Voto: 
6.3 / 10
Autore: 
Matteo Mainardi
Etichetta: 
Deep Elm Records/Goodfellas
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Scott Anderson - Voce, Chitarra
- Paul Cosgrove - Basso
- David Norton - Batteria

Tracklist: 

1. International Gathering of Champions
2. The List of Everyone
3. Blind Boys
4. Lovers Die Young
5. The Day We Conquered
6. M is for Missing
7. Modern Day Pirates
8. Land of Giants
9. Cuban Heels, Cuban Deals
10. What Part of Free Diamonds
11. Don't You Understand?
12. Like Giraffes
13. Hearts in Clubs
14. J.P.L.D.

Free Diamonds

There Should Be More Dancing

I Free Diamonds sono un gruppo inglese che, a differenza di molti gruppi odierni, cerca di riportare alla luce un genere che ha parecchio seguito nel mondo underground ma che ancora non è riuscito a sfondare in modo massiccio: stiamo parlando del Post Punk. Sarebbe troppo bello, però, se si trattasse solo di questo; sì, perchè questi baldi giovanotti figli della Union Jack, mischiano svariati stili musicali, rendendo così impossibile riuscire ad inquadrarli in un unico settore.

Solitamente, per far capire meglio di che cosa si stia parlando, si prende come esempio una canzone ma qui risulta assolutamente impossibile soffermarsi solo su un'unica traccia. Se iniziamo parlando di International Gathering of Champions, non possiamo non dire come sia letteralmente un brano stravolgente (attenzione, non "travolgente"), perché non si riesce a comprendere quale sia il filo conduttore di tutte queste note, poste una dietro l'altra. Inoltre, la stessa voce non ci aiuta parecchio a delinearci il giusto percorso da intraprendere perché, con quell'ugola così straziante e addirittura più parlata che cantata, non si riesce a capire se stia riflettendo con in sottofondo un accompagnamento musicale, o se sia parte integrante del brano. Il problema è che sarà così per tutto l'album, fatta eccezione per alcune canzoni come Blind Boys, in cui sembra che in effetti un filo logico vi sia. Di tutto l'album, però, l'aspetto più interessante e anche di maggior rilievo è l'approccio dei musicisti ed in particolar modo del duo basso-batteria, che riesce a descrivere ritmiche assurde, a metà tra il Rockabilly e il Funky stile Red Hot Chili Peppers vecchio stampo. Se non fosse per loro, questo prodotto riusulterebbe noioso e ripetitivo dove la prima causa di tutto ciò, è senz'altro il tono e lo stile usato dal cantante che, se per le prime volte ci incuriosice e ci fa anche ridere, a fine album annoia e delude profondamente.

Stiamo quindi parlando di un gruppo che presenta un lavoro interessante e ben articolato per quanto riguarda l'aspetto sperimentale nell'uso degli strumenti; se però dobbiamo cercare di fare un quadro generale, possiamo dire che alla lunga tutto questo miscuglio di influenze e generi vari annoia parecchio. Non vale dunque la pena spendere dei soldi che potrebbero essere impiegati per qualcosa di altrettanto sperimentale ma orchestrato e gestito in modo migliore ed interessante.

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