoni chissà che importanti, comunque, finendo con il concentrarci soltanto sulla parte finale del disco. C'è Hope & Reason a far sobbalzare l'ascoltatore, in un lento protrarsi di chitarre per un quadro crepuscolare negli ultimi passi di un percorso tortuoso che volge al termine.
Come il lento peregrinare verso la terra promessa, ammesso che questa esista davvero.

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