Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Nuclear Blast/Audioglobe
Anno: 
1996
Line-Up: 

- Anders Fridén - voce, percussioni
- Jesper Strömblad - chitarra, tastiera, percussioni
- Glenn Ljungstrom - chitarra
- Johan Larsson - basso
- Björn Gelotte - batteria, percussioni, chitarre

 

Tracklist: 

1. Moonshield
2. The Jester Dance
3. Artifacts of the Black Rain
4. Graveland
5. Lord Hypnos
6. Dead Eternity
7. The Jester Race
8. December Flower
9. Wayfaerer
10. Dead God in me

In Flames

The Jester Race

Dopo un forte cambio di formazione, che vede rimanere solo il chitarrista Jesper “the jester” Strömblad, Ljungstrom e Larsson, gli In Flames raggiungono per la prima volta una formazione stabile e si apprestano così ad incidere il loro vero debutto concreto: The Jester Race posiziona gli In Flames come una delle band emergenti della scena di Gothenburg più promettenti e costituisce le fondamenta di uno spettacolare punto d’incontro fra le sonorità e l’attitudine dell’Heavy Metal classico con la rabbia e il canto in growl del Melodic Death Metal sorto nel primo quinquennio degli anni ’90 proprio a Gothenburg (una scena da cui poi sarebbe scaturita un'esplosione di gruppi a volte chiamata New Wave Of Swedish Heavy Metal).

La corrente del melodic death metal era stata pionierizzata in principio con gruppi come i Sceptic Boiler, i Ceremonial Oath e soprattutto gli At The Gates, la loro anima death era radicata in loro fino al midollo e avrebbe influenzato numerosi gruppi svedesi da lì a venire, ma ne portavano una nuova interpretazione che rendeva meno esasperata la musica e più aperta a relative distensioni, anche per via delle influenze regionali a cui andava incontro la Svezia (dal black metal norvegese al thrash teutonico). A loro ben presto si aggiunsero altri pionieri come i Dark Tranquillity. Ma la vera svolta arrivò dall'Inghilterra, dove i Carcass diedero alla luce Heartwork che per primo aprì le porte con la tradizione British metal iniziando così ad abbattere i muri del death metal.
Ora a raccogliere il testimone sono gli In Flames di prima formazione, che propongono la loro visione personale del genere prendendo, sì, dal settore estremo una base ritmica aspra, martellante e ossessiva, non solo per basso e batteria ma anche per le chitarre che sfornano chords ruvidi e di impronta thrashy; però intrecciando il tutto con tripli attacchi di chitarra melodica che rievocano i virtuosismi della NWOBHM per il piglio trascinante e il ruolo armonico conferito agli strumenti, mentre gli stessi refrain si adeguano seguendo una forma canzone più convenzionale e radio-friendly, con motivi ripetuti e relativamente immediati.
L'idea è che si tratti di una formazione che in fondo all'animo ha un cuore melodico heavy metal ma che va a suonare death, come nei riff più duri e marcati e nelle sequenze consistenti in un aggressivo martellamento chitarra/batteria; laddove invece un disco come Heartwork suona all'opposto, cioè come una divagazione più influenzata dall'heavy e relativamente melodica di un gruppo che si mantiene death nell'animo di base.
Nel frattempo, i testi seguono canoni più poetici ed esistenziali, distaccandosi dalla tradizione estrema più cruda e macarba.
Aggiunto a questo, influenze di matrice folk permeano l’album facendosi sentire con vari spunti acustici che impreziosiscono l'album.
Detto ciò e constatando l'attitudine compositiva alla base dell'album, sembra proprio che gli In Flames si siano allontanati molto dal death metal convenzionale, ma a rammentarci il legame con le loro origini ci sono comunque attacchi più aggressivi e brutali e soprattutto il canto in growl di Anders Friden, conosciuto in precedenza con Skydancer dei Dark Tranquillity e che ora attua un vero e proprio scambio di testimoni con Mikael Stanne, passato all'altra formazione.

The Jester Race è così una pietra miliare seminale che combina gli aspetti salienti di due tendenze opposte e che sarà un punto di riferimento imprescindibile per molte formazioni (svedesi, ma anche americane e non solo) che copieranno molto dagli In Flames.

L’iniziale Moonshield è il primo esempio di quel che l'album offre: dopo l’introduzione di spensierati intreggi acustici, scatta con i suoi riff energici e orecchiabili, gli assoli melodici, i brevi intermezzi di nuovo acustici e il growl basso e catarroso di Anders Fridén.
La materia di cui è composto l’album è fin qui elencata, mancano ancora gli spunti più estremi, più alla At the Gates per dirci, che troveranno maggiore spazio nel corso dell’album, dando luogo anche a vere e proprie sfuriate di rabbia viscerali in alcuni casi, ma per ora il secondo brano, The Jester Dance, è ancora lontano da questo, una strumentale orecchiabile i cui arpeggi clean sovrastanti l’impianto ritmico in buona evidenza vengono periodicamente spezzati da brevi prese di posizione della chitarra più impegnate a generare atmosfera.
La successiva, famosa Artifacts of the Black Rain ritorna sui passi di Moonshield ma la fa con molta più velocità e con più vigore, dai pedali della cassa più frenetici quando figura il veloce e potente riff, rendendo il brano uno dei migliori del disco.
Graveland parte con una batteria martellante ed una chitarra corrosiva in puro stile thrash/death alla At The Gates, ma con ancora elementi del lato più melodico del disco, ed alcuni brevi versi in voce pulita di sottofondo ogni tanto.
Lord Hypnos è leggermente meno rabbiosa ma con atmosfere più oscure, almeno fino all’intermezzo centrale con presenza di chitarre acustiche che rievoca pienamente l’elemento folk.
Dead Eternity è probabilmente uno dei migliori tre brani di tutto il repertorio, inizio improvviso e veloce che si divide poi in una chitarra ritmica marcata ed una solista dal piglio molto orecchiabile, salvo poi interrompersi per un monologo oscuro di arpeggi del basso.
La successiva titletrack The Jester Race è un brano più particolare, con chitarre acustiche molto catchy ed una chitarra maggiormente in funzione ritmica e, in simultanea con i colpi del pedale, ricreante atmosfere tendenzialmente più cupe, almeno fino al limpidissimo assolo; si aggiungono sporadici sample all’inizio ma in fondo trascurabili.
December Flower inizia violentemente nel più puro stile death metal toccato dall’album, ma ben presto la commistione ha il sopravvento e si intramezzano assoli più "classicheggianti" con i riff granitici... però poi l’attacco iniziale torna e Fridén si fa sempre più angosciante, carico di un growl violentissimo. Probabilmente il picco estremo dell'album.
La strumentale Wayfaerer è la più maideniana di tutti, il riff iniziale è a prima vista ancora richiamante la scuola di Gothenburg ma al minuto di brano subito la struttura della canzone si fa vicinissima a canzoni come 22 Acacia Avenue, mentre gli assoli di sottofondo portano impresse l’ispirazione anglosassone.
Si chiude quindi con Dead God in Me, ritorno a stilemi death dominanti il brano, che riduce le parti più melodiche e si incentra sul lato più Gothenburg-oldschool-style, che sul finire si dissolve in un effetto cavernoso e continuo, portatore di sinistri presagi mentre un neonato piange in lontananza; ma il brano ricomincia con i suoi riff schiacciasassi, insieme ad un inutile urlo di donna per rendere, teoricamente, più tormentante il brano, chiudendosi di lì a pochi secondi.

Il piglio melodico e trascinante tipico del metal britannico, il personale senso della melodia negli assoli, gli spunti acustici, la tempesta fomentata dalle radici melodic death metal nonché la sensibilità lirica (a proposito, i testi sono realizzati da Niklas Sundin dei Dark Tranquillity sotto indicazioni di Anders Fridén, segno che c’è ancora collaborazione con i vecchi compagni) e musicale scandinava si coniugano magnificamente in questo disco.
Il growl rabbioso di Fridèn si adatta bene all'atmosfera di tutto il disco, senza stonare neanche nelle parti più melodiche (o meglio, non troppo), le sue linee vocali sono nettamente migliorate rispetto a quanto fatto con i Dark Tranquillity nel 1993 e prima.

Per finire, bisogna dire davvero che il piglio melodico è generalmente calzante a pennello con quello che potrebbe essere un bardo, un menestrello...un "giullare", proprio, che allieta gli ascoltatori con la sua musicalità trascinante e il suo carisma.
Non tutti potrebbero gradire la misura musicale del british metal e/o la rabbia melodic death svedese, soprattutto chi è abituato alla scena death metal di Stoccolma (e quindi a gruppi più "genuini" come primi Entombed o Dismember), ma chi è avezzo ad uno solo di questi generi troverà molto di cui essere soddisfatto nel singolare connubio di The Jester Race, un album che, difatti, seppe farsi ammiratori sia dell'uno che dell'altro pubblico contribuendo a istituzionalizzare il melodic death metal nel mondo.
 

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