Voto: 
8.4 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Emi Records
Anno: 
1983
Line-Up: 

Steve Harris – Basso e cori
Dave Murray – Chitarra
Adrian Smith – Chitarra e cori
Bruce Dickinson – Voce
Nicko McBrain – Batteria

Tracklist: 

1. Where Eagles Dare
2. Revelations
3. Flight of Icarus
4. Die With Your Boots On
5. The Trooper
6. Still Life
7. Quest for Fire
8. Sun and Steel
9. To Tame a Land

Iron Maiden

Piece of Mind

Piece of Mind è un disco controverso. Composto in un periodo d’oro per gli Iron Maiden, mentre la popolarità del gruppo cresceva di mese in mese, il quarto parto della band inglese è un disco ricco di straordinarie luci, ma anche di alcune ombre che gli impediscono di essere considerato al livello dei loro migliori episodi, restando un gradino più in basso di opere monumentali come "Powerslave" o "Iron Maiden".
E’ un disco che introduce alcune fondamentali novità in ambito Iron Maiden, elementi che è necessario analizzare per meglio comprendere cosa stesse dietro un disco così importante.

Primo notevole cambiamento è l’arrivo dietro le pelli di Mr. Nicko McBrain, batterista dotato di grande personalità ed indiscutibili doti tecniche. Il suo predecessore Clive Burr, infatti, dovette lasciare la band per problemi di droga: l’attesa per un suo recupero avrebbe fermato la band (in rapidissima ascesa) per parecchio tempo e si scelse quindi (con poco tatto, e molto senso pratico) di trovare un sostituto. L’arrivo di McBrain porta alla formazione di quella che è considerata la line-up “classica” della Vergine di Ferro: Bruce Dickinson alla voce, la coppia Dave Murray- Adrian Smith alle chitarre, e quella Steve Harris- Nicko McBrain alla sezione ritmica. Steve trova subito grande intesa con il nuovo drummer, e le sue furiose evoluzioni alle quattro corde sono ora sostenute da un batterista forse meno veloce ed appariscente (almeno all'inizio), ma sicuramente più preciso e affidabile: i due formeranno quella che è indiscutibilmente una delle migliori accoppiate ritmiche della storia del Metal - dal canto suo, la prestazione di Harris è al solito ineccepibile, una caratteristica oramai da dare per scontata vista la sempre altissima qualità delle prove del bassista, ex-giocatore delle giovanili del West Ham.

Inoltre, Piece of Mind, è forse il disco in cui Bruce canta meglio: l'armonia fra il singer e la band pare essere stata trovata, e l’ugola di 'Bruce Bruce' si produce in acuti spettacolari, e prestazioni aggressive [Die With Your Boots On] quanto sentite ["Revelations"]. A differenza del disco precedente è indiscutibile anche il maggiore apporto dato in fase di composizione proprio dal singer: Bruce comincia ad essere una ricca fonte di idee e brani per i Maiden, con risultati di spessore [ancora "Revelations"], e per la prima volta si forma la fortunatissima coppia di songwriters Dickinson-Smith, autrice da allora in poi di importantissimi successi del gruppo; su Piece of Mind la loro collaborazione inizia con il fortunato singolo "Flight of Icarus".
Ancora: Piece of Mind definisce il nuovo sound dei Maiden, più epico, serioso e pesante: è il disco di rottura con la NWOBHM dei primi 3 albums, e il gruppo, a causa soprattutto della maggiore importanza di Dickinson, si spinge verso territori più classicamente Metal; come detto, ad aumentare è soprattutto il tenore epico delle loro composizioni, tendenza che raggiungerà il proprio apice maideniano nel successivo, ciclopico "Powerslave" (1984).

Tutto oro quello che luccica, dunque? No, purtroppo.
Steve Harris, all’epoca, dichiarò in un’intervista che Piece of Mind era il disco più completo dei Maiden, il primo senza “fillers”. Questa cosa dimostra una volta ancora quanto siano risibili certe affermazioni, fatte per promuovere i propri album: il disco stesso va infatti a sbugiardare il buon Steve, in quanto nella seconda metà di "Piece of Mind" la qualità delle canzoni cala sensibilmente, raggiungendo con l’oscena "Quest for Fire" il punto più basso della Vergine di Ferro anni '80.

Ma andiamo a commentare le canzoni che compongono questo quarto capitolo targato Maiden: in apertura troviamo l’ottima "Where Eagles Dare", in cui Nicko dimostra tutte le sue capacità con una prestazione sensazionale dietro le pelli, senza dubbio fra le sue migliori performance. Il pezzo parla (come l’opener del disco successivo, "Aces High") del coraggio degli aviatori e dei paracadutisti durante la seconda guerra mondiale, che volavano “dove osano le aquile”. Particolarmente emozionante il momento in cui al ricco drumming si aggiungono anche i rumori delle mitragliatrici, mentre Smith e Murray 'imitano' il volo degli aerei compiendo anch’essi evoluzioni da brivido con le loro chitarre.
La seconda canzone è la storica "Revelations", scritta interamente da Bruce, che era solito imbracciare una terza chitarra durante le fasi iniziali della song quando la si presentava dal vivo (ne è testimonianza la versione VHS di Live After Death). Brano lento e dolce ma pronto ad esplodere in scariche violente, con la sua contrapposizione di riffs rocciosi e arpeggi sognanti, Revelations si segnala come uno degli episodi più riusciti non solo dell’intero LP, ma di tutta al produzione dei primi Maiden.

Primo singolo a precedere l’album, la terza "Flight of Icarus" (Dickinson sposta i temi dei Maiden in territori mitologici sempre più lontani dalle origini della band) è sorretta da un riff semplice ed efficace, e si fa apprezzare -oltre che per il bel finale- soprattutto per un refrain altamente spettacolare che vanta una prestazione formidabile, potente ed evocativa, di Bruce al microfono.
La quarta traccia è uno dei brani più ingiustamente sottovalutati della produzione degli Irons: "Die With Your Boots On", dal riffing fulminante, ha i propri punti di forza nel basso veramente prepotente, nel bridge divertente (botta risposta fra cantante e coro) e in un Bruce in stato di grazia; assai più celebrato è l'altro singolo, lo storico "The Trooper", che parla della guerra di Crimea, in particolare dell’assalto di un gruppo di cavalleggeri inglesi, bersagliati dal fuoco dell’artiglieria russa. Le 'cavalcate' di basso e batteria cui prima accennavo raggiungono qui il proprio momento di gloria, aiutate da un riffing memorabile e da assoli eccellenti, oltrechè da un ritornello composto semplicemente dall’oramai classico “Ohhhoohhh” di Dickinson - soluzione facile ma efficace, specialmente in sede live: il brano, a più di 20 anni di distanza dalla sua composizione, è infatti ancora proposto nei concerti del gruppo, a testimonianza della sua validità.

Con "Still Life" il livello qualitativo inizia ad abbassarsi: questo pezzo non è tuttavia malvagio in sè, semplicemente non regge il confronto con il livello medio dei brani che l’hanno preceduta, tutti più convincenti e ispirati. Rimangono comunque degni di menzione e lode il buon arpeggio acustico che apre il brano, e l'intensa interpretazione di Bruce; come molte altre nella produzione Maiden, la song è ispirata da un film, in questo caso si tratta de “Gli Abitanti del Lago”.
Se il livello s’era abbassato con "Still Life", con la desolante "Quest for Fire" addirittura s’inabissa. Nulla si salva: né il refrain, orripilante, né le strofe e i riff, addirittura peggiori per l'incapacità di trovare melodie piacevoli - perfino i testi arrivano a sfiorare il ridicolo, in un disastro dalle dimensioni sinceramente inaspettate dopo tante buone composizioni.
Superata la pessima settima traccia, si arriva a "Sun and Steel", la quale continua il trend medio/mediocre di Still Life: brano più allegro e hard rockeggiante dei due precedenti, "Sun and Steel" soffre nelle strofe poco ispirate e in un assolo anonimo, ma possiede delle buone linee vocali nel chorus che ne salvano l'onore.
"To Tame a Land" chiude: miglior episodio della seconda metà del disco, questa song (ispirata al libro “Dune” di F. Herbert, da cui fu tratto anche un film) ha il proprio fascino nei misteriosi toni orientaleggianti e negli ispirati assoli degli ultimi minuti; tuttavia, se confrontata alle altre “epic songs” dei Maiden (enormità quali The Rime of the Ancient Mariner, Seventh Son of a Seventh Son, Alexander the Great, Hallowed Be Thy Name, The Sign of the Cross...) risulta un episodio minore - rimane comunque una canzone dotata di ottima forza espressiva ed originalità.

Per concludere: nonostante i difetti che affliggono alcune tracce, Piece of Mind era e rimane il "solito" centro targato Iron Maiden anni '80, ricco di grandi melodie chitarristiche e di canzoni di spessore: seppure inferiore al disco che lo precede (lo storico "The Number of the Beast") e a quello che lo segue (il possente "Powerslave", che perfezionerà le caratteristiche di questo platter), il disco con Eddie lobotomizzato in copertina è comunque una tappa fondamentale nel percorso di scoperta delle sonorità degli Iron Maiden, e merita considerazione da parte di qualsiasi appassionato di Hard'n'Heavy.

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