Voto: 
8.3 / 10
Autore: 
Marcello Zinno
Genere: 
Etichetta: 
Noise
Anno: 
1986
Line-Up: 

- Chris Boltendahl - vocals
- Peter Masson - guitars
- C.F. Brank - bass
- Albert Eckardt - drums

Tracklist: 


1. Keep On Rocking
2. Heaven Can Wait
3. Fire In Your Eyes
4. Let Your Heads Roll
5. Love Is Breaking My Heart
6. Paradise
7. (Enola Gay) Drop The Bomb
8. Fallout
9. Playin’ Fools
10. The End

Grave Digger

War Games

Ecco che in picchiata i Grave Digger, ancora una volta ad un soffio dall’ultima fatica discografica, escono allo scoperto senza stravolgere di una virgola le caratteristiche principali della propria offerta, per nulla messa a rischio dai continui cambi di line-up. La forza ed il carisma di Chris Boltendahl restano intatti precisamente come i due anni che hanno anteceduto l’uscita di questo War Games, album dalla calibratissima ed irriverente natura heavy che continua a far accumulare punti ai nostri teutonici eroi. L’album e soprattutto la copertina risultano fortemente ispirati all’omonimo film di John Badham del 1983 in cui un ragazzino si divertiva a sfidare il suo computer ad una “guerra termonucleare globale”, investendo alla fine anche interessi ed organismi internazionali.

I testi di War Games, un po’ come da tradizione, parlano di musica (Keep On Rocking, Let Your Heads Roll), di battaglie per affermare sé stessi e del bilico tra vita e morte, topic quest’ultimo che garantisce un sicuro fascino nella proposta musicale heavy ottantiana; il sound sempre rocciosamente imperniato in un riff centrale per ciascuna canzone si ripete non già fino allo sfinimento bensì fino al cedimento neuronale: Heaven Can Wait può tener cattedra in questo, con un refrain che resta inciso ed una cattiveria capace di sfidare il diavolo (curiosità: registrato nello stesso anno in cui gli Iron Maiden pubblicano l’omonimo pezzo nell’album Somewhere In Time…un caso?!) ma che è solo di un atomo inferiore alla cattiveria sprigionata da Fire In Your Eyes nella quale Albert Eckardt è ad un passo dallo sfondare il rullante.
La vera pecca dei Grave Digger, l’elemento che non ha permesso loro di accedere all’olimpo di band culto, coincide probabilmente nel ritardo cronologico con cui la proposta musicale del “becchino” (traduzione del moniker) si accinge a conquistare il mercato discografico, soprattutto se si considerano i contenuti della scena NWOBHM (Iron Maiden, Judas Priest, Saxon). Come quasi un’ombra dei fratellastri di oltre manica, i Nostri vivono di fan già nati ad opera altrui pur fornendoci, attraverso War Games, le giuste motivazioni per riconoscere il contributo che Chris e la propria ciurma è riuscita a conferire al genere.

Oltre i pezzi già citati, anche i riff di Paradise, pezzo tutt’altro che paradisiaco, ma oseremo dire infuocato da gradi centigradi a tre cifre e di Drop The Bomb, cavalcata potente dal bridge epico, stentano ad abbandonare i nostri pensieri facendo implodere nelle nostre menti un pogo sfrenato, non meno potente di una “thrash old school band”.
Ma non finisce qui perché i Grave Digger si cimentano di nuovo nella composizione di una ballad, Love Is Breaking My Heart: dopo la poco riuscita Yesterday degli esordi, Chris si sente più a suo agio con un pezzo difforme dalle sue tonalità naturali, pezzo nel quale riesce anche a creare il giusto pathos da canzone “rock ‘n’ love”. Frutto di tanto lavoro ed il risultato è più piacevole del passato.
Calda Follout, guadagna consenso grazie ad una struttura differente dal solito pezzo targato “Digger”, una grossa attenzione alla parte introduttiva che arricchisce di non poco i contenuti standard della song (stavolta è l’alone di Piece Of Mind che non riesce a togliersi dalla nostra mente), ritmi lenti ed assolo grezzo ed impeccabile condiscono il pezzo. Un passo avanti nell’evoluzione del sound, evoluzione confermata anche dal primo decimo pezzo della storia dei GD, The End (dopo l’allegra Playin’ Fools): strumentale dall’incedere maestoso che anticipa un’apocalisse prossima alla devastazione totale. Sarà questo il concetto portante del successivo lavoro?

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