Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Emanuele Pavia
Etichetta: 
Harvest
Anno: 
1970
Line-Up: 

- Kevin Ayers - Voce, chitarra, basso

The Whole World:
- David Bedford - Organo, pianoforte, fisarmonica, marimbafono
- Lol Coxhill - Sassofono
- Mike Oldfield - Chitarra, basso, voce
- Mick Fincher - Batteria, percussioni
- Bridget St. John - Voce

Tracklist: 

1. May I?
2. Rheinhardt & Geraldine/Colores Para Dolores
3. Lunatics Lament
4. Pisser Dans un Violon
5. The Oyster and the Flying Fish
6. Underwater
7. Clarence in Wonderland
8. Red Green and You Blue
9. Shooting at the Moon

Kevin Ayers

Shooting at the Moon

Vissuto all'insegna della libertà più assoluta (fisica e mentale) fin dai tempi dell'infanzia, Kevin Ayers è uno dei più genuini geni della scena di Canterbury, nonché il suo esponente più stravagante, eccentrico e bizzarro secondo solo a Daevid Allen, non per nulla uno dei suoi più grandi amici ai tempi dei Wilde Flowers e Soft Machine.
Mentre la musica di Robert Wyatt rifletteva una passione per un progressive rock all'insegna dei pastiche patafisici, e quella di Hugh Hopper e Mike Ratledge mostrava un'ambizione figlia della tradizione del jazz più cervellotico degli anni '60, l'opera artistica di Ayers è sempre stata ispirata - oltre che dal suo prorompente spirito beatnik - dall'amore per la bella vita, il buon cibo e il vino. La sua musica non tentò mai di apparire austera e colta, preferendo sempre un approccio più scanzonato e leggero rispetto ai musicisti rock suoi conterranei e contemporanei, ed è proprio per il suo carattere dadaista che il suo percorso rappresenta uno dei massimi vertici di tutto il panorama di Canterbury, nonché uno dei risultati più personali e coinvolgenti dei primi anni '70.

Emerso dal vivaio musicale di Canterbury degli anni '60, suonando dapprima con i Wilde Flowers e successivamente nei Soft Machine (il cui primo - e seminale - album eponimo aveva mostrato il suo talento naïf negli arrangiamenti melodici e spensierati), Ayers si era ben presto staccato dalle fatiche dei tour americani della band madre, ritirandosi improvvisamente ad Ibiza nell'ottobre del 1968 per ricostituire i suoi rapporti con l'ex-compagno Allen.
Fin da subito Ayers manifesta un talento ben al di sopra della media - anche da solista - componendo alcuni brani per la sola chitarra acustica nel periodo che trascorre ad Ibiza. Tornato in Inghilterra, questi primi brani saranno il suo trampolino di lancio nell'industria discografica: le prime demo prodotte basandosi su tali composizioni riscuoteranno infatti un certo successo, tanto da attirare l'attenzione di Peter Jenner e Andrew King, proprietari della Blackhill Enterprises nonché manager originali dei Pink Floyd e, al tempo, anche di artisti del calibro di Syd Barrett, Roy Harper e Edgar Broughton Band, che propongono un contratto ad Ayers da lui prontamente accettato.
Ayers è quindi uno dei primi artisti a firmare per la Harvest, una label specializzata nell'ambito progressive rock (che produrrà anche i lavori di maggior successo dei Pink Floyd, a partire da Ummagumma fino alla fine degli anni '70) appena istituita dalla EMI. Ed è proprio sotto l'egida della Harvest che Ayers apre la sua carriera solista con Joy of a Toy, concepito nel luglio del 1969 e pubblicato nel dicembre dello stesso anno: l'album prosegue sulla scia del pop arrangiato e sofisticato di The Soft Machine (non è un caso che il titolo riprenda un brano presente nel debutto dei Soft Machine e che alla batteria ci sia Robert Wyatt), approfondendo ulteriormente il gusto raffinato nella scelta delle melodie e lo stile canzonatorio/umoristico che traspariva già dalle composizioni di Ayers per la sua prima band, riducendone al contempo gli impegnativi elementi jazz.

A Joy of a Toy seguono quindi le sessioni di registrazione per un nuovo singolo, Singing a Song in the Morning (che vedeva anche la collaborazione del bohemien Syd Barrett), pubblicato nel 19 aprile del 1970 insieme a Eleanor's Cake (Which Ate Her). Ma Ayers si trova ben presto ad affrontare moltissime difficoltà per promuovere il suo album, a causa della mancanza di un gruppo di supporto per lui: è in questo periodo che concepisce quindi l'idea di formare una band che accompagni le sue esibizioni e le sue successive registrazioni. I The Whole World - questo il moniker adottato per intendere il suo ensemble di session-men - si rivelano ben presto più che una semplice convenienza a scopo commerciale: Ayers ha infatti radunato un set di enormi talenti, da Lol Coxhill (sassofonista incontrato durante alcune esibizioni improvvisate in strada) a David Bedford (tastierista, già collaboratore per Ayers su Joy of a Toy), passando anche per il giovane chitarrista Mike Oldfield (qui alla sua seconda fatica discografica, dopo aver registrato con la sorella Sally l'album Children of the Sun nel 1969). Con loro ci sono inoltre Mick Fincher alla batteria e alle percussioni, saltuariamente sostituito da Robert Wyatt nei tour per l'Inghilterra, e Bridget St. John, che si occupa invece di alcune parti vocali: sostenuto da questo complesso, Ayers intraprende già ad aprile le sessioni di registrazione per un secondo full-length.

Le prove occupano Kevin Ayers e i Whole World per tutta l'estate (venendo interrotte soltanto saltuariamente da alcune esibizioni live), concretizzando il loro lavoro in Shooting at the Moon, pubblicato sempre dalla Harvest nell'ottobre del 1970. L'album è il diretto risultato dell'enorme discrepanza di stili riscontrabile nell'ensemble dei Whole World, e risulta un'evoluzione incredibilmente matura del sound di Joy of a Toy: l'umorismo di Ayers, infantile, scherzoso e gioioso, non viene più filtrato solo attraverso grandi pezzi pop ribollenti di arrangiamenti suadenti ed orecchiabili, bensì sublimato in un formato canzone decisamente più elaborato, che fa proprie tanto l'estetica dadaista e scanzonata delle prime opere di Ayers quanto gli esperimenti più avanguardistici dei Soft Machine (che pochi mesi prima avevano pubblicato il monumentale capolavoro Third, costruito tra elaborate improvvisazioni jazz-rock e manipolazioni di nastri).
Proprio per questa sua esemplare fusione di spirito fanciullesco e musica colta, Shooting at the Moon può essere a ragione considerato come l'apice del talento creativo di Kevin Ayers, nonché uno degli apici di tutta la scena di Canterbury (insieme ai dischi dei Soft Machine, di Robert Wyatt e dei Gong di Daevid Allen) e della musica inglese degli anni '70.

La dolce dichiarazione d'amore di May I? riprende proprio il discorso intrapreso con il pop solare di Joy of a Toy, grazie a un moderato ma efficace tripudio di arrangiamenti orecchiabili: le linee melodiche dei fiati di Coxhill (che si esibisce anche in una breve digressione solistica), le fisarmoniche folkloristiche di Bedford e le percussioni amatoriali di Fincher, sostenute dalle vigorose linee di basso di Oldfield, ricamano attorno al crooning di Ayers un tessuto musicale dal sapore mediterraneo che rievoca la vita ad Ibiza dell'artista. Molto più canterburyana è invece Rheinhardt & Geraldine/Colores Para Dolores, che se nella prima metà aggiorna le sonorità pop al rock patafisico dei Soft Machine dei primi due volumi, nella seconda mostra prima Ayers alle prese con la manipolazione di nastri di varie sessioni con i Whole World (nel caotico e contorto alternarsi di brevi frammenti si distinguono a malapena degli assoli free-jazz di sassofono e alcune frasi di organo ben lontane dalle solite melodie pop) per poi ricondurre il brano su binari più vicini al classico Canterbury sound per quanto irrimediabilmente compromessa la spensieratezza iniziale, che ritorna presto però nell'acida e orecchiabile psichedelia di Lunatics Lament, dominata questa volta dalla chitarra distorta di Oldfield (il cui funambolico assolo, che occupa gran parte del pezzo e che ne contiene gran parte del valore, sembra eseguito all'organo da Mike Ratledge in persona).
La prima facciata di Shooting at the Moon si conclude quindi con gli otto minuti di Pisser Dans un Violon (già annunciata dal finale ad intermittenza di Lunatics Lament), che è agli antipodi di tutto ciò in cui Ayers s'è cimentato da solista e con i Soft Machine: si tratta infatti di una composizione d'avanguardia iconoclasta che, come preannuncia già il titolo, è composto perlopiù da sperimentali torture a un violino, suonato sfruttando le tecniche e gli strumenti più disparati e inusuali. I Whole World nel frattempo accompagnano a turno i gemiti del violino, evocando ora gli assoli distorti di organo di Ratledge, ora le costruzioni geometriche di chitarra di Robert Fripp, ora la scena jazz europea.
Il secondo lato del vinile procede, in linea con il percorso intrapreso nella prima metà dell'album, in modo quasi casuale tra ardite sperimentazioni e spettacolini di vaudeville: l'acustica The Oyster and the Flying Fish, duetto tra Ayers e Bridget St. Johnes, ritorna sulle spiagge del Mediterraneo, mentre Underwater vira bruscamente verso territori al confine tra musica jazz, rock e avanguardia sullo stile di Pisser Dans un Violon, con i suoi sghembi tessuti di chitarre, violoncello, basso e tastiere sospesi nel vuoto.
Lo spirito giocoso e il talento di Ayers come arrangiatore di musica leggera vengono però subito riportate in primo piano dalle successive Clarence in Wonderland e Red Green and You Blue: la prima, composta ad Ibiza nel 1966, è un breve esercizio di arrangiamenti catchy venati da spunti vagamente surreali e barrettiani, mentre la seconda è una romantica canzone velata di sonorità jazz vellutate e melodiche, che rielabora in un formato pop la lezione delle composizioni di Robert Wyatt per i Soft Machine. Chiude l'album la title-track, un'eccellente composizione che discende direttamente dall'opera dei Soft Machine (e non per nulla è basata su una loro composizione del 1967, Jet Propelled Photographs), permeata da ritornelli orecchiabili e da atmosfere acide che fanno da contorno a un'accattivante jam di basso, sassofono e organo.
Nell'edizione rimasterizzata del 2003 vengono aggiunte alla tracklist originale anche l'esotico esercizio psichedelico di Butterfly Dance, non inclusa nella prima release di Shooting at the Moon e al tempo pubblicata come singolo, e la relativa b-side Puis Je? (una versione francese di May I?), insieme alla dolce ballata Jolie Madam e al melodico progressive pop dalle tinte psichedeliche di Gemini Child (entrambe registrate nel 1970 ed edite solo sei anni più tardi nella compilation Odd Ditties). L'aggiunta più importante al repertorio dell'album è però Hat, un'assurda filastrocca non-sense erede della tradizione freak-folk degli Holy Modal Rounders, pensata originariamente come brano per Shooting at the Moon e già da tempo eseguita nei concerti dai Whole World, ma poi scartata perché eccessivamente schizoide (verrà pubblicata solo nel 1978 nel mediocre Rainbow Takeaway, ri-registrata ed edita con il titolo Hat Song).

L'abilità di Kevin Ayers nel reinventarsi lungo le tracce dell'album come chanteur pop, hippie dadaista e sperimentatore d'avanguardia, rende Shooting at the Moon uno degli esempi più notevoli di commistione tra musica colta e musica popolare partoriti dalla scena di Canterbury e dalla musica britannica in generale, grazie a uno humor beatnik che mostra continuamente un complesso di musicisti impegnati a divertirsi e a divertire piuttosto che a ostentare qualche velleità intellettuale. Ma proprio per quest'atmosfera bislacca e aliena a tutto il panorama progressive dei primi anni '70, il secondo full-length di Ayers spiazza tutta la stampa inglese che, abituata a sproloqui autoindulgenti ben più seriosi rispetto alla musica della talentuosa line-up dei Whole World, non riesce a comprendere adeguatamente il valore degli scherzosi quadretti di Shooting at the Moon; nonostante la tiepida accoglienza da parte della critica, l'album riesce comunque ad ottenere un discreto successo di pubblico, conquistando nuovi fan. Ayers però non si ripeterà più ai brillanti livelli di brioso eclettismo di Shooting at the Moon negli album successivi, rimanendo fedele alla propria estetica di outsider del progressive rock ma mai raggiungendo gli stessi picchi di profondità di questo album, e forse proprio per questo otterrà con il successivo (e più tradizionale) Whatevershebringswesing la consacrazione come musicista tra i circuiti giornalistici della Gran Bretagna.

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