Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Etichetta: 
Relapse Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Jamey Jasta - voce
- Kirk Windstein - chitarra, voce
- Steve Gibb - chitarra
- Matthew Brunson - basso
- Derek Kershwill - batteria
 

Tracklist: 

1. Enlightened To Extinction (03:47)
2. God’s Law In The Devil’s Land (03:56)
3. Monuments Of Ash (03:34)
4. Behind The Blackest Tears (03:08)
5. Envision The Divide (03:12)
6. From Heroes To Dust (03:46)
7. Along The Path To Ruin (04:07)
8. With Barely A Breath (03:42)
9. The Death We Owe (03:46)
10. Sleeping Beast (02:34)
11. Torchlight Procession (02:57)
12. Salvation Denied (02:08)

Kingdom of Sorrow

Behind the Blackest Tears

I Kingdom Of Sorrow nascono nel 2005 per volontà di James Jasta, front man della mosh core band Hatebreed, e Kirk Windstein, leader delle formazioni sludge metal che rispondono ai nomi di Crowbar e Down: il frutto di un’amicizia decennale, di una stima professionale reciproca e solida al punto tale, prima, da condividere il palco in occasione di qualche sporadico concerto nordamericano, poi da organizzare insieme un tour britannico, occasione propizia per gettare le fondamenta di un progetto parallelo che riesca a fondere i gusti musicali di entrambi i suoi ideatori ed artefici con il loro personale background artistico. Nonostante la lunga e complicata gestazione, dovuta essenzialmente agli impegni di entrambi con i rispettivi main projects (nel 2006 gli Hatebreed pubblicano l’egregio Supremacy, un anno dopo i Down fanno ritorno sul mercato discografico, dopo ben 5 anni di assenza ingiustificata, con Down III: Over The Under), il debutto ufficiale dei Kingdom Of Sorrow vede la luce nel 2008, per la Relapse Records, ottenendo consensi generalmente positivi ma, nel complesso, tutt’altro eccelsi: come sempre accade, infatti, le aspettative alimentate dalla grandezza e dalla notorietà dei nomi coinvolti finiscono per far sottovalutare grandemente lavori senz’altro solidi e genuini ma evidentemente non all’altezza dei capolavori paventati ed auspicati, trascurando naturalmente una considerazione fondamentale, ovvero il tempo necessario ed imprescindibile all’amalgama tecnica e stilistica di musicisti dalle radici umane e tecniche distanti o, comunque, differenti.  

Posto che il debutto assoluto va quindi osservato con attenta indulgenza, è chiaro che la seconda release risulta decisamente più interessante e significativa per riuscire a individuare e comprendere la natura, le dimensioni e le prospettive della band in questione. Behind The Blackest Tears, questo il titolo del secondo capitolo discografico dei nostri Kingdom Of Sorrow, è la più chiara dimostrazione di come tempo e dedizione, accrescendo la conoscenza professionale e consentendo di sviluppare al meglio la conseguente e necessaria intesa, possano far svoltare anche progetti mal nati o pregiudicati da un’eccessiva fretta. In sostanza, il seguito dell’omonimo debutto Kingdom Of Sorrow è un lavoro estremamente compatto e pesante, che abbina la carica esplosiva del mosh core di James Jasta, già fortemente metallico e tagliente di suo, alle atmosfere soffocanti e cupe dello sludge metal di Kirk Windstein, che si rivela chitarrista tutt’altro che geniale ma certamente esperto e preparato. L’accurata interazione fra questi due mondi, vale a dire (in massima sintesi) sludge metal e moshcore, produce risultati di discreto valore, talvolta persino sorprendenti per impatto emotivo e credibilità del progetto, trascinato dal profondo convincimento (e coinvolgimento) dei suoi artefici, ben più saldo e appagante rispetto allo zoppicante (?) esordio; soprattutto, stupisce come, nella più totale sovrabbondanza di produzioni metal di scarsa personalità, i Kingdom Of Sorrow riescano comunque a collocarsi in maniera, piaccia o no, ben individuabile e riconoscibile, che rende soprattutto merito ad una sensibile maturazione collettiva. L’altro elemento che maggiormente sorprende, lasciando interdetti in prima istanza ma imponendosi con crescente soddisfazione nel corso degli ascolti, è la scelta di non ricorrere ad eccessivi artifici elettronici, ritocchi scenografici di gusto più o meno discutibile: Kirk Windstein e la sua crew danno vita a linee melodiche estremamente lineari per mezzo di un sound quasi minimalista, in cui tutti gli strumenti adoperati si distinguono e si riconoscono, per nulla mascherati dalle consuete produzioni plastificate. Questa ruvidità, all’inizio stridente ma capace di trasudare fascino e genuinità nel prosieguo, è un altro indizio in favore del carattere estremamente reticente di quest’album, la cui solidità, la cui efficacia, il cui entusiasmo trapelano in maniera progressiva, ma con inquieta lentezza, soltanto dopo numerosi e impegnativi passaggi nel lettore. 

Ovviamente Behind The Blackest Tears è un disco dal taglio squisitamente moderno, che richiamerà l’immediata attenzione dei fans dei 2 leader e fondatori (e delle rispettive band, ovvero Hatebreed e Crowbar) ma anche, ne siamo certi, di quanti non disdegnano un metal arcigno, oscuro, che si agiti fra il groove più dinamico e travolgente ed il buio, scricchiolante e fraterno, dello sludge, che si nutra costantemente della ferocia furente del moshcore (e pure dell’hardcore nudo e crudo) ed evochi, al contempo, l’hard rock statuario e voluttuoso dei Black Sabbath. Sebbene non si possa certamente parlare di capolavoro, è evidente lo stesso come i Kingdom Of Sorrow abbiano pubblicato un lavoro di grande saldezza e di buona levatura, che apre loro le porte di un avvenire decisamente luminoso e che smentisce del tutto, con assoluta fermezza, i tanti giudizi poco lusinghieri (ma, alla sentenza dei posteri, altrettanto frettolosi) espressi in occasione dell’omonimo debutto. 

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