Voto: 
6.6 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Candlelight Records/Audioglobe
Anno: 
2007
Line-Up: 

:
- Daemon (Vidar Jensen) - Voce, Chitarra
- Morfeus (Krister Dreyer) - Programming, Chitarra, Voce


Tracklist: 

:
1. A Cosmic Funeral Of Memories
2. A Void Of Lifeless Dreams
3. Grace By Torments
4. Infernal Phantom Kingdom
5. Legacy Of Evil
6. Lycanthropic Tales
7. Nebulous Dawn
8. Seven Doors Of Death
9. Twilight Omen
10. Unleashed From Hell

Limbonic Art

Legacy of Evil

Scioltisi nel 2002, dopo essere stati uno degli astri più luminosi del fiammeggiante panorama Black Metal norvegese degli anni ’90, e riunitisi nella pacchiana e prevedibile data del sei Giugno 2006, i Limbonic Art di Daemon e Morfeus tornano effettivamente a calcare le scene musicali a Settembre 2007, con questo ‘reunion-album’ intitolato “Legacy of Evil”, tentativo di riportare in auge un nome storicamente associato alla gloria dei suoi primi due dischi, lo scintillante debutto “Moon in the Scorpio” e il susseguente capolavoro “In Abhorrence Dementia”, uno dei massimi (per chi scrive, il massimo) picchi mai raggiunti dal Black Metal nella sua variante sinfonica; la seconda parte della carriera della band fu caratterizzata dalla pubblicazione di due dischi minori, seppur qualitativamente soddisfacenti, ovvero “Ad Noctum” e “Ultimate Death Worship”, che estremizzarono velocità, campionamenti e violenza, concedendo molto meno spazio a quelle aperture sinfoniche che, originariamente, resero grande la band.

“Legacy of Evil” propone un sound ch’è unione dei due corsi della band, basato su batteria programmata (i Limbonic Art, assieme ai Samael, furono tra i precursori nell’utilizzo della drum-machine nel Black Metal) dalla tremenda velocità, unico supporto ritmico (come da tradizione, manca il basso) al riffing asciutto e sferzante delle due chitarre ed al –come sempre, eccellente– mortifero screaming di Daemon; sono recuperate, inoltre, le (in questa occasione, non particolarmente) corpose sezioni tastieristiche degli inizi, adoperate per restituire un tono più maestoso e grandioso al suono generale: il momento in cui ci si avvicina maggiormente all’epoca di “Moon in the Scorpio” è la nona “Twilight Omen”, con introduzione orchestrata da un valzer di sintetizzatori, cori puliti ed atmosfere solenni – altrove, il suono rimane (nonostante il discreto ruolo delle tastiere) piuttosto secco, rendendo “Legacy of Evil” un disco decisamente aggressivo e tagliente, basti pensare che il riffing di “A Void of Lifeless Dreams” sfiora a tratti i rudi reami del Thrash Metal, e che l’unica occasione in cui vengono utilizzati estensivamente tempi cadenzati è “Grace by Torments”, peraltro nemmeno troppo indovinata perché priva di variazioni sul tema di sufficiente valore.
L’ispirazione torna marcatamente a graziare Morfeus e Daemon nelle composizioni più articolate e prolungate del disco, quali l’iniziale “A Cosmic Funeral of Memories”, furiosa e notturna, la sesta “Lycanthropic Tales”, con suggestivi interventi corali e ululati, e “Seven Doors of Death”, rapidissima e velenosa, ma tenuta viva da un riffing corposo e da sottili intuizioni sintetiche: il tratto finale del disco è reso valido anche dalla conclusiva “Unleashed From Hell”, il brano più efficace sulla breve distanza – di valore solo sufficiente i restanti episodi, che vedono i Limbonic Art incapaci di esprimersi ai massimi livelli.

Non c’è nessuna novità sostanziale in questo “Legacy of Evil”, album in cui i brani memorabili sono equamente inframmezzati da episodi che viaggiano sulla soglia della mediocrità, terribilmente insipidi se paragonati con quanto i Limbonic Art furono in grado di creare in passato: pur non mancando carisma e personalità (il loro suono è riconoscibile fra mille, e molteplici sono i tocchi di classe –un riff convincente, un accompagnamento pianistico indovinato, un break da vera suspence...– sparsi fra i sessanta minuti del disco), “Legacy of Evil” fallisce nella (peraltro, praticamente impossibile) impresa di rinverdire i fasti d’inizio carriera, finendo per rimanere invischiato in quel trend che aveva portato la band a terminare il proprio percorso artistico un lustro fa, caratterizzato da buone idee ma dall'incapacità di tornare ai massimi livelli, quelli che dovrebbero competere ad un gruppo di questa caratura.
I momenti di brillantezza non mancano, comunque, ed il disco è pertanto consigliato agli inguaribili nostalgici che portano nel cuore i precedenti capitoli firmati dal leggendario duo di Sandefjord.


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