Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Etichetta: 
Solid State Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

:
- Bruce Fitzhugh – lead vocals, guitar
- Rocky Gray – backing vocals, guitar
- Arthur Green – backing vocals, bass
- Lance Garvin – drums

Tracklist: 

:
01. Overkill Exposure
02. Rules Of Engagement
03. Nietzsche’s Madness
04. Unfit To Live
05. The Training
06. Organized Lie
07. The Reckoning
08. Love Forgives
09. They Were One
10. God Is My Home
11. Apostasy 

Living Sacrifice

The Infinite Order

Quando capita che troppo si dovrebbe dire, forse è meglio tacere e lasciare che ciascuno, alimentato dalla più sincera curiosità, approfondisca in solitudine, in disparte, l’argomento, senza guide petulanti che possano deviarne i contenuti, filtrarne le impressioni, alimentarne le illusioni secondo le proprie aspettative, i propri gusti, le proprie inclinazioni. E’ esattamente con questo approccio che abbiamo deciso di introdurre i Living Sacrifice, pionieri assoluti del christian metal, di ritorno sulle scene discografiche, se si esclude il temporaneo best of In Memoriam dell’ormai lontano 2005, dopo ben 8 anni di assenza. Avremmo potuto dilungarci in lungo e in largo su una delle più interessanti biografie che la storia recente del metal moderno ricordi, ma, visto e considerato l’immancabile scetticismo che ancora oggi accompagna le formazioni autodefinitesi christian, abbiamo preferito lasciare a voi la più piena libertà di pensiero in proposito a una scelta non soltanto musicale ma anche e soprattutto etica, che potrete chiamare orgoglio, ipocrisia, fede, a seconda della vostra personale sensibilità.

La carriera discografica dei Living Sacrifice è, in sintesi, un trionfo, per quanto sostanzialmente underground, che ben poche formazioni contemporanee possono vantare, frutto di una determinazione collettiva assolutamente inattaccabile, e di scelte stilistiche tanto coraggiose quanto pragmatiche e lungimiranti: nonostante i frequenti cambi di line-up (soltanto il singer chitarrista Bruce Fitzhugh ed il batterista Lance Garvin hanno percorso l’intera carriera artistica della band dal 1989, anno della fondazione, ad oggi) e l’improvviso fallimento della casa discografica che per prima aveva scommesso su di loro, la R.E.X. Records, col conseguente passaggio alla neonata Solid State Records, lo spirito nativo del combo proveniente dall’Arkansas è rimasto perfettamente immutato nel corso degli anni, consentendo al moniker originario di Little Rock di superare tutte le intemperie personali o contestuali con coerenza e sacrificio e di risorgere a nuova vita, quest’anno, nel 2010, dopo ben 8 anni da quello scioglimento che nessuno si aspettava, nessuno si augurava, e tutti temevano.

E’ così che quel fragile germoglio di speranza che era affiorato nel 2005, quando ai 2 terzi della formazione originale si era unito il chitarrista Rocky Gray per la registrazione di 3 brani inediti da inserire nel loro definitivo best of - dal significativo titolo In Memoriam, è cresciuto e si è rafforzato, fino a sbocciare nel tanto atteso annuncio: il 4 febbraio 2008 i Living Sacrifice prendevano ufficialmente possesso di una pagina myspace e proclamavano, in via del tutto ufficiale, la riunione della band, col sospirato ritorno di Arthur Green dietro le pelli, e la loro inattesa partecipazione al Stronger Than Hell Tour in supporto alla seconda più importante formazione chistian metal statunitense, i Demon Hunter. Frutto proibito di questa rapida concatenazione di eventi, ultimo stadio di uno dei più attesi ritorni di questo grigio 2010, è, appunto, The Infinite Order, settimo album di una storia musicale e umana che ha ancora molto, davvero molto, da dire.

Dopo un’intera discografia impostata su una miscela leggermente edulcorata di death e thrash metal, i Living Sacrifice ritornano sulle scene internazionali inserendosi in maniera a dir poco superba nel ribollente calderone groove metal: The Infinite Order, infatti, non soltanto può definirsi un perfetto esemplare di modern metal, etichetta sin troppo vaga ma assolutamente appropriata, ma anche e soprattutto un’alternativa concreta e originale a quanto finora rappresentato da formazioni ben più blasonate quali i DevilDriver, di cui Bruce Fitzhugh & Co. contribuiscono a eliminare alcune fastidiose ridondanze, e Lamb Of God, rispetto ai quali riescono a produrre un sound decisamente più compatto e totalitario e a sostenere ritmiche ben più dinamiche e travolgenti.

Atmosfere brutali e lugubri, sorrette dalle geometrie efferate di un riffing sempre affilato e bruciante, accolgono le grida nervine, prorompenti, di Bruce Fitzhugh, mentre la batteria, massiccia e incombente, accompagna il diabolico corteo sulle sponde spesso opposte di un metal sempre ispirato e coinvolgente: le ritmiche assassine di Overkill Exposure, dove un feroce drumming in levare rivela le proprie furenti radici thrash, procurano la prima ineffabile stilettata, lasciandoci in balia della trascinante Rules Of Engagement, primo singolo estratto, mentre Nietzsche’s Madness pone fine alla prima trilogia del furore con inaudita veemenza, frutto di un chorus prolungato, sofferente, devastante.

Unfit To Live e The Training costituiscono il momento più delicato e trepidante dell’intero platter: mentre le cadenze più compassate della prima, i suoi breakdown improvvisi e mortali, le ambientazioni trepidanti, inquiete, dannatamente oscure, offrono qualche momento di incerta e avventata rilassatezza, la seconda traccia costituisce forse l’episodio più complesso e cerebrale di questo incalzante The Infinite Order, rinfocolando le sinistre inquietudini già introdotte con la precedente Unfit To Live e rielaborandole secondo un’istintiva e ribelle vocazione mosh che, ne siamo certi, saprà schiudersi con sempre maggiore convinzione nelle successive prove discografiche della band. Proprio The Training manifesta nella sua più piena evidenza il difetto principale, l’unico effettivamente manifesto, di questo magnifico album, ovvero una produzione a tratti davvero deludente: le funamboliche evoluzioni del bravo Rocky Gray (talvolta un po’ caotico, a dire il vero) rimangono sovente schiacciate dalle poderose sovraincisioni di chitarra e soprattutto batteria, riecheggiando in lontananza in maniera del tutto inutile, velleitaria, a tratti persino fastidiosa, appurato che l’istintivo sforzo di tendere l’orecchio il più possibile si rivela perfettamente inutile e inutilmente faticoso. Tuttavia, la stridente Organized Lie e la tripletta successiva si fanno abbondantemente perdonare delle mancanze appena individuate, così facilmente sopprimibili in sede di mixaggio, riproponendoci, in maniera tanto più tangibile quanto più dirompente, la caratteristiche cavalcate groove di questa seconda vita artistica dei Living Sacrifice, prima con la furibonda The Reckoning poi con la più soffice Love Forgives, in parte assimilabile persino a quanto proposto dai conterranei Shadows Fall nella loro ultima fatica, Retribution – soprattutto nella sezione centrale, con annesso volteggio di chitarra in perfetto heavy – style, infine con They Were One, un piccolo gioiello, nella sua semplicità quasi infantile, di groove metal elementare ed ottimamente calibrato.

 L’avvolgente God Is My Home e la conclusiva e ammaliante Apostasy, tanto tenera negli arpeggi acustici introduttivi quanto impietosa nel voluminoso crescendo centrale, scrivono meravigliosamente la parola fine su un lavoro di rara pregevolezza, che bilancia pressoché alle perfezione furia sfrenata e rigido autocontrollo, che non cede a stucchevoli ricercatezze, che rinuncia a qualsiasi ammiccante concessione melodica, che dimostra una coesione strumentale e compositiva completamente scevra di vacui orpelli o noiose prolissità, figlia di un’interazione umana dalla naturalezza e dalla genuinità che soltanto persone, musicisti in questo caso, che condividono un progetto da anni ed anni possono possedere in maniera così spiccata. Al contrario, i Living Sacrifice sono ritornati quest’oggi, nel 2010, dopo quasi 8 anni di assoluta inattività, ricomponendo legami personali evidentemente mai del tutto spezzati e ritrovando quella simbiosi che da sempre li ha accompagnati nel corso della loro ventennale carriera. Con umiltà, con determinazione, con profonda onestà nei confronti di sé stessi e dei propri irriducibili fans, il metal ha ritrovato oggi, finalmente, una band rinnovata nella forma ma immutata nello spirito: The Infinite Order, possiamo dirlo, non è che l’ultima eco di un passato mai spento, il primo passo di un futuro appena sorto.

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