Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
Century Media Records
Anno: 
2002
Line-Up: 

:
Cristina Scabbia – Voce femminile
Andrea Ferro – Voce maschile
Marco Coti Zelati – Basso
Marco Emanuele Biazzi – Chitarra
Cristiano Migliore – Chitarra
Cristiano Mozzati – Batteria

Tracklist: 

:
1. Swamped
2. Heaven’s A Lie
3. Daylight Dancer
4. Humane
5. Self Deception
6. Aeon
7. Tight Rope
8. The Ghost Woman And The Hunter
9. Unspoken
10. Entwined
11. The Prophet Said
12. Angel’s Punishment
13. Comalies
14. Lost Lullaby

Lacuna Coil

Comalies

Comalies è l’album certamente più famoso dei Lacuna Coil in quanto riesce a fondere con straordinaria naturalezza ed altrettanta efficacia un’eccellente facilità d’ascolto con una buona abilità compositiva: le tracce si susseguono con estrema scorrevolezza, si lasciano memorizzare con suadente rapidità, si fanno apprezzare sin dal primo ascolto senza alcuna esitazione; allo stesso tempo, le costruzione sonore, pur trasmettendo un’innata semplicità, non risultano mai banali, scontate, prevedibile, difetto che sarebbe deleterio anche in presenza di un chorus catchy o un riff pungente, che in questo album sono prodotti a profusione e senza soluzione di continuità. Uno degli aspetti maggiormente esaltanti è senza dubbio la straordinaria maturità vocale acquisita da Cristina Scabbia: stupisce come la vocalist milanese, in un solo anno di esperienza live, sia riuscita ad affinare in maniera così evidente le proprie capacità interpretative ed il proprio autocontrollo vocale, al punto tale che quei momenti di pronuncia affettata o timbro eccessivamente metallico, che di tanto in tanto penalizzavano le tracce di Unleashed Memories, in Comalies sono totalmente assenti, al posto dei quali troviamo una vocalità femminile dinamica, a piacere aggressiva o ammaliante, avvolgente ed estremamente carismatica. Un secondo elemento da evidenziare con forza è un netto avvicinamento stilistico verso soluzioni sempre più rock, non tanto in termini di sound puro o scelte strumentali quanto nelle linee ritmiche, cariche di groove e sempre più lontane dalle fascinazioni gothic e symphonic.

Dal punto di vista della tracklist, Comalies si introduce con una tripletta veramente da brivido: Swamped è un concentrato di agonismo canoro, nel quale l’aggressività maschile si unisce alla più sottile femminilità; Heaven’s A Lie è una hit entusiasmante che gode di un ritmo sin da subito coinvolgente e senza pause nonostante i quasi 5 minuti di durata, merito soprattutto ad un riffing di matrice nu metal ed alla vocalità ipnotica di Cristina Scabbia, degnamente supportata, nel chorus, dal cantato più iroso e abrasivo di Andrea Ferro; Daylight Dancer, al pari delle prime 2 tracce, è l’ennesimo singolo potente ed estremamente catchy, in grado di distinguersi per un inciso immediatamente orecchiabile e un efficace utilizzo delle tastiere, che conferiscono al pezzo una dimensione decisamente più oscura e inquieta rispetto a i 2 episodi precedenti. Tutti questi 3 pezzi presentano, singolarmente e nel loro complesso, i germi dell’innovazione sonora che scaturirà in tutta la sua completezza nel successivo capitolo discografico, quel Karmacode che sarà fonte di una pericolosa spaccatura all’interno della fan base dei Lacuna Coil ma che se non altro è, a buon ragione, il passo più ovvio nel cammino evolutivo sempre deciso e coerente del combo lombardo. Humane rappresenta, con ogni probabilità, la prima caduta di tono di Comalies: nonostante una struttura canora fondamentalmente pesante ma mai noiosa e numerosi interventi tastieristici di piacevole banalità, è il chorus, melodrammatico sino alla sfinimento, a lasciare un pessimo amaro in bocca, giacché conferma di trovarci di fronte ad un down tempo sicuramente ben concepito ma abbastanza freddo e noioso. Il riscatto, tuttavia, è immediato: Self Deception ripropone le ritmiche rock già intraviste nella trilogia d’apertura, dove i soliti riff distorti e compatti fanno da apripista ad un chorus insolitamente sinistro e acuto ma di assoluta gradevolezza. La traccia 6, Aeon, ci consegna un breve momento di pausa: sorretta da un grazioso arpeggi di chitarra, immersa in atmosfere liquide, la vocalità eterea di Cristina Scabbia si dipana in maniera fluida ed accogliente, immergendoci in un momento di assoluta pace dei sensi. Quest’ultima viene immediatamente spezzata da uno dei momenti più coinvolgenti ed esaltanti dell’intero platter, vale a dire Tight Rope: una trama di tastiera in sottofondo ci reintroduce in un’inquietante prospettiva gotica, mentre il consueto riffing aggressivo, ben sottolineato da capziosi accenni di blastbeat, ci guida verso un chorus al solito graffiante e dinamico, durante il quale Cristina Scabbia dà prova assoluta della propria strabiliane evoluzione stilistica ed interpretativa rispetto al precedente Unleashed Memories, in quest’ultimo decisamente più acerba e glaciale. The Ghost Woman And The Hunter dimostra ulteriormente i miglioramenti vocali della nostra eroina: in una ballad dalla struttura apparentemente intuitiva, dove un riffing meno massiccio e linee di drumming a dir poco essenziali supportano alcuni efficaci interventi di tastiera, alla prestazione vocale viene demandato il compito non facile di guidare tutto l’apparato emotivo della canzone, obiettivo che la singer tricolore porta a compimento senza apparente sforzo e col massimo risultato. Alla pausa rappresentata dalla traccia 8 non può che seguire un pezzo un po’ più movimentato ed effervescente, ma Unspoken si rivela una sorpresa agrodolce: sulle spalle di un ritmo tendenzialmente saltellato e abbastanza inconsistente, persino la voce di Cristina Scabbia fatica ad esaltarsi, e così pure l’ascoltatore, che deve attendere il chorus e il valido accompagnamento di Andrea Ferro (sempre convincente come seconda voce, talvolta imbarazzante in un ruolo di primo piano: non ci si stupisca se all’epoca ci si chiedeva per quale ragione facesse parte della band o per quale astruso motivo l’attenzione si concentrasse tutta sulla sua partner femminile) per trovare finalmente un appiglio realmente convincente. Entwined ripercorre, in parte, la strada percorsa dal brano precedente, questa volta in maniera più heavy e immediata, al contempo fascinosa e atmosferica, facendo risuonare nuovamente i consueti riff in stile nu metal e lasciando riecheggiare gli inquietanti volteggi di tastiera in sottofondo. Questi alti e bassi trovano il loro punto più doloroso con The Prophet Said, brano piuttosto noioso, costruito attorno alla banale alternanza vocale fra Andrea Ferro, alle prese con l’aridità spiazzante delle strofe, e Cristina Scabbia, vittima della pochezza sconfortante del chorus; nonostante tutto, un finale decisamente ammaliante salva il pezzo da un tracollo pressoché irripetibile. A seguito di quest’ultimo, davvero un episodio di livello men che mediocre, appare uno dei momenti in assoluto più enigmatici di Comalies e, paradossalmente, dell’intera produzione discografica firmata Lacuna Coil, vale a dire Angel’s Puinishment: sullo sfondo di una litania psicotropa di cori simil-sympho, le inedite spoken words di Cristina Scabbia si lasciano cullare da un cristallino arpeggio di chitarra e acidi campionamenti elettronici, salvo poi esplodere nella loro più intima disperazione trascinate dalle grida rabbiose di Andrea Ferro. Pur trattandosi evidentemente di un esperimento, il risultato è di buon livello tecnico e di straordinario impatto live, merito soprattutto della eccellente prova da screamer del cantante meneghino, ed è proprio per questa ragione che questa traccia ci consegna un interrogativo alquanto arduo da dirimere: per quale motivo i Lacuna Coil non hanno più riproposto una simile scelta? Perché Andrea Ferro non si è più calato in quelle vesti a suo modo inattese e diverse, certamente meno convenzionali, nelle quali aveva dato una così ottima prova di sé? Il finale dell’album è affidato alla titletrack Comalies, mid-tempo italiano-inglese in cui la brillantezza minimalista delle strofe compensa la piattezza soporifera del chorus, o Lost Lullaby nella special edition, brano estremamente interessante grazie ad un sentimento di rassegnata malinconia permeante l’intera struttura canora, laddove unico neo può essere individuato nella vocalità forse un po’ asettica di Cristina Scabbia (non a caso si tratta di un brano ripescato dalle registrazioni di Unleashed Memories).

In definitiva, Comalies è certamente un album straordinario, ma che non riesce a superare la gradevolezza sonora né la varietà compositiva di Unleashed Memories: la presenza di ben 4 tracce in più rispetto all’illustre predecessore non può certamente essere trascurata, visto che aumenta considerevolmente il rischio di proporre qualche fastidioso filler, ma ciò non modifica sostanzialmente il valore di un album che, per quanto mediamente più che valido, non riesce a raggiungere le vette strumentali ed emotive toccate dal precursore. La scelta di puntare su sonorità più fluide e meno intrinsecamente metal si rivela assolutamente azzeccata, figlia di una esigenza artistica ancora fervente e del tutto spontanea, in grado di compiacere i gusti musicali di molteplici frange di ascoltatori e allo stesso tempo non compromettere praticamente mai la qualità del songwriting: il successivo Karmacode, che per molti compirà il pericoloso passo falso appena spiegato, trova proprio qui in Comalies i suoi nuclei embrionali, configurandosi così come la più logica evoluzione di una storia musicale ancora tutta scrivere.

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