Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Vincenzo Ticli
Etichetta: 
Asthmatic Kitty
Anno: 
2005
Line-Up: 

- Sufjan Stevens

Tracklist: 

1. Concerning the UFO Sighting Near Highlands, Illinois
2. The Black Hawk War, or, How to Demolish an Entire Civilization and Still Feel Good About Yourself in the Morning, or, We Apologize for the Inconvenience but You're Going to Have to Leave Now, or, "I Have Fought the Big Knives and Will Continue to Fight Them Until They Are Off Our Lands!"
3. Come On! Feel the Illinoise!
4. John Wayne Gacy, Jr.
5. Jacksonville
6. A Short Reprise for Mary Todd, Who Went Insane, but for Very Good Reasons
7. Decatur, or, Round of Applause for Your Stepmother!
8. One Last "Whoo - Hoo!" for the Pullman
9. Chicago
10. Casimir Pulasky Day
11. To the Workers of the Rock River Valley Region, I Have an Idea Concerning Your Predicament
12. The Man of Metropolis Steals Our Hearts
13. Prairie Fire Thar Wanders About
14. A Conjunction of Drones Simulating the Way in Which Sufjan Stevens Has an Existential Crisis in the Great Godfrey Maze
15. The Predatory Wasp of the Palisades Is Out to Get Us!
16. They Are Night Zombies!! They Are Neighbors!! They Have Come Back from the Dead!! Ahhhh!
17. Let's Hear That String Part Again, Because I Don't Think They Heard It All the Way Out in Bushnell
18. In This Temple as in the Hearts of Man for Whom He Saved the Earth
19. The Seer's Tower
20. The Tallest Man, the Broadest Shoulders
21. Riffs and Variations on a Single Note for Jelly Roll, Earl Hines, Louis Armstrong, Baby Dodds, and the King of Swing, to Name a Few
22. Out of Egypt, into the Great Laugh of Mankind, and I Shake the Dirt from My Sandals as I Run

Sufjan Stevens

Illinoise (Sufjan Stevens Invites You To: Come On Feel the Illinoise!)

È opinione diffusa che il più grande genio musicale di sempre sia stato Mozart. Da allora, non si sono più trovate delle spalle adeguate su cui poggiare l’appellativo, quasi la “carica”di “genio”, questo perché la genialità è una dote eclatante, sì, ma talmente sfuggevole da essere pienamente riconosciuta solo dopo molto, molto tempo. Che Sufjan Stevens sia un genio sta ai posteri deciderlo, ciò che è abbastanza chiaro è che, se non è un genio, è ciò che più ci si avvicina.

Illinoise, che così chiameremo volendo accorciare il chilometrico titolo completo, è un libro di storia e poesia in musica: in 22 canzoni, Stevens vuole raccontarci i retroscena, le leggende e le figure celebri che hanno costruito uno dei più rappresentativi tra i cinquanta stati degli USA. Lo fa attraverso musiche accattivanti e stupefacenti, a cui associa testi altrettanto sbalorditivi. Insomma, parlare in poche righe di un album come questo è quantomeno riduttivo, ma c’è anche da dire che parlare di ogni singola canzone significherebbe scrivere un noioso e lunghissimo papiro che non renderebbe onore ad un’opera che ha, invece, la virtù di non annoiare mai.
 
Basandosi sui racconti di avvistamenti UFO avvenuti nel paese a fine ‘800, prende vita il pezzo di apertura, Concerning the UFO Sighting Near Highland, Illinois (se ve lo state chiedendo, sì, anche i titoli dei singoli pezzi hanno ereditato la lunghezza a dir poco estrema dal titolo dell’album!), un commovente pezzo per pianoforte, fiati e voce, la voce flautata di Sufjan, che canta di luminose apparizioni nel cielo la cui vera natura, fosse essa umana, aliena o soprannaturale, si perde e si confonde come il finale del pezzo, e resta sospesa l’idea che possa magari essere qualcosa di divino, indecifrabile.
Dopo il breve intermezzo orchestrale di The Black Hawk War, Or How to Demolish an Entire Civilization…, interrompendo la citazione di un titolo di ben più lungo rispetto alla canzone a cui è associato, troviamo Come On! Feel the Illinoise!, la title track che è un po’ il manifesto dell’intera opera: la prima indiavolata parte è affidata a pianoforte e trombe latineggianti e, dopo un breve stacco strumentale, la seconda parte si impernia su sentimentali arie di violini decorate con trilli di flauti che rendono l’atmosfera più intima, sognante. Il tutto è circondato da seducenti ritmi jazz, ma a dominare la scena è, come sempre, la voce brillante di Sufjan, sempre sussurrata ma comunque magnetica, che ora si innalza serena e solitaria sulla musica, ora si sdoppia accompagnata da un coro di voci. È questo, in un certo senso, l’animo dell’album: il dualismo tra la gioia, la pomposità da una parte e l’intimismo soffuso dall’altra, in cui l’unico protagonista è un canto leggero e accorato.
In oltre un’ora di ascolto, trovano spazio stili e melodie molto differenti tra loro, tutti raccolti in maniera perfetta in un caleidoscopio che sbalordisce per la sua consistenza: abbiamo Jacksonville, particolare nella sua sontuosa apertura di violini che lasciano subito il posto all’immancabile pianoforte ma, soprattutto, alla chitarra e al banjo, che creano una beffarda melodia folk, di quelle da suonare sotto il sole alto nell’ora più calda del giorno, in mezzo a nulla che non sia sabbia e vento e magari seduti su una sedia a dondolo nella veranda di una vecchia casa coloniale, stereotipo del caro vecchio West. Anche Decatur, Or, Round of Applause for Your Stepmother! è affidata a banjo e chitarra a cui si associano tratteggi di fisarmonica, una canzone che sembra fatta apposta per un concerto country (come vogliono lasciare intendere gli applausi finali) e che racconta la storia di una cittadina, Decatur appunto. Narrare storie, è questo ciò che Sufjan Stevens vuole fare in quest’album: con la fantasia di un cantastorie, in They Are Night Zombies!! They Are Neighbors!!...intarsia un pauroso racconto riguardo alle ghost town dell’Illinois su notturni e tormentati cori di fantasmi che cantano su melodie da far invidia a tante osannate rock band, e in The Man of Metropolis Steals Our Hearts fa riferimenti a Superman, nativo della fantomatica città di Metropolis pensata sul modello di Chicago, la capitale, a cui è dedicata una delicata canzone di libertà che parla di fughe, viaggi, quasi pellegrinaggi tra una città e l’altra alla ricerca di una libertà assoluta, quella che ti fa vendere la tua vecchia vita per tentare di crearne una nuova, quella che ti fa piangere abbagliandoti con la sua bellezza, così come riescono a commuovere la tromba sommessa e i malinconici archi della canzone, poggiati su percussioni vigorose e tintinnii gracili come rami.
 
La capacità compositiva e quella di creare ottimi arrangiamenti orchestrali che Sufjan Stevens ha dimostrato in quest’album è indiscutibile, ma i picchi si raggiungono nelle canzoni in cui a parlarci sono solo la sua voce e pochi strumenti: una chitarra folk, un banjo e una voce cristallina è tutto ciò di cui ha bisogno per creare l’incanto di Casimir Pulasky Day, dedicata ad un oscuro avvenimento accaduto il primo lunedì di marzo, giorno della festa, mentre il pianoforte è il protagonista di The Seer’s Tower, un grattacielo di Chicago che è anche il più alto degli Stati Uniti, da cui immagina di vedere i confini del mondo nella speranzosa attesa della seconda venuta di Cristo: in questa canzone infatti, come anche in molte altre, Stevens esprime la sua profonda cristianità. In John Wayne Gacy, Jr. la chitarra e il pianoforte circondano e sostengono una voce rotta dalla tristezza della storia che si accinge a raccontare, quella dell’omonimo serial killer di Chicago. Nelle parole di Stevens non troviamo condanna, non troviamo giustificazione, perchè ciò che si trova è empatia, comprensione: le prime due lapidarie frasi del testo servono da sole a spiegare uno dei motivi di questa pazzia, senza tuttavia la presunzione di voler entrare nella mente del mostro. Un mostro che è pur sempre un uomo, come lasciano intendere gli ultimi versi, mentre il tormentato fraseggio degli strumenti sembra ora avvicinarsi ora allontanarsi quasi ruotando su se stesso, dando sostegno ad una voce talmente terrena e reale da donare umanità al disumano.
 
Illinoise è un grande album, un’opera in cui originalità, talento e varietà si uniscono per creare un prodotto di una qualità tanto alta quanto rara da trovare. Ascoltandolo attentamente, non è difficile riconoscere nelle sue sonorità le stesse sonorità che molte band contemporanee hanno preso in prestito (più o meno consapevolmente) da esso, e già questo è un motivo valido per ascoltarlo: Illinoise è un disco fondamentale, se non altro per imparare a conoscere la musica attuale, ma soprattutto per la grande, sfolgorante bellezza di cui è fatto.
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