Voto: 
7.8 / 10
Autore: 
Matteo Mainardi
Genere: 
Etichetta: 
EMI
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Simon Tong - Chitarra
- Paul Simonon - Basso
- Damon Albarn - Voce/Tastiere
- Tony Allen - Batteria

Tracklist: 

1. History Song
2. '80's life
3. Northern Wale
4. Kingdom of Doom
5. Herculean
6. Behind the Sun
7. The Bunting Song
8. Nature Spring
9. A Soldier's Tale
10. Three Changes
11. Green Fields
12. The Good, the Bad & the queen

Good, the Bad & the Queen, The

The Good, the Bad & the Queen

The Good, the Bad & the Queen sono la project-band che il famoso e stralunato Damon Albarn ha deciso di fondare, dopo i grandi successi avuti prima con i Blur e poi con i Gorillaz. Che Albarn fosse un personaggio strano e sempre pronto a mettersi alla prova lo si era capito già da un pezzo, ma questa volta ha deciso di fare le cose in grande: mettere tutti insieme sotto lo stesso nome, persone che per quanto riguarda la storia della musica hanno già fatto parecchio e, nonostante questo, decidono di ritornare sotto i riflettori della scena musicale con il rischio che il loro nome venga infangato o, peggio ancora, bollato negativamente a vita. Uno di questi è il leggendario Paul Simonon, bassista dei The Clash e celebre icona della ribellione che, con la sua famosissima immagine dell'album London Calling in cui fa letteralmente a pezzi il suo basso, ha tappezzato milioni di camere di altrettanti fans della scena Punk e non solo. Abbiamo quindi la presenza non di una persona ma di un'icona vera e propria verso la quale molti gruppi si sono ispirati per cercare di esprimersi e riuscire magari ad emergere su tutti. Lo stesso Albarn è un'icona, meno splendente e di portata "rivoluzionaria" inferiore rispetto al vecchio Simonon, ma pur sempre un'icona che grazie ai Blur è riuscito a sdoganare e rendere alla moda un genere che fino ad allora era rimasto segregato e accessibile solo a piccoli ambienti alternativi. Anche con i Gorillaz è riuscito, nel suo piccolo, a creare novità; prima fra tutti l'utilizzo di cartoon per i loro video, riuscendo così a rimanere nell'anonimo (almeno per quanto riguarda le fattezze fisiche).
Gli altri componenti del gruppo sono altrettanti musicisti di fama e di grande esperienza: abbiamo Simon Tong ex chitarrista dei Verve e Tony Allen batterista e percussionista di Fela Kuti.

E' quindi indiscutibile che The Good, the Bad & the Queen richiami parecchia attenzione già solo per i suoi componenti. Se a questo aggiungiamo anche una massiccia dose di comunicati stampa e di vere e proprie martellate promozionali da parte dei media, il gioco risulta essere fatto e ben avviato. Non resta quindi che iniziare ad ascoltare questo album per cercare di capire se le aspettative sono all'altezza del prodotto presentato.

Si inizia con History Song che è caratterizzata dalla voce svogliata e strascicata di Albarn. Il sound è very cool e tipico di locali alternativi al lume di candela; traspare un'atmosfera intima e calda dalle note della chitarra che, con un basso al limite del minimalismo, riesce a indirizzare il giusto spirito decadente e rassegnato di quello che sarà un pò tutto il filone principale dell'album. Una volta finito l'ascolto non sarà difficile riuscire a capire il senso un pò dickensiano che The Good, the Bad & the Queen trasmette; ambientazioni fumose e tipiche della Londra industrializzata dell'Ottocento sono un pò le scenografie mentali che le melodie qui presentate proiettano nella nostra mente. L'uso a dir poco persistente e da protagonista dell'organo, rende il tutto ancora più surreale e molto ancient. Northern Wale presenta per la prima volta l'uso di un pò di elettronica (ovviamente al minimo indispensabile) e il suo ritmo blando e più proprenso a una ballad da vecchi tempi, ci fa viaggiare in modo insolito e sulfureo che rende faticoso non lasciarsi trasportare e condurre per corridoi musicali a noi sconosciuti. La batteria è sempre poco presente in ogni pezzo quasi a farci intendere che l'obiettivo principale non sia quello di dettare direttive ritmiche ma, piuttosto, direttive melodiche. Per questo motivo l'album può sembrare inizialmente di difficle approccio, proprio perchè ormai non siamo più abituati a musiche del genere. La canzone che meglio ci rimanda agli splendori/orrori della londra d'Ottocento è il brano Three Changes che con l'apertura di fisarmonica prima e di alterazione d'ottava di voce dopo, ci trasmette un vero senso di disorientamento che mette l'ascoltatore in balia dei voleri della band.

L'alto tasso di sperimentazione che The Good, the Bad & the Queen presenta rende l'ascolto ad un primo momento difficoltoso e macchinoso. Una volta però entrati nei meccanismi, si riesce a fare chiarezza e capire l'eleganza vellutata che ogni melodia presenta. Se si vuole definire quest'album con un aggettivo verrebbe subito da dire "vellutato" proprio per la sua leggerezza e spensieratezza che mai stanca ma che, anzi, rende assuefatto l'ascoltatore.

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