Voto: 
6.2 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Fat Possum Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Gaz Coombes - Voce, Tastiere, Chitarra, Basso
- Danny Goffey - Batteria, Voce, Chitarra, Piano

Tracklist: 

1. "Drive My Car" (The Beatles)
2. "I Can't Stand It" (The Velvet Underground/Lou Reed)
3. "Big Sky" (The Kinks)
4. "The Crystal Ship" (The Doors)
5. "(You Gotta) Fight for Your Right (To Party!)" (Beastie Boys)
6. "Damaged Goods" (Gang of Four)
7. "Love Is the Drug" (Roxy Music)
8. "Bike" (Pink Floyd)
9. "Pump It Up" (Elvis Costello)
10. "The Lovecats" (The Cure)
11. "Queen Bitch" (David Bowie)
12. "E.M.I." (Sex Pistols)
13. "Up the Junction" (Squeeze)
14. "West End Girls" (Pet Shop Boys)
15. Mirror in the Bathroom" (The Beat)

Hot Rats, The

Turn Ons

Il pop e il rock del passato aggiornati al tempo dell'indie e delle distorsioni. Cosa sia saltato in mente a Gaz Coombes e Danny Goffey per buttarsi a capofitto in questa divertente epopea di riesumazioni di miti non si sa e rimarrà un mistero. Proprio in un periodo come questo, in cui miriadi di band provano a rievocare senza soluzione di continuità le atmosfere e i sapori di quel passato mai così lontano e altrettanto sentito, il duo inglese (nient'altro che le menti dei Supergrass, tra i più blasonati esponenti del britpop moderno) decide così di estremizzare la situazione e, pur di non rischiare di annegare nel plagio e nella mera scopiazzatura di quel tesoro passato (cosa che praticamente accade alla maggior parte dehli odierni complessi revivalisti), tira fuori un album di cover divertente e appassionato: nulla si copia, tutto si reinterpreta. Non si può parlare di citazione e nemmeno di richiamo (tranne per quanto riguarda la radice zappiana del loro monicker) perchè quello degli Hot Rats non è altro che un tributo. Sfacciato, strambo, moderno ma pur sempre un tributo, oltre che un atto di amore davvero incondizionato.

Così le band e gli artisti storici del passato del Rock e del Pop rivivono qui sotto una luce strampalata che trascina e fa ballare, seppur utilizzando mezzi non del tutto nuovi o innovativi. Un buffet revivalista che più diretto ed energico non si può, visto che anche i successi dei gruppi meno 'hard' dell'album (ah, dimenticavo, si chiama Turn Ons) vengono filtrati e rielaborati in modo da metterne maggiormente in risalto l'essenza più ballabile.
Così accade con la splendida The Crystal Ship dei Doors (affascinante nella sua nuova veste distorta), con la travolgente carica della beatlesiana Drive My Car e con le scosse di I Can't Stand It dei Velvet Underground, tutti episodi che dimostrano la genuinità dell'esperimento dei due Supergrass che, pur ricalcando molti degli stilemi indie e pop più distorti, hanno tirato fuori un disco divertente e appassionante, in primis ovviamente per la bellezza delle canzoni qui rielaborate. Ma gli Hot Rats non si fermano semplicemente agli anni '60 e '70 (peraltro approfonditi dalle cover di Love Is the Drug dei Roxy Music, Queen Bitch del duca bianco, la stravagante Bike dei Pink Floyd e l'avvolgente Big Sky degli storici The Kinks), bensì si gettano a capofitto anche nella decade successiva, trasformando Damaged Goods dei Gangs Of Four, la cureiana The Lovecats, l'intrigante West End Girls dei Pet Shop Boys e (addirittura) (You Gotta) Fight For Your Right (To Party!) dei Beastie Boys in travolgenti espressioni di questo revival-covering spigliato e divertente. A completare la cornice degli Hot Rats mancano all'appello le sole Up the Junction degli Squeeze, Mirror in the Bathroom dei The Beat, la trascinante Pump It Up di Elvis Costello (qui resa ancora più dura e aggressiva) e, per finire, E.M.I. dei Sex Pistols, brani che chiudono anche il disegno stilistico dell'album, riesumando quei versanti punk, rock e ska tenuti a bada nella prima parte del lavoro (di netta impronta pop-psichedelica).

Turn Ons è per questo un viaggio nel passato del rock e del pop che, forse, fa avverare il sogno, il desiderio più grande dei due musicisti inglesi, ovvero quello di poter (ri)suonare per davvero la musica dei grandi artisti del passato, riaggiornandola ovviamente con quella mentalità sfacciata, giovane e dirompente tipica dell'ondata indie rock del nuovo millennio, ambiente in cui Gaz Coombes e Danny Goffey sguazzano da tempo e che inevitabilmente rigettano senza fatica in questo lavoro semplicemente piacevole. Nulla di più, nulla di meno.


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