Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Superball Music
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Janosch Rathmer - Batteria
- Reimut Van Bonn - Elettronica
- Jan Hoffmann - Basso
- Florian Funtmann - Chitarra
- David Jordan - Chitarra
Guests:
- Jonas Renkse - Voce in "The Nearing Grave"

Tracklist: 

1. Apparitions
2. Black Paper Planes
3. 359
4. I Know You Stanley Milgram
5. The Nearing Grave
6. Sundown Highway

Long Distance Calling

Avoid the Light

Dopo la sorpresa, ecco la conferma.  A due anni di distanza da quello che fu uno dei migliori prodotti del 2007 in ambito in post rock (Satellite Bay), i Long Distance Calling fanno ritorno d'innanzi al pubblico internazionale con le stesse intenzioni (e ambizioni) che avevano fortemente caratterizzato il precedente, magico full-lenght, nel tentativo di dimostrare una volta per tutte le solide basi creative e realizzative su cui la giovane band teutonica ha costruito il proprio peculiare linguaggio.
Quello dei Long Distance Calling è infatti un post rock difficilmente inquadrabile nei sotto-filoni del genere che si sono via via venuti a formare: lontano tanto dalle forme 'sinfoniche' di Godspeed You! Black Emperor, Mono e A Silver Mt. Zion quanto dalle ricercate contaminazioni d'impronta mogwaiana, lo stile del complesso mitteleuropeo riduce la matrice post rock ad un semplice filo conduttore tematico e formale, attorno cui si snodano splendidamente impennate simil-prog, equilibrate rifiniture metal (Isis docet) e un senso di compattezza sonora ed emotiva tipica della moderna sperimentazione alternative-rock d'oltreoceano.

Curatissimo nella produzione e negli arrangiamenti oltre che permeato da un impeccabile afflato melodico, Avoid The Light non tradisce le premesse di fondo della complesso, proseguendo sulle coordinate che Satellite Bay aveva saldamente tracciato due anni or sono (tracce lunghe, mood malinconico, progressioni ritmico-atmosferiche)  ma arricchendone l'impatto e la solidità attraverso un sound colmo di influenze ma al contempo particolare e modellato con grande acume.
Avoid The Light è innanzitutto un lavoro più maturo rispetto al precedente full-lenght, sebbene non propriamente in grado di raggiungerne l'efficacia emotiva e quel senso di estrema genuinità tipico delle prime realizzazioni di un gruppo; tralasciando l'ovvietà che sarebbe stato difficile per chiunque ripetersi su tali livelli d'intensità e di magnetismo emotivo (come sono appunto stati quelli dell'esordio), il disco in questione non rinuncia affatto alla ricerca melodica e alle commoventi intuizioni di Satellite Bay ma, nel suo estremo proiettarsi verso un ideale di compattezza e di unità sonora, rischia spesso di perdere quelle atmosfere e quegli onirismi timbrici di cui il precedente lavoro era splendidamente ornato.

Ma anche in questo caso le perle non mancano e Avoid The Light sforna, una dopo l'altra, piccole meraviglie estirpate da un immaginario post rock distorto e sotterraneo: a partire dalla strepitosa The Nearing Grave, in cui la malinconia delle costruzioni melodiche si allaccia perfettamente allo stato di grazia vocale dell'ospite d'onore Jonas Renkse (l'influenza dei Katatonia è percepibile in ogni istante del brano), fino ad arrivare agli introspettivi giochi in chiaro-scuro della dredgiana 359 (il cui commovente finale rimane tra i momenti migliori dell'intero album) e alla forza evocativa dell'opener Apparitions (un quasi corrispondente della splendida Fire On The Mountain), l'album innalza tempeste melodiche in successione, farcendole con uno spirito arrangiamentale brillante ma, senz'ombra di dubbio, meno affascinante e ricercato rispetto alle soluzioni cromatiche di Satellite Bay. Come già accennato, l'unico elemento che in fin dei conti impedisce ad Avoid The Light di spiccare la corsa verso le soglie del capolavoro, è da inquadrare esclusivamente nella progressiva, ma netta, perdita di quella peculiarità atmosferica a cui l'ensemble teutonico ha preferito un impatto più duro, più metal, indubbiamente più incisivo (I Know You Stanley Milgram) ma non per questo privo di dilatazioni melodiche più pacate (il refrain centrale di Black Paper Planes).

Tali sono in fondo le uniche motivazioni che, all'interno di un'analisi puramente riassuntiva, impediscono al disco in questione di toccare, per complessiva bellezza, i livelli del precedente full-lenght; ma il solo fatto che i Long Distance Calling siano riusciti a non cascare in quell'ormai abituale trappola (fatta su misura per le band emergenti) costituita dai clichè, dalla banalità e dal pressappochismo discografico, denota la tenacia e la brillantezza creativa di un gruppo di artisti a cui gran parte della scena post rock (ebbene si, ritorniamo sempre agli stessi, retorici discorsi) sarà debitrice, se si continuerà di questo passo.


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