Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Young Turks/XL
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Brian Borcherdt – synth, effetti
- Graham Walsh – synth, effetti
- Matt "Punchy" McQuaid – basso
- Matt Schulz – batteria

Tracklist: 

1. 1MD
2. Red Lights
3. Latin America
4. Stay Lit
5. Silva & Grimes
6. SHT MTN
7. Stilettos
8. Lucky
9. P.I.G.S.

Holy Fuck

Latin

Il delirio sintetico targato Holy Fuck ritorna, per la gioia dei più folli appassionati, ad infestare il panorama avantgarde-elettronico internazionale. Chi due anni fa ebbe la fortuna di ascoltare il misconosciuto LP sa di cosa sto parlando e sa che il gruppo in questione non è un complesso qualunque, non è un ritrovo di ubriaconi fancazzisti smarriti tra insensati aneliti intellettualistici, ma una band (quasi) unica e, ora come ora, inimitabile.
Se già da LP (2007) e dalle precedenti releases (sottoforma di Ep, split e collaborazioni) si percepiva la forza e l'inarrestabile visionarietà del progetto canadese, Latin riassembla con la solita vena creativa il linguaggio e le bizzarrie della creatura di Brian Borcherdt & co., evolvendo ancora di più uno stile estremamente versatile, dinamico e - mai come in questo caso - alla disperata ricerca della 'citazione' colta. Citazione che sin dalle prime note dell'album riporta alla mente la Germania settantiana del krautrock e, nella fattispecie, il devastante onirismo dei Neu! e le seminali profezie elettroniche - qui rielaborate in una veste moderna ma al contempo sfacciatamente retrò - dei Kraftwerk (Stilettos altro non è se non un semiplagio ai geni di Düsseldorf aumentato di parecchi bpm).

Latin è senza dubbio un lavoro più violento - o meglio, impetuoso - rispetto al precedente, del quale comunque ricalca a grandi linee le principali coordinate compositive pur rielaborandole in un linguaggio più prettamente sintetico, a sua volta arricchito da continue trance psichedeliche e da uno spasmo ritmico ancora più pressante e travolgente.
A rendere valida la nuova creazione degli Holy Fuck (più che le pseudo-colte reminiscenze psych/kraut) è l'impeccabile
e visionaria interazione tra strumentazione reale e dimensione elettronica che gli statunitensi elaborano precisamente sin nei minimi dettagli: se da una parte le ardimentose costruzioni sintetiche di Brian Borcherdt e Graham Walsh affogano Latin in un'atmosfera luminosa e artificiale, l'apparato ritmico degli Holy Fuck (Matt McQuaid al basso e il davvero eccellente Matt Schulz alla batteria) dona al disco delle sembianze decisamente più umane, nonostante a tratti si percepisca quasi un cambio di ruoli e di funzionalità espressive tra le due dimensioni.
Ora più voluttuose, astratte e dense di onirismo (l'ambient lisergico dell'opener 1MD, la splendida oasi onirica di matrice kraut di Silva & Grimes, la luminosità di Latin America ) ora più metropolitane e moderne (la notwistiana e toccante Stay Lit, le travolgenti pulsazioni electroclash di SHT MTN e P.I.G.S. e le più stranianti atmosfere di Lucky) le scorribande sintetiche degli Holy Fuck trascinano l'album in un vortice impazzito di suoni e atmosfere, abbattendo con disinvoltura qualsiasi barriera stilistica e ritrovandosi così sospeso tra fascinose cavalcate - perdonatemi il neologismo - funkytroniche (la bizzarra Red Lights) e distensioni psichedeliche dal retrogusto fortemente lisergico.
Discese free-form, inasprimenti sintetici presi in prestito dalla più acida elettronica da ballo moderna, allucinazioni kraut, ritmiche jazzy e richiami art/prog rock sono quindi l'esoscheletro (come non mai robusto) su cui gli Holy Fuck costruiscono man mano Latin, presentando del materiale indubbiamente positivo ed emozionante ma che a tratti stenta a decollare, rischiando qualcosina di troppo nel suo lavoro 'citazionista' e perdendo qualche colpo per una ripetitività espressiva sicuramente migliorabile.

Ad ogni modo l'ultima creazione degli Holy Fuck rimane un prodotto ben fatto e sapientemente costruito, sebbene la sua natura estremamente di nicchia non ne agevolerà di certo una vasta fruizione in termini di pubblico e ascolti. Per apertura mentale e versatilità compositiva, Borcherdt e soci si (ri)confermano comunque come un act assolutamente peculiare nell'odierno scenario avant-elettronico ed è per questo che lasciarli passare inosservati (discorso applicabile solo a noi europei, visto il loro successo dall'altra parte dell'Atlantico) è una cosa di cui un giorno, magari, potremmo pentirci amaramente.


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