Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Jacopo Prada
Genere: 
Etichetta: 
Lifeforce Records/Andromeda
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Marcus Bischoff - voce
- Maik Weichert - chitarra
- Patrick Schleitzer - chitarra
- Matthias Voigt - batteria

Guests:
- Patrick Engel - basso


Tracklist: 

1. The Few Upright (02:17)
2. Behind A Wall Of Silence (03:41)
3. The Fire (04:11)
4. Naked Among Wolves (04:17)
5. The Martyr's Blood (04:15)
6. The Worlds In Me (04:20)
7. Implore The Darken Sky (05:07)
8. Ecowar (02:59)
9. It Burns Within (04:28)
10. Whatever It May Take (03:44)
11. Io (02:01)
12. Casa De Caboclo (02:47)
13. Implore The Darken Sky (Classic Version) (05:07)

Heaven Shall Burn

Whatever It May Take 2007

E’ soprattutto grazie a band come gli Heaven Shall Burn se il Metalcore europeo può oggi competere ad armi pari con la scena statunitense. Nuovi gruppi si sono formati e la qualità generale delle pubblicazioni continua a salire, accompagnata anche da un sempre maggiore interesse da parte delle etichette discografiche. Considerati il successo ottenuto dalle ultime uscite Metalcore e la loro relativa popolarità, risulta naturale che gli appassionati si interessino anche al passato dei complessi di spicco, andando a riscoprire piccole gemme quasi dimenticate. La medesima azione la compiono però gli artisti stessi, valutando positivamente oppure negativamente il proprio operato. C’è forse un discorso di questo tipo dietro al lavoro di rivisitazione che ha visto come protagonisti gli Heaven Shall Burn ed il loro secondo full lenght intitolato Whatever It May Take. Guidato dalla Lifeforce Records, il gruppo germanico ha infatti deciso di rivedere e rendere più accattivante un disco che, sebbene uscito solo cinque anni fa, sente sicuramente il peso degli anni. Dopo la versione del 2002, ecco quindi Whatever It May Take 2007, riedizione dell’album che proiettò gli Heaven Shall Burn verso il successo mondiale.

Le novità cominciano già dall’artwork, completamente rinnovato per l’occasione. Inutile fare eccessivi raffronti: pare evidente il maggior fascino esercitato dalla nuova grafica rispetto a quella originale, grazie soprattutto ad un sapiente uso dei colori. Stravolta del tutto pure la tracklist dell’album, che nell’edizione 2007 risulta meglio strutturata, anche ai fini del disco. Forse chi si sente molto legato all’edizione originale potrà trovare difficile abituarsi al nuovo ordine dei brani, che vede soltanto qualche traccia immutata nella sua posizione. Una parte dei cambiamenti è dovuta all’eliminazione della banalissima e trascurabile introduzione d’apertura. I brani restano però tredici grazie all’inserimento di un pezzo inedito chiamato Io. Trattandosi di una superba traccia strumentale dalla durata di due minuti, Io non fa parte di eventuali canzoni di scarto o materiale del genere. Il suo sound resta perciò peculiare all’interno dell’album ed appare abbastanza plausibile che il brano non risalga al 2002, bensì al periodo di rispolvero di Whatever It May Take. Presenti inoltre altre modifiche minori, non molto rilevanti, ma comunque apprezzabili.

La vera novità riguarda però la produzione ed il mixaggio di Whatever It May Take, visibilmente migliorati rispetto a quelli datati 2002. Il sound non è certo più cristallino ed orecchiabile, anzi, si avvicina maggiormente a quello del diabolico Deaf To Our Prayers. Una simile operazione è stata compiuta probabilmente per due motivi: rendere leggermente meno grezze ed obsolete le sonorità di Whatever It May Take e far sì che l’album ricordi in maniera più chiara gli attuali Heaven Shall Burn. Se quest’ultimo punto fa sorgere qualche dubbio sulle ragioni del restyling (ricordiamo che la band teutonica, ora all’apice della sua popolarità, non è più sotto contratto con Lifeforce), bisogna ammettere che il lavoro di pulizia del suono è riuscito alla perfezione. Whatever It May Take 2007 risulta infatti ben più incisivo rispetto alla prima stampa, dove le chitarre erano spesso sottotono e la batteria sicuramente non delle più eccezionali. In linea generale, tutti i suoni appaiono rinvigoriti, compreso il cantato di Marcus, decisamente più affine a Deaf To Our Prayers che non allo stesso Whatever It May Take 2002. Il fascino del disco non ne risente affatto, anzi, esso esce addirittura rafforzato da questa riedizione.

A prescindere dalle possibili ragioni economiche che hanno spinto la Lifeforce Records a compiere un simile lavoro di rivisitazione, avere fra le mani un disco ben prodotto e rifinito dà sempre una grande soddisfazione. Non solo Whatever It May Take 2007 vince senza tanta fatica la sfida con il suo diretto predecessore, ma sbaraglia anche la maggior parte delle uscite Metalcore di quest’anno. Trattandosi comunque di una semplice riedizione, il voto sottostante non riguarda l’opera in sé, ma soltanto il lavoro svolto dai tecnici Lifeforce sull’album, un album che torna meritatamente a brillare dopo cinque anni di rimpianti e perplessità.

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