Voto: 
8.3 / 10
Autore: 
Filippo Morini
Etichetta: 
Autoproduzione
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Cosimo A. Cinieri - chitarra, voce
- Andrea Rotilio - basso
- Andrea Milanesi - batteria
- Claudio Bigio - chitarra

Tracklist: 

1. Viscera
2. Meredith
3. MDMA
4. Key Words
5. Argilla
6. Ideogramm

Koan

Krav Maga

Krav Maga è ufficialmente la seconda registrazione in studio dei Koan, quartetto Pavese che si affacciò sulla scena una manciata di anni addietro producendo un unico demo omonimo nel febbraio del 2006. Disco che solo dall’artwork cupo ed opprimente, dal logo con font Nirvaniano e dalla citazione di Melvins e Kyuss tra i ringraziamenti, lasciava ben intendere intorno a quali sfere gravitasse la musica contenuta.
Decidono oggi, dopo quasi tre anni, di dare un seguito a quelle canzoni che sapevano tanto di Seattle quanto di Palm Desert, rivelando un suono evoluto ed una tecnica matura e versatile, ma soprattutto mettendo in evidenza quanto l’acquisizione di una propria, caratteristica, personalità musicale abbia influito durante la scrittura di questo nuovo lavoro.

Basta ascoltare l’attacco di Viscera per pensare che probabilmente lasciarsi indietro gli spettri di John Garcia e Josh Homme risulti più complicato del previsto, ma trascorsi i primi deflagranti secondi di introduzione l’anima del pezzo comincia ad emergere tra tempi sincopati, melodie fatte a pezzi e ricucite tra battute che alternano misure sempre diverse, creando un mostro elettrico che affonda in un pozzo colmo di grezza psichedelia, per poi riemergere più minaccioso di prima.
Chitarre selvagge e ruvide sfuggono dalla loro stessa pesantezza applicandosi nella tessitura di brani che non conoscono struttura, si incendiano e si dimenano febbricitanti per poi distendersi su di un letto di delay, aspettando che basso e batteria le spingano nuovamente nella mischia.
Meredith rispolvera un riff dal sapore Hard Rock/Garage per cui sembrava non esserci spazio, tramutandolo immediatamente e costringendo la sua imponenza entro ritmiche in levare, lasciando poi che il risultato si dilegui tra ambigui fraseggi richiamanti il progressive “settantiano”.
Tutto questo è capitanato da una voce sciamanica e rapace, dotata delle capacità necessarie per poter risaltare sopra il vero e proprio magma sonoro eruttato dagli strumenti, riuscendo in diverse occasioni a tracciare linee melodiche inusuali ma efficaci, per quanto possa apparire strano parlare di melodia riferendosi alla musica dei Koan.
Il noise di Key Words si affaccia su scelte strutturali meno complesse e maggiormente votate all’immediatezza, riportando alla mente un impostazione tipicamente Grunge che ne favorisce la scorrevolezza e la comprensibilità, benché tutte le componenti sonore dei precedenti pezzi restino invariate a favore di un impatto musicale granitico ed oscuro.
Con Argilla si torna invece a passaggi più cervellotici ed ossessivi, ritrovando anche il gusto della sperimentazione e della potenziale improvvisazione in fase live con l’inclusione di un intermezzo rallentato ed inquietante: una batteria mansueta ma attenta e da un basso suonato con slide producono un suono morbido e ovattato, capace di modificare radicalmente l’atmosfera costruita fino a quel punto. Solo attraverso una dinamica concatenazione di bridge si ritorna al furore iniziale, concedendosi un finale monolitico che nel suo ripetersi ci convince di essere arrivati alla conclusione del brano.
Ma anche la melodia pura e priva di contaminazioni o maschere di sorta è presente, e si manifesta con la finale Ideogramm che, almeno a giudicare dai primi secondi in cui arpeggi di chitarra e basso si intrecciano con delicatezza, sembra presentarsi come il tipico pezzo lento e soave posizionato tradizionalmente in fondo alla tracklist: mai previsione fu più sbagliata.
Il suo incedere pacifico viene scosso a tal punto da rivelare influenze Sludge Metal che trascinano il brano verso picchi di lentezza e pesantezza inimmaginabili all’inizio, durante i quali musica e voce sembrano uscire direttamente da un caverna in cui il tempo si dilata fino a sciogliersi.
Un solo di chitarra dalle aride tinte Stoner sembra sancire la conclusione di tutto, ma c’è ancora spazio per un “finale nel finale” , costituito da un evocativo tapping di basso che richiama lontanamente le atmosfere sospese ed eteree dell’inizio.

Questo disco, pur essendo un Mini cd della durata di una ventina di minuti, è un vero e proprio viaggio attraverso idee eterogenee e spesso allucinanti, che in più di un occasione spiazzano completamente chi ascolta. L’unico filo conduttore è un cantato profondo e gutturale, che anche se si servisse dell’italiano (il disco è interamente cantato in inglese nonostante i titoli dei pezzi possano suggerire diversamente) nasconderebbe le parole dietro la sua rauca possenza, risultando a conti fatti uno “strumento” anche’esso. Tutto il resto continua a mutare, talvolta gradualmente, talvolta con rapide virate, facendo si che sia impossibile conoscere una canzone se non la si ascolta dall’inizio alla fine, essendo rarissime le ripetizioni di particolari passaggi.
Probabilmente un paio di episodi di breve durata e completamente staccati dal resto (alla Intermission dei Tool, per intenderci) avrebbero aiutato a spezzare l’incessante fiume musicale, valorizzando maggiormente le singole canzoni e le loro caratteristiche. Così il risultato è talmente saturo che può facilmente spaventare chi si avvicina per la prima volta a questo tipo di suoni, senza avere un background di ascolti adeguato.
Ciò non toglie, per concludere, che questo sia un lavoro estremamente buono e promettente per una band giovane come sono i Koan, una palese dimostrazione di esperienza e preparazione tecnica che porta a chiedersi il perché esistano ancora band come questa prive di un contratto discografico.

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