Voto: 
8.8 / 10
Autore: 
Paola Andriulo
Etichetta: 
Too Pure
Anno: 
1992
Line-Up: 

PJ Harvey

Tracklist: 

1. Oh My Lover
2. O Stella
3. Dress
4. Victory
5. Happy and Bleeding
6. Sheela-na-gig
7. Hair
8. Joe
9. Plants and Rags
10. Fountain
11. Water

PJ Harvey

Dry

1969, una piccola cittadina del Dorset (Inghilterra) ci regala un’incredibile voce, Polly Jean Harvey. Un’artista la cui voce carismatica e duttilissima ti cattura inevitabilmente, un’artista cresciuta a Captain Beefheart, Bob Dylan, Muddy Waters, Rolling Stones e Pink Floyd. 1969: l’anno della sua nascita, e forse non fa male ripeterlo per comprendere appieno l’ambiente in cui Polly cresce (i suoi genitori sono 2 hippie amanti del blues) e si forma musicalmente. 1992: Polly partorisce Dry; azzeccato il verbo partorire per un album, il primo di una serie di perle musicali, che ha la semplicità ma allo stesso tempo il mistero e la crudezza di un parto. Dry è tutto questo: suoni grezzi originali in un panorama musicale in cui il grunge era appena esploso, melodia e distorsione che si alternano spesso e magistralmente, dolcezza e rabbia, paura, terrore. Oh my lover è il primo assaggio: sintetico, chiaro, un brano in cui è evidente la rassegnazione di una donna tradita, una donna davvero singolare: Non capisci che si può fare? Puoi amare lei e contemporaneamente anche me...Un concetto espresso semplicemente, così semplicemente che la frase che potrebbe apparire assurda viene accolta senza troppi dubbi: si è presi dalla trasparenza delle parole e dalla musica chiara e rassegnata che esplode alla fine dimostrando la convinzione e la forza della donna protagonista del pezzo. Oh my lover è un primo assaggio ma è anche un indizio per leggere tutto l’album: è un susseguirsi di brani in cui la sezione ritmica vibrante si unisce ad una voce dalla flessibilità disarmante.

La musica di Polly è musica da vagina arrabbiata, come ha schiettamente affermato Courtney Love... Attraverso i successivi pezzi (come Dress, Victory, Happy and Bleeding, Plants and rags) si entra in un labirinto di sonorità buie e luminose, piatte e ripide, dolci e amare, in un labirinto di dissonanze continue e dall’impatto evidentissimo. Sono molti gli esempi di tali dissonanze, molti i brani che trasmettono tutta la veemenza e la bellezza del biglietto da visita della bella Polly; per citarne alcuni decisamente significativi ecco Victory, che si snoda seguendo un’eco Patti Smithiana che conferisce al brano un’eleganza e una finezza stupefacenti e chiari fin dai primi passi compiuti dal solitario e sicuro basso. La forza di Victory viene immediatamente soppressa nel pezzo successivo, Happy and Bleeding, originalissimo e uno dei più belli e particolari di tutta la carriera dell’artista inglese. Felice e sanguinante: parlerà della perdita della verginità? O del primo ciclo mestruale? Come sempre i testi di Polly sono emblematici e lasciano la piena libertà di immaginare, supporre, decidere. Ciò che emerge fin dall’inizio è la voce di Polly che in tutta franchezza esprime le sue sensazioni; tutto questo ad un livello di registrazione volutamente basso che si contrappone all’esplosione successiva, quasi una liberazione improvvisa. Tra tutti questi brani schietti, crudi, deliranti (Joe è un esempio breve e scoppiettante di post-punk) non mancano momenti in cui la dolcezza della voce di Polly ti accarezza piacevolmente, sempre però accompagnata da qualcosa che turba la serenità e che rende il brano misterioso e poco scontato: Plants and Rags ne è un perfetto esempio, e qui la dolce voce che richiama paesaggi vuoti lontani si accompagna ad un violino che accresce la sensazione di soitudine e rende l’atmosfera tetra.

Contraddizioni continue tra i brani e all’interno di uno stesso brano, dissonanze, contrasti ma mai stonature: la bellezza di Dry sta proprio nell’armonia che trasmette alla fine, in quella completezza che si respira a fine ascolto. Un album grezzo ma non acerbo, asciutto (emblematico il titolo), scevro da fronzoli. Un ottimo inzio.
 

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