Voto: 
7.8 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Napalm Records/Audioglobe
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Dolk - voce

- Thomas - chitarra e basso

- (II)13 - batteria
- Jon - basso



Tracklist: 

1. Lyktemenn (08:14)

2. Til Siste Mann (07:33)

3. Ravenheart (06:43)

4. Ildverden (09:45)

5. Hat Og Avind (06:13)

6. Gaman Av Drømmer (07:30)

Kampfar

Kvass

I norvegesi Kampfar sono una vecchia conoscenza per tutti gli aficionados di Pagan Black e Viking Metal, un nome storico che nella seconda metà degli anni ’90 irruppe sulla scena con due full lenght (tra l’altro appena ripubblicati dalla Napalm) e due EP, la cui memoria è ancora ben radicata nei cuori di chi segue la scena, e associata a ricordi assolutamente positivi. Basti citare canzoni come la meravigliosa “Hymne” (dal debut “Mellom Skogledde Aaser”) o l’esaltante anthem “Norse” (dal successivo “Fra Underverdenen”), che negli anni sono entrate fra i brani “di culto” del Viking Black scandinavo.

Vari problemi hanno però afflitto la band di Fredrikstad con il cambio del millennio: principalmente si è trattato di discussioni legali con le vecchie etichette, con le quali i Kampfar hanno dovuto lottare per ottenere i diritti sulle loro vecchie canzoni, ma c’è stata anche la ricerca da parte del leader Dolk di una line-up adatta a supportarlo.
Terminata la ricerca e le battaglie burocratiche, la composizione delle tracce per il nuovo cd ha portato via altro tempo, e cosi ci ritroviamo ad ascoltare il successore di “Fra Underverdenen” (1999) solo 7 anni dopo.
Tempo che non è andato sprecato, poiché “Kvass”, questo il nome del nuovo disco, è senza dubbio alcuno fra le uscite più interessanti dell’ultimo periodo, in ambito Black e Viking.

E pare che il tempo non sia trascorso, per i quattro norvegesi, sia in termini di stile musicale che di qualità complessiva del lavoro, dato che entrambi i fattori sono perfettamente allineati a quanto fatto in passato. Oggi come allora, il loro Pagan Black è epico, rude e legato alla natura del grande Nord da cui il gruppo proviene.
Immaginate i primi, seminali e ghiacciati Enslaved di “Vikingligr Veldi” o “Frost”, mescolateli all’epicità blackeggiante di Isengard o Mithotyn, e spruzzate il tutto con la capacità di evocare atmosfere ipnotiche prettamente “forestali” e nordiche, tipiche del miglior Black dei 90s: otterrete il Viking dei Kampfar.
Sei canzoni, di cui nessuna sotto i sei minuti, fanno di Kvass un disco con tanta carne al fuoco, per circa tre quarti d’ora pieni di musica, prodotta e registrata come si conviene a un disco del genere: produzione molto buona ma non leccata e ruffiana, e un certo retrogusto di polveroso e rude si mantiene inalterato – tirando le somme, i fans avranno di che festeggiare, dopo la lunga attesa.

E non ci poteva essere inizio migliore della favolosa “Lyktemenn”, fra i migliori episodi del disco: l’opener dura oltre otto minuti, di cui i primi tre, introduttori, caratterizzati da un riffing ostinato e ben sostenuto da una batteria cadenzata in mid-tempo ma con doppia cassa a dare varietà al tutto: l’atmosfera è costruita perfettamente, e al primo screaming di Dolk non possiamo evitare che la nostra bocca emetta un sospiro liberatorio, prima di piegarsi in un ghigno soddisfatto, nel sentire la voce arcigna del vocalist guidare le sue orde all’attacco.
E che dire della seconda “Til Siste Mann”, che all’inizio ricorda quasi quel Transilvanian Hunger di Darkthrone-iana memoria, disco-simbolo del Black norvegese? Grande pezzo anche questo, dal testo ossessionante (“...Krig og Død, Strid og Hat...”), e dalle musiche vicinissime, come detto, al primissimo Black.

Terza traccia, e un nuovo brano che va a finire dritto dritto fra i migliori “inni” del gruppo: “Ravenheart” è degna compagna dei migliori capitoli passati del gruppo norvegese. Screaming tagliente, stacco di pianoforte, riffing glaciale e indovinato, batteria perfettamente a proprio agio nelle accelerazioni, liriche in inglese (unica eccezione al dominio norvegese): basta e avanza per farne il nuovo cavallo di battaglia dei Kampfar.
Popolo del vecchio Viking, quel Viking puro nel suo orgoglio Black, senza quegli intermezzi folk che oggi tanto vanno di moda, né voci pulite o femminili; fans di quel Viking primigenio di cui i primi Enslaved e i Mithotyn erano i più fieri araldi; accorrete in massa, avete un nuovo brano da osannare.

La quarta “Ildverden” è il brano più lungo di Kvass e, nonostante i quasi 10 minuti di durata, regge bene e si fa ascoltare con piacere, specialmente nei fraseggi centrali più cadenzati, mentre inizio e finale sono composti dal “solito” grande Heathen Black.
Dolk e compagni tornano all’attacco con l’up-tempo di “Hat Og Avind”, caratterizzata dai buoni patterns di batteria e da uno screaming che ci tormenta, scaraventandoci in una solitaria piana nella tundra nordica: come mostrato dalla copertina (non ottima ma sempre migliore di certi obbrobri del loro passato), non è facile avventurarsi fra gli sterpi ghiacciati e la nebbiosa desolazione: ma i Kampfar tracciano imperturbabili, attraverso essa, il loro sentiero. Anche qui come nell’opener Lyktemenn sono presenti dei piccoli cori, in stile Bathory, che compaiono e disappaiono per pochi momenti, enfatizzando la cadenza del cantato di Dolk.
Si conclude con “Gaman Av Drømmer”, che propone uno stile leggermente differente rispetto al resto del disco, un momento più solare e “disteso” (passatemi l’esagerazione...), con chitarre meno oppressive e maggiormente intriganti, a suggerire un paesaggio mattiniero, di riposo, ma sempre sullo sfondo delle incorruttibili montagne e dei fiordi ghiacciati di cui i Kampfar sono cantori da più di dieci anni. Non male come idea per concludere un disco, in quanto l’atmosfera viene piacevolmente cambiata e resa ariosa, spazzando via parte di quella oscurità che il disco provoca; indubbiamente, fa tornare la voglia di rimettere Kvass nel lettore.

C’è di che rallegrarsi, per il ritorno di questi alfieri del Viking più tradizionalista e ispirato: Kvass non è nè una minestrina riscaldata, né un capolavoro di sperimentazione: ma il parto di una band nel pieno della propria forma, un gruppo maturo che sa rimanere fedele al proprio stile personale.
A momenti pare il migliore della loro discografia, a momenti il peggiore, solo il tempo saprà quantificare con certezza la portata dell’ispirazione di Dolk e compagni: io per ora mi sbilancio positivamente, fiducioso, e vi consiglio l’acquisto di Kvass, che, se vi piace il Viking o il black dalle sfumature pagane ed epiche, è un acquisto obbligato.

I Kampfar sono tornati per restare.

Through the Icewinds
Over Seas
Over Mountains
Over Fields
...
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