Voto: 
8.2 / 10
Autore: 
Michele Comaianni
Etichetta: 
Chrysalis
Anno: 
1972
Line-Up: 

- Ian Anderson - voce, flauto, chitarra acustica
- Martin Barre - chitarra
- Jeffrey Hammond - basso
- Barriemore Barlow - batteria
- John Evan - tastiere
- David Palmer - arrangiamento e direzione orchestrale

Tracklist: 

:
1. Thick as a Brick - Part 1 (22.40)
2. Thick as a Brick - Part 2 (21.10)

Jethro Tull

Thick as a Brick

A seguire l'uscita di Aqualung, giunge nel 1972 la pubblicazione di un altro pezzo da novanta della discografia dei Jethro Tull, nonchè dell'intera storia del Progressive, il concept Thick as a Brick, un album di un valore storico grandioso, destinato poi a divenire, sebbene le critiche, uno degli emblemi del genere, noverabile tra i classici per antonomasia.
L'intento parodistico è il motore che spinge il carismatico leader della band inglese, Ian Anderson a concepire questo disco. Il motivo è da ricercarsi in una più o meno diretta risposta alla critica giornalistica che aveva attribuito il valore di concept al precedente Aqualung, fraintendendo gli intenti del flautista scozzese; insieme a ciò, un richiamo alle monumentali Opere rock che nascono in parallelo da menti quali Emerson Lake and Palmer con Tarkus, Robert Fripp & King Crimson con Lizard, contenenti d'obbligo suite lunghe e dettagliatamente suddivise in varie sezioni, ognuna con un proprio significato.

I Jethro Tull decidono così di dare vita a questo Thick as a Brick, in cui il carattere ironico è già chiaro a partire dal leggere il  gioco allitterante del titolo, che occupa in caratteri cubitali la copertina dell'album, la prima pagina dell'immaginario  St. Cleve Chronicle & Linwell Advertiser, il giornale cui dovrebbe apparire allegato l'album.
Nell'articolo principale viene pubblicata la vicenda di Gerald Bustock, protagonista del concept un giovanissimo scrittore che stupisce per la sua genialità precoce e per il suo cinismo letterario, personaggio pseudo co-autore dei testi, che per l'appunto riportano la sua firma accanto a quella di Anderson. Più metaforicamente si può dire che è annunciata con questa originale impostazione della copertina, quasi in edizione straordinaria, l'adesione piena e matura al rock progressivo.

Il lunghissimo brano di oltre quaranta minuti e diviso in due sezioni si apre con una ballata dai sapori celtici decorata da una melodia eseguita da spensierati flauti e xilofoni. Una sfumatura a dir poco perfetta traghetta sulla parte rock: chitarra elettrica e organo dominano qui fino al cambio su un blues segnato da organi a marcia marziale, pianoforte di sottofondo e flauto, seguito dalla voce e a chiudere la chitarra. Già a partire da questi primi minuti di ascolto si capisce come l'alternanza tra parti acustiche ed elettriche si incardini come vera e propria chiave di volta dell'album. Segue un laborioso hammond, che tesse un imponente riff sorreggendo la crescita dell'orchestrazione. Ciclicamente ritorna la chitarra iniziale stavolta impreziosita da voce e organo e sul chiudere una lunga e preziosa sezione di flauto.

La seconda parte della suite si apre con il recupero del motivo di organo della primissima sezione in pieno rispetto dei canoni delle Opere rock con ridondanze e declinazioni in maniera diversa degli stessi temi. Nel complesso la strutturazione risulta sicuramente più pesante rispetto alla prima facciata della suite: brusche interruzioni e riprese, cambi a sorpresa, senza perdere però la voglia di cercare melodie accattivanti e di aprire finestre sulla sperimentazione con grande attenzione alla linearità globale. Durante l'ascolto si viaggia dunque attraverso terre musicali distanti fra loro, ma senza scadere in accozzaglie mal combinate di generi. Un sapiente bilanciamento di barocchismi, cantati folkloristici, interventi di orchestrazioni classiche, realizza quindi un album connotato di grande originalità, caratteristica già desumibile dall'artwork, un vero e proprio giornale che oltre a trattare del protagonista della vicenda, contiene notizie contingenti, una curiosa recensione interna, uno specchietto sui membri della band, fino ai giochi e cruciverba finali.

Alla resa dei conti i Jethro Tull hanno posto un mattone significativo nella grande parete del Progressive e del rock in generale. La suite viene riproposta nei Live in versione condensata, un brano arrangiato in modo da rappresentare come un'antologia, le parti migliori dei quaranta minuti originali. La strutturazione del concept anche se non può vantare diritti pioneristici riguardo alla trama, per quanto concerne invece il punto di vista prettamente musicale ha contribuito alle opere sullo stesso stile che sono seguiti di lì a pochi anni quali The Lamb Lies Down on Broadway dei Genesis e il celeberrimo The Wall dei Pink Floyd. Senza dubbio uno degli album più importanti della band.

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