Voto: 
9.2 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Misanthropy/Amazon
Anno: 
1995
Line-Up: 

- X.Botteri
- C.M.Botteri
- Oddvar a:m
- Ovl Svithjod
- Kobro


 

Tracklist: 

1. Yearning The Seeds Of A New Dimension (12:23)
2. Heart Of The Ages (08:22)
3. In The Woods... (07:50)
-Prologue
-Moments of...
-Epilogue
4. Mourning The Death Of Aase (03:33)
5. Wotan's Return (14:52)
6. Pigeon (03:00)
7. The Divinity Of Wisdom (09:07)

In the Woods...

HEart of the Ages

“Pagan myths from the deep, eternal forests.
A true malancholic atmosphere
Haunts this hidden world.
Where men, for hundreds of years,
Have immortalized their cult”


Gli In The Woods... nascono agli inizi degli anni Novanta a Kristiansand, in Norvegia, per colpa (o merito?) dell’inattività in cui era caduto il progetto Green Carnation, il cui leader Tchort aveva iniziato una collaborazione a tempo pieno con gli Emperor , allora astro nascente della scena estrema locale. I restanti membri del gruppo decisero quindi di iniziare una nuova band cui fu dato il nome di “In The Woods...”, un progetto musicale le cui radici affondavano proprio in quel Black Metal che andava per la maggiore nella Norvegia di quel periodo, ma i cui rami si preparavano ad espandersi nelle più svariate direzioni: iniziava la carriera di uno dei più straordinari gruppi della scena Metal di quel decennio, una carriera che vedrà l’ensemble scandinavo seguire una strada tutta sua, fatta di coerente sperimentazione, di evoluzione continua, di geniale progressione artistica, che li porterà, in varie fasi della loro carriera, a giocare con il Black Metal, il Doom Metal, l’Ambient, la Psichedelia, l’Avantgarde, il Progressive, l’Elettronica: che essi siano separati completamente o uniti in nuove, innovative ed affascinanti creazioni, poco cambia per questa poliedrica band, capace di passare dal Metal Estremo agli omaggi ai grandi del passato con cover-versions di gruppi quali King Crimson, Jefferson Airplane e Pink Floyd.

“HEart of the Ages” è il primo dei loro tre full-lenght in studio, e fu pubblicato nel 1995 dalla britannica Misanthropy Records, attirata dalle ottime idee che venivano mostrate sul demo del gruppo, “Isle of Man” (1993), tanto interessante che sarà addirittura ri-pubblicato ufficialmente con diverse bonus-tracks nel 1996 sotto il nuovo titolo “A Return to the Isle of Men”. Tornando al debut-album dei nostri si può osservare come, nonostante il quintetto nord-europeo fosse solamente all’inizio della propria parabola evolutiva e mantenesse ancor saldi i legami con il sound Black Metal, il gruppo fosse già stracolmo di idee che di convenzionale avevano ben poco e come esso si lanciasse “oltre” il proprio genere di provenienza, diventando uno dei primissimi gruppi a superare le rigide barriere stilistiche del Black norvegese per creare esperimenti di più ampio respiro e maggiore levatura sperimentale: il percorso da loro tracciato sarà seguito, consapevolmente o meno, da acts del calibro di Arcturus, Ulver, Manès, Borknagar, Solefald, ...And Oceans e svariati altri grandi nomi del Metal scandinavo.

“One with this world,
This is where I long to be.”

Già sotto l’aspetto formale vediamo emergere una decisa tendenza all’inclusione di brani di lunga durata e multiforme evoluzione (le songs sono sette per un’ora di musica, e troviamo perfino una suite, probabilmente il primo brano di questo tipo in ambito Black), ma è soprattutto a livello compositivo e lirico che troviamo il maggiore approccio sperimentale: gli “In The Woods...” puntano molto sull’intensità emotiva provocata non dall’ascolto del disco, ma dalla sua interiorizzazione; l’impermeabilità del disco non verrà minimamente scalfita dai primi ascolti, che anzi risulteranno assai ostici, e si inizierà a far proprio il disco solo grazie a una decisa volontà di immergervisi ed immedesimarsi a fondo negli ambigui e sconfinati paesaggi creati dal combo di Kristiansand.
Paesaggi che vedono l’unione di vari elementi, tra cui sono fondamentali le atmosfere tipicamente pagane e crude del Norse Black Metal dei primi anni novanta, condite con tutti gli accorgimenti del caso: le accelerazioni della batteria di Anders Kobro, le chitarre abrasive di X.Botteri e Oddvar a:m, e un cantato in screaming particolarmente lancinante, sgraziato e urlato, solitamente principale scoglio alla fruizione completa dell’album. Il Black è comunque imbastardito da frequenti interruzioni atmosferiche Ambient, da assoli o da aperture melodiche, che sfociano solitamente in sezioni con sonorità più distese e liquide, graziate da profondissime clean vocals maschili e tastiere d’accompagnamento, usualmente accostabili al Doom Metal per via dei ritmi cadenzati.

Fanno eccezione le due strumentali, la melanconica “Mourning the Death of Aase”, un toccante duetto fra la tastiera e la voce femminile dedicato alla memoria del compositore Edvard Grieg, e la tristissima ed elegante “Pigeon”, di solo pianoforte e tastiera; questi due episodi più anomali racchiudono tra loro la traccia più ‘old-style’ del lotto, la quinta “Wotan’s Return”: aperta dal rumore del vento e scandita dal gelido guitar-work tipico del Pagan Black Metal, questa traccia da un quarto d’ora è caratterizzata da suoni taglienti e affilati, che rendono ancora più efficaci gli stacchi di momentaneo e alienante riposo posti strategicamente a metà brano.
Tutti di caratura fuori dall’ordinario gli altri pezzi, a cominciare dall’opener “Yearning The Seeds Of A New Dimension”, che dopo tre minuti di lisergica introduzione elettronica/atmosferica si trasforma in un brano dalle armonie vocali d’accecante bellezza, dal portamento solenne, epico e maestoso come i grandi panorami del Nord, ma capace di mutare repentinamente volto al settimo minuto, il momento in cui il primo, terrificante urlo del vocalist vi farà ghiacciare il sangue nelle vene.
Enormità quali la seconda traccia “HEart of The Ages”, abbellita dagli affreschi della voce pulita e dalle migliori parti di chitarra di tutto il disco e chiusa dal frinire dei grilli, o “In the Woods…”, suite posta in terza posizione il cui lento evolversi è segnato dal cambiamento nello stile vocale (screaming, canto pulito, voce narrante), sono entrate nel profondo del cuore di chi conosce la band scandinava, così come la conclusiva “The Divinity of Wisdom”, definitivo simbolo di quell’unione di passato e futuro, di tradizione e sperimentazione, che il disco rappresenta perfettamente nel suo insieme.

Capolavoro del Metal sperimentale, ricco d’idee innovative e vincenti, geniale nell’intuire strade che saranno battute dai più solo qualche anno dopo, “HEart of the Ages” è un disco fondamentale per gli amanti del Metal d’avanguardia, sebbene poco fruibile per la massa a causa delle radici estreme; a distanza di dieci anni, la freschezza e l’originalità del disco rimangono comunque intatte, immuni allo scorrere inesorabile del tempo: ma è facile credere che gli In the Woods... l’avessero previsto, visto il titolo che hanno voluto dare ad un disco che racchiude in sé il ‘cuore’ dei tempi, delle stagioni, dell’evoluzione della musica estrema e sperimentale.
 

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