Voto: 
8.7 / 10
Autore: 
Jacopo Prada
Etichetta: 
Cinevox Record
Anno: 
1975
Line-Up: 


- Massimo Morante - chitarra
- Fabio Pignatelli - basso
- Claudio Simonetti - pianoforte e sintetizzatore
- Walter Martino - batteria e percussioni


Tracklist: 


1. Profondo Rosso (03:45)
2. Death Dies (04:37)
3. Mad Puppet (06:30)
4. Wild Session (05:40)
5. Deep Shadows (05:45)
6. School At Night (02:05)
7. Gianna (01:47)


APPROFONDIMENTO CINEMATOGRAFICO: PROFONDO ROSSO - Il FILM
Non c’è dubbio alcuno che quella fra i Goblin e Dario Argento fu più di una semplice collaborazione. Fra la band ed il regista, nato a Roma il 7 settembre 1940, si instaurò un rapporto di amicizia e di reciproco rispetto, caratterizzato da un’affinità incredibile, quasi stupefacente. Quest’unione rimase pressoché indissolubile nonostante il passare inesorabile del tempo, tanto che Claudio Simonetti e Dario Argento sono tuttora grandissimi amici. Numerosi furono i frutti di questa straordinaria intesa, primo fra tutti un certo Profondo Rosso, film che, grazie anche alla sua colonna sonora, riscosse un successo sbalorditivo per l’epoca. Oggi la pellicola cagiona emozioni forti, proprio come accadeva trent’anni fa, e mantiene immutato il suo fascino, oscuro sì, ma terribilmente rosso…

LA STORIA:
E’ il 1974 e Dario Argento sta girando il suo ultimo film, Le Cinque Giornate. Grazie ad un lampo di genio il regista costruisce, nella sua mente, una scena destinata a rimanere nell’immaginario collettivo per decenni. La cornice è quella di un teatro, in primo piano una medium. Inutile aggiungere altro: si tratta dell’esordio di Profondo Rosso, un progetto nato quasi per caso. Dopo la parentesi di Le Cinque Giornate, il regista romano decide che è il momento di tornare al suo genere prediletto, il Thriller. Si rende anche conto però, che per riscuotere successo occorre qualcosa di nuovo, servono alcune innovazioni capaci di rendere un lungometraggio inquietante ma allo stesso tempo originale. Si avvale pertanto della collaborazione di Bernardino Zapponi, celebre sceneggiatore, amico, nonché assistente, di Federico Fellini. Le numerose discussioni ed i litigi che ne conseguono sono senz’altro produttivi. Essi infatti, insieme all’incontro con la sua futura compagna, Daria Nicolodi, permetto ad Argento di uscire dalla crisi interiore che stava attraversando in questo periodo. Non meno importante è il ruolo che la donna giocherà nella carriera del regista. Questa, difatti, lo influenzerà a tal punto da condizionarne enormemente la produzione artistica. Tanto per fare un esempio, saranno gli elementi fantastici e quelli paranormali a prendere il sopravvento. Profondo Rosso rappresenta quindi il primo passo verso una trasformazione costante, graduale, che muterà per sempre ed in modo considerevole lo stile di Dario Argento.

LA TRAMA:
Durante una conferenza sulla parapsicologia, una medium, Helga Ulmann, percepisce fra il pubblico la presenza di una mente perversa ed assassina. Grazie alle sue incredibili capacità intellettive, la donna vede anche una misteriosa villa, dove tanti anni prima era stato commesso un macabro, orribile delitto. Helga viene uccisa poco dopo ed all’omicidio assiste per caso Marc, un musicista professionista. Questo, dopo essere stato inizialmente fra i sospettati, si ritrova ben presto nel mirino del fantomatico killer, che nel frattempo sta togliendo di mezzo coloro che potrebbero risalire alla sua vera identità. Gli omicidi sono tutti accompagnati da una poco rassicurante filastrocca infantile…

RECENSIONE:
Il film che consacrò definitivamente Dario Argento inizia con una scena apparentemente illogica, ma che invece risulterà la chiave di tutto: si vedono alcune ombre, fra cui quella di un coltello, e si ode un’agghiacciante melodia infantile. Pochi secondi, ma intensi e ricchi di pathos. La storia di Profondo Rosso ruota attorno all’omicidio di una medium ed alla relativa indagine tesa a svelare l’identità dell’assassino. La coppia di detective improvvisati è formata da un musicista (David Hemmings) e da una giornalista in carriera (Daria Nicolodi). Tra i due nasce subito una relazione amorosa, contraddistinta però da numerosi diverbi causati perlopiù dal carisma della donna. E’ curioso notare come, nelle altre opere di Argento, siano pressoché assenti personaggi femminili di spicco altrettanto forti e determinati. Marc Daly e Gianna Brezzi, questi i nomi dei protagonisti, agiscono in una città fantasma, a tratti gotica, caratterizzata da un’atmosfera surreale. Particolarmente azzeccate sono anche la scene girate all’interno di spazi chiusi, come quelle nella villa abbandonata o nella scuola media statale. Il sangue versato durante l’arco del film non è poi molto, tuttavia la violenza espressa in alcuni episodi si rivela a dir poco sbalorditiva. La musica dei Goblin, spesso ossessiva ma senza dubbio efficace, gioca qui un ruolo fondamentale e rende il tutto ancor più impressionante. Profondo Rosso è un film imperdibile, storicamente importante per il cinema italiano e a suo modo geniale. Nonostante siano passati più di trent’anni dalla sua uscita, esso non appare mai scontato o addirittura patetico e rimane ancora oggi una delle tappe più significative ed affascinanti della lunga carriera di Dario Argento.

SCHEDA TECNICA:
Interpreti: David Hemmings (Marc Daly), Daria Nicolodi (Gianna Brezzi), Gabriele Lavia (Carlo), Clara Calamai (madre di Carlo), Eros Pagni (commissario Calcabrini), Glauco Mauri (professor Giordani), Macha Méril (Helga Ulmann), Giuliana Calandra (Amanda Righetti), Nicoletta Elmi (Olga)
Regia: Dario Argento
Sceneggiatura: Dario Argento e Bernardino Zapponi
Montaggio: Franco Fraticelli
Fotografia: Luigi Kuveiller
Musiche: Giorgio Gaslini e Goblin
Scenografia: Giuseppe Bassan
Costumi: Elena Mannini
Effetti speciali: Germano Natali e Carlo Rambaldi
Produzione: Salvatore e Claudio Argento per la SEDA di Roma
Distribuzione: Cineriz
Origine: Italia 1975
Durata: 127’

Goblin

Profondo Rosso

Progressive Rock e cinema Horror: un’accoppiata apparentemente stravagante, ma che in realtà ha dato i suoi frutti nel corso degli anni. Eppure, nessuno se lo sarebbe immaginato all’inizio degli anni settanta, quando i Goblin si facevano ancora chiamare Oliver. E’ il 1974: la prima formazione del gruppo comprende un certo Claudio Simonetti alle tastiere, Fabio Pignatelli al basso, Massimo Morante alla chitarra e Carlo Bordini alla batteria. Ai quattro si aggiunge poi un singer inglese di nome Clive Heins e così gli Oliver si trasferiscono al gran completo in Inghilterra, dove, grazie ad un numero incredibile di concerti, si preparano inconsapevolmente al salto di qualità che li attende. Tornati in patria, entrano in studio ed iniziano a registrare un album: Cherry Five. Il sound è quello di Genesis, Yes e Gentle Giant, i capisaldi Prog del tempo insomma. Accade però che Dario Argento ascolta qualche loro pezzo e li contatta con un’interessante proposta: scrivere le musiche per il suo prossimo film. Scelto l’accattivante monicker Goblin e reclutato il batterista Walter Martino, la band italiana momentaneamente incompiuto Cherry Five e comincia subito a lavorare sul nuovo materiale. Nel 1975 esce quindi Profondo Rosso, colonna sonora dell’omonimo capolavoro del regista romano.

Apre il disco la leggendaria titletrack, quella Profondo Rosso destinata a diventare presto il marchio di fabbrica del gruppo. Il mitico giro di tastiere iniziale incute nell’ascoltatore una paura incredibile, del tutto sconvolgente per l’epoca. Il suono del basso, lugubre e cadenzato, è da brividi, alla pari dell’organo suonato da Simonetti. Già, perché tutti gli strumenti utilizzati in Profondo Rosso sono autentici e non semplici riproduzioni sonore ad opera di tastiere. Le componenti Progressive non sono qui molto marcate, probabilmente per mettere in maggior risalto l’atmosfera terrificante evocata dal pezzo. I Goblin e Dario Argento di dimostrano fin da subito una coppia vincente e gli incassi ottenuti lo evidenziano perfettamente: la pellicola sbanca i botteghini di tutt’Italia e l’album rimane in classifica per mesi. Persino il singolo di Profondo Rosso ottiene un sorprendente successo, lanciando i Goblin in vetta a tutte le charts. Le capacità tecniche di Simonetti, Pignatelli, Morante e Martino vanno comunque oltre quanto messo in mostra nei quasi quattro minuti dell’opener e basta Death Dies per capirlo. Largo spazio ora alle sperimentazioni, senza però rinunciare al fattore Horror. Proprio così, l’incedere incalzante dettato dalle percussioni provoca un senso di ansia, di agitazione, quasi che l’ascoltatore fosse inseguito nell’oscurità della notte da uno spietato assassino. Frenate improvvise, ripartenze, stacchi elaboratissimi: questo è il Prog dei Goblin, un Prog tutt’altro che banale, contaminato da elementi Jazz e che nulla ha da invidiare a quello dei complessi italiani più osannati degli anni settanta.

Sul finale, alcuni inquietanti passi introducono la successiva Mad Puppet, anch’essa sostenuta inizialmente da una sezione ritmica invidiabile. Sebbene l’interminabile giro di basso centrale sia alquanto simile a quello di Tubullar Bells Part One di Mike Oldfield, l’intero brano farà storia. Mad Puppet si rivela senza dubbio una pregevole song, poco importa se i quattro musicisti italiani devono mettere da parte ancora una volta abilità e preparazione tecnica. Dopotutto, questo è il prezzo da pagare quando si compone musica destinata ad accompagnare le scene di un film. Si prosegue con Wild Session, canzone che riesce veramente a far gelare il sangue nelle vene. La genialità dei Goblin non conosce confini: basta qualche effetto ed il suono di un carillon per regalare emozioni forti. Sensazionale, ma altrettanto inquietante, è l’intreccio fra il pianoforte di Simonetti e gli attacchi strumentali che sbottano improvvisamente. Questi travolgono, nel vero senso della parola, l’ascoltatore, rimasto momentaneamente incantato dall’atmosfera che si era creata. Chi ha la fortuna di resistere all’enorme spavento può così godersi il resto della song ed in modo particolare il piacevole suono di un sassofono, il quale impreziosisce non poco una delle migliori composizione di sempre scritte dal complesso italiano.

Deep Shadows, pezzo assai vario ed articolato, è accostabile all’ottima Death Dies per via delle sonorità Progressive poste in primo piano. Decisamente più dinamica la prima sezione della song, dove spiccano buone linee di basso e tastiere quasi avveniristiche. Dopo qualche secondo di pausa ecco che Deep Shadows si trasforma, divenendo sicuramente meno energica, ma allo stesso tempo più oscura ed enigmatica. Se da un lato Pignatelli svolge perlopiù un ruolo di enorme sostegno, Claudio Simonetti dipinge col proprio strumento scenari tenebrosi, in piena sintonia con quelle che sono le ambientazioni del film. Nella parte conclusiva c’è pure spazio per un discreto solo di batteria, il quale però non rende giustizia alla reale bravura di Walter Martino. Con School At Night non si parla più di Rock, bensì di vera e propria musica classica. E’ infatti un’intera orchestra, diretta egregiamente dal maestro Giorgio Gaslini, a partecipare all’incisione della traccia. Due minuti e mezzo sono troppo pochi, ma gli strumenti classici riescono, come solitamente accade, ad offrire emozioni molto intense, persino impressionanti. L’ultimo capitolo di Profondo Rosso dura ancora meno del precedente. Gianna, questo il suo titolo, annuncia in maniera gradevole e pacata il tanto atteso lieto fine, caratteristico di quasi tutti lungometraggi Horror. E’ stupefacente fare un confronto fra la prima e l’ultima track dell’album: sembrano opere di artisti antitetici, ma i Goblin non sono certo estranei a sorprese di vario genere, né qui né tanto meno in futuro.

Profondo Rosso è più di una semplice colonna sonora. E’ un ottimo album Progressive, un’opera che può vantare insieme atmosfere straordinarie e musiche di elevata qualità. La titletrack, Death Dies e Wild Session sono inoltre tre canzoni fra loro profondamente diverse, ma sempre e comunque magnifiche. Purtroppo però, le sette tracce non raggiungono complessivamente neanche la mezz’ora di durata, il che è a dir poco inaccettabile. Peccato, Profondo Rosso aveva tutte le carte in regola per poter essere un autentico capolavoro, ma non è proprio il caso di rammaricarsi eccessivamente. Il disco rappresenta, nonostante tutto, una delle perle del Rock italiano degli anni settanta e le sue note hanno contribuito a rendere immortale la pellicola di Dario Argento. L’ascolto di questo album durante le ore notturne può provocare insonnia, inquietudine e panico. Cosa chiedere di più?

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