Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Etichetta: 
Spinefarm Records
Anno: 
2009
Line-Up: 

A quasi 2 anni di distanza dalla pubblicazione ufficiale negli Stati Uniti, sbarca in Europa The Way Of The Fist, debut album del supergruppo californiano Five Finger Death Punch. Il progetto 5FDP nasce nel 2005 per opera dell’ex chitarrista degli U.P.O. Zolthan Bathory, il quale recluta il promettente ex vocalist dei Motograter, Ivan Moody, l’ex chitarrista dei W.A.S.P., Darrell Roberts, il batterista Jeremy Spencer e l’ex bassista dei Deadsett, Matt Snell. La genesi dell’album è estremamente rapida: grazie al contributo di Stevo “Shotgun” Bruno (Motley Crue) in fase di registrazione e di Logan Mader, ex chitarrista di Soulfly e Machine Head, in sede di mixaggio e masterizzazione, nella primavera del 2007 The Way Of The Fist può già dirsi pronto alla pubblicazione, che avviene il 31 luglio dello stesso anno ad opera della Firm Music/EMI.

Dopo gli inattesi trionfi d’oltreoceano, finalmente si risolve uno dei tanti misteri del mercato discografico internazionale e anche noi appassionati italiani possiamo apprezzare una delle più entusiasmanti realtà dell’alt metal di recente fattura: i 5FDP sono, infatti, tra i più stimati rappresentanti della nouvelle vague groove metal, uno stile assolutamente caratteristico che trae linfa vitale dal thrash metal e dal nu metal, senza dimenticare alcune sonorità caratteristiche del post grunge. In linea di massima tutte le tracce di The Way Of The Fist manifestano pienamente queste radici, strutturandosi in un’accogliente forma canzone in grado di soddisfare anche palati estremamente differenti: l’inossidabile doppia cassa, tipicamente thrash; le vocalità clean estremamente aggressive e di inaudita profondità, cui si accompagnano in maniera dialetticamente ineccepibile backing vocals di evidente matrice hardcore; i frequenti cambi di tempo, talvolta assimilabili ai breakdown tipici del metalcore più easy listening, e di riff, sempre puntuali e trascinanti nonostante la loro apprezzabile ricercatezza; tutti questi elementi contribuiscono a plasmare una proposta musicale estremamente graffiante e coinvolgente, dallo straripante appeal mediatico e radiofonico (non a caso l’invidiabile singolo The bleeding ha letteralmente monopolizzato le trasmissione radiofoniche d’oltreoceano per oltre 4 mesi) che cattura e trasporta in maniera sempre diversa ma sempre immediata. Una delle più evidenti qualità di questo super combo californiano è, infatti, la straordinaria capacità di riuscire a proporre uno stile personale e caratteristico in forme e modalità sempre differenti e inattese, così da rimanere costantemente fedele alla propria proposta senza con ciò ripetere, in maniera noiosa e viepiù depauperata, la malacopia di sé stessi: tutte le tracce di The Way Of The Fist si susseguono con estrema agilità ed inaudita presa emotiva, che, secondo schemi tecnici raffinati e al contempo poderosi, impediscono persino all’ascoltatore più suscettibile di annoiarsi o stancarsi dell’ascolto.

A livello di tracklist, l’album svela sin da subito tutti i suoi elementi caratterizzanti: Ashes, infatti, irrompe nei padiglioni auricolari con la soffice potenza della sua doppia cassa, mentre i ruggiti di Roberts alle 6 corde e le stordenti backing vocals (perfettamente sfruttate lungo tutto il corso delle tracce) preannunciano un chorus dall’inaudita melodia, in cui la voce calda e profonda di Moody lascia già intravedere le sue spaventose potenzialità; a confermare i buoni spunti offerti dalla traccia d’apertura pensa subito la titletrack, forse persino più “cattiva” della precedente, che rimane impressa nella memoria per quell’egregio alternarsi di accenni d’assoli old school e pre-chorus dal virulento impatto live (“Step to me! Step to me! Motherfucker…”). In posto 3 e posto 4 troviamo immediatamente 2 dei (numerosi) gioielli di The Way Of The Fist: Salvation è l’ennesimo prodotto alternativo in grado si soddisfare un pubblico vasto, tollerante e assetato di sonorità semplici ma carismatiche, giacché unisce i soliti efficaci riff ad un groove sostenuto e ben organizzato con l’aggiunta di un chorus estremamente catchy, nel quale il timbro vocale dell’ex Motograter sembra evocare e omaggiare il miglior Corey Taylor made in Stone Sour; del resto, chi già non conoscesse la divina The Bleeding faccia assolutamente in modo di ascoltarla, perché, al di là di qualunque (superba) ruffianaggine, è in assoluto un must per tutti quanti seguano l’alt metal o inseguano buoni motivi per avvicinarvisi.

Le prime note dolenti si avvertono con A Place To Die, che ripropone le medesime strutture privandole però della portata emotiva dei precedenti episodi, il ché significa indebolire notevolmente l’effetto energetico dell’album rischiando di scivolare banalmente entro i confini del filleraggio. Tuttavia, la risalita è quasi immediata: The Devil’s Own, infatti, tanto più a confronto col precedente sfortunato passaggio a vuoto, si rivela pezzo estremamente articolato, che si esalta nei continui ma sempre azzeccati cambi di riff e sorprende in positivo nelle performances vocali, la cui aggressività non perde mai la giusta miscela di brillantezza e ruvidità, mentre nel caso dei passaggi clean sfiora inattesi livelli di intensità e profondità. Altri episodi di pregevole fattura sono le successive White Knuckles, che, oltre alle solite qualità tecniche, colpisce per una notevole capacità interpretativa, sentita e sempre convincente, e Can’t Heal You, che della precedente riprende i cori (purr addolcendoli con notevole sfoggio romanzesco) e gli intriganti spoken di fondo.

Capitolo a parte meritano decisamente la brillante Never Enough e la successiva Stranger Than Fiction, non a caso scelte rispettivamente come secondo e terzo singolo estratto: la prima, già messa a disposizione dei fans d'oltreoceano in download gratuito (previo il doveroso acquisto del cd), è una cavalcata accogliente che, ad eccezione di un felice intermezzo dalle inconsuete reminescenze western, si contraddistingue per un groove veramente sensazionale, perfettamento sottolineato da un sound scrupoloso e moderno; la seconda, del resto, sorprende per un inatteso intro tipicamente ballad (con tanto di reprise finale ad anello), salvo poi ricondursi nei binari di un metal semplicificato che strizza l'occhio in maniera a volte sdrucciolevole alle "schitarrate" nu metal, senza però rinunciare a vocalità tendenzialmente cupe ma mai eccessivamente abrasive o stridenti.

Nelle battute finali dell’album prende il sopravvento l’aggressività, nonostante all’orizzonte di The Way Of The Fist si scorgano sempre una fenomenale componente melodica e la solita, disarmante profondità vocale di Moody: Death Before Dishonour, pur lasciandosi introdurre da un ben calibrato assolo power/heavy, ricomincia a batter (doppia) cassa con la consueta puntualità e moderatezza (anche le più tradizionali espressioni di potenza richiedono equilibrio e misura), mentre la conclusiva Meet The Monster pone fine all’ascolto in maniera convincente e, a tratti, persino esaltante, sfoggiando per l’ennesima volta, se ancora ce ne fosse bisogno, i numerosi punti di forza di una band che, benché meritevole ed estremamente valida, con ogni probabilità passerà, nella nostra penisola, quasi del tutto inosservata.

Peccato davvero, perché i Five Finger Death Punch si affacciano sulla scena internazionale come una ventata di assoluta freschezza e modernità, compositiva e strumentale: se, da un lato, potranno riscontrare il più totale biasimo di quanti esaltano il thrash metal nella sua purezza, o l’intollerante pregiudizio dei tanti che erroneamente li tacceranno di appartenere al naufragato metalcore, dall’altro sapranno certamente accattivarsi i consensi di coloro che già si sono affezionati a questo genere nella sua forma più tenera e strutturata, di quanti non rinnegano ancora il nu metal (forse troppo pochi, visto il drammatico declino di questa scena negli ultimi anni), di tutti quelli che, senza approfondire nessuno dei movimenti storicamente più canonici, trovano massimo gusto nell’eterogeneità di quelle proposte collettivamente ridefinibili come alt metal. E’ in questo ambito che The Way Of The Fist trova la sua naturale collocazione, è sotto questa dicitura che, se proprio non ridefinisce un genere, per lo meno allarga notevolmente i confini di una dimensione musicale attuale e ancora in piena fase di gestazione: il groove metal.

Giudizio finale, 7,5: debutto entusiasmante, perfetta combinazione di melodia e ferocia, hits di assoluto livello per un album da ricordare ed una band che promette scintille. Il futuro è adesso: sapranno ripetersi?

Tracklist: 

"Ashes" – 3:46 "The Way of the Fist" – 3:59 "Salvation" – 3:20 "The Bleeding" – 4:29 "A Place to Die" – 3:42 "The Devil's Own" – 4:14 "White Knuckles" – 4:10"Never Enough" - 3:29"Stranger Than Fiction" - 3:20
"Can't Heal You" – 3:02 "Death Before Dishonor" – 3:56 "Meet the Monster" – 4:24

Five Finger Death Punch

The Way Of The Fist

A quasi 2 anni di distanza dalla pubblicazione ufficiale negli Stati Uniti, sbarca in Europa The Way Of The Fist, debut album del supergruppo californiano Five Finger Death Punch. Il progetto 5FDP nasce nel 2005 per opera dell’ex chitarrista degli U.P.O. Zolthan Bathory, il quale recluta il promettente ex vocalist dei Motograter, Ivan Moody, l’ex chitarrista dei W.A.S.P., Darrell Roberts, il batterista Jeremy Spencer e l’ex bassista dei Deadsett, Matt Snell. La genesi dell’album è estremamente rapida: grazie al contributo di Stevo “Shotgun” Bruno (Motley Crue) in fase di registrazione e di Logan Mader, ex chitarrista di Soulfly e Machine Head, in sede di mixaggio e masterizzazione, nella primavera del 2007 The Way Of The Fist può già dirsi pronto alla pubblicazione, che avviene il 31 luglio dello stesso anno ad opera della Firm Music/EMI.

Dopo gli inattesi trionfi d’oltreoceano, finalmente si risolve uno dei tanti misteri del mercato discografico internazionale e anche noi appassionati italiani possiamo apprezzare una delle più entusiasmanti realtà dell’alt metal di recente fattura: i 5FDP sono, infatti, tra i più stimati rappresentanti della nouvelle vague groove metal, uno stile assolutamente caratteristico che trae linfa vitale dal thrash metal e dal nu metal, senza dimenticare alcune sonorità caratteristiche del post grunge. In linea di massima tutte le tracce di The Way Of The Fist manifestano pienamente queste radici, strutturandosi in un’accogliente forma canzone in grado di soddisfare anche palati estremamente differenti: l’inossidabile doppia cassa, tipicamente thrash; le vocalità clean estremamente aggressive e di inaudita profondità, cui si accompagnano in maniera dialetticamente ineccepibile backing vocals di evidente matrice hardcore; i frequenti cambi di tempo, talvolta assimilabili ai breakdown tipici del metalcore più easy listening, e di riff, sempre puntuali e trascinanti nonostante la loro apprezzabile ricercatezza; tutti questi elementi contribuiscono a plasmare una proposta musicale estremamente graffiante e coinvolgente, dallo straripante appeal mediatico e radiofonico (non a caso l’invidiabile singolo The bleeding ha letteralmente monopolizzato le trasmissione radiofoniche d’oltreoceano per oltre 4 mesi) che cattura e trasporta in maniera sempre diversa ma sempre immediata. Una delle più evidenti qualità di questo super combo californiano è, infatti, la straordinaria capacità di riuscire a proporre uno stile personale e caratteristico in forme e modalità sempre differenti e inattese, così da rimanere costantemente fedele alla propria proposta senza con ciò ripetere, in maniera noiosa e viepiù depauperata, la malacopia di sé stessi: tutte le tracce di The Way Of The Fist si susseguono con estrema agilità ed inaudita presa emotiva, che, secondo schemi tecnici raffinati e al contempo poderosi, impediscono persino all’ascoltatore più suscettibile di annoiarsi o stancarsi dell’ascolto.

A livello di tracklist, l’album svela sin da subito tutti i suoi elementi caratterizzanti: Ashes, infatti, irrompe nei padiglioni auricolari con la soffice potenza della sua doppia cassa, mentre i ruggiti di Roberts alle 6 corde e le stordenti backing vocals (perfettamente sfruttate lungo tutto il corso delle tracce) preannunciano un chorus dall’inaudita melodia, in cui la voce calda e profonda di Moody lascia già intravedere le sue spaventose potenzialità; a confermare i buoni spunti offerti dalla traccia d’apertura pensa subito la titletrack, forse persino più “cattiva” della precedente, che rimane impressa nella memoria per quell’egregio alternarsi di accenni d’assoli old school e pre-chorus dal virulento impatto live (“Step to me! Step to me! Motherfucker…”). In posto 3 e posto 4 troviamo immediatamente 2 dei (numerosi) gioielli di The Way Of The Fist: Salvation è l’ennesimo prodotto alternativo in grado si soddisfare un pubblico vasto, tollerante e assetato di sonorità semplici ma carismatiche, giacché unisce i soliti efficaci riff ad un groove sostenuto e ben organizzato con l’aggiunta di un chorus estremamente catchy, nel quale il timbro vocale dell’ex Motograter sembra evocare e omaggiare il miglior Corey Taylor made in Stone Sour; del resto, chi già non conoscesse la divina The Bleeding faccia assolutamente in modo di ascoltarla, perché, al di là di qualunque (superba) ruffianaggine, è in assoluto un must per tutti quanti seguano l’alt metal o inseguano buoni motivi per avvicinarvisi.

Le prime note dolenti si avvertono con A Place To Die, che ripropone le medesime strutture privandole però della portata emotiva dei precedenti episodi, il ché significa indebolire notevolmente l’effetto energetico dell’album rischiando di scivolare banalmente entro i confini del filleraggio. Tuttavia, la risalita è quasi immediata: The Devil’s Own, infatti, tanto più a confronto col precedente sfortunato passaggio a vuoto, si rivela pezzo estremamente articolato, che si esalta nei continui ma sempre azzeccati cambi di riff e sorprende in positivo nelle performances vocali, la cui aggressività non perde mai la giusta miscela di brillantezza e ruvidità, mentre nel caso dei passaggi clean sfiora inattesi livelli di intensità e profondità. Altri episodi di pregevole fattura sono le successive White Knuckles, che, oltre alle solite qualità tecniche, colpisce per una notevole capacità interpretativa, sentita e sempre convincente, e Can’t Heal You, che della precedente riprende i cori (purr addolcendoli con notevole sfoggio romanzesco) e gli intriganti spoken di fondo.

Capitolo a parte meritano decisamente la brillante Never Enough e la successiva Stranger Than Fiction, non a caso scelte rispettivamente come secondo e terzo singolo estratto: la prima, già messa a disposizione dei fans d'oltreoceano in download gratuito (previo il doveroso acquisto del cd), è una cavalcata accogliente che, ad eccezione di un felice intermezzo dalle inconsuete reminescenze western, si contraddistingue per un groove veramente sensazionale, perfettamento sottolineato da un sound scrupoloso e moderno; la seconda, del resto, sorprende per un inatteso intro tipicamente ballad (con tanto di reprise finale ad anello), salvo poi ricondursi nei binari di un metal semplicificato che strizza l'occhio in maniera a volte sdrucciolevole alle "schitarrate" nu metal, senza però rinunciare a vocalità tendenzialmente cupe ma mai eccessivamente abrasive o stridenti.

Nelle battute finali dell’album prende il sopravvento l’aggressività, nonostante all’orizzonte di The Way Of The Fist si scorgano sempre una fenomenale componente melodica e la solita, disarmante profondità vocale di Moody: Death Before Dishonour, pur lasciandosi introdurre da un ben calibrato assolo power/heavy, ricomincia a batter (doppia) cassa con la consueta puntualità e moderatezza (anche le più tradizionali espressioni di potenza richiedono equilibrio e misura), mentre la conclusiva Meet The Monster pone fine all’ascolto in maniera convincente e, a tratti, persino esaltante, sfoggiando per l’ennesima volta, se ancora ce ne fosse bisogno, i numerosi punti di forza di una band che, benché meritevole ed estremamente valida, con ogni probabilità passerà, nella nostra penisola, quasi del tutto inosservata.

Peccato davvero, perché i Five Finger Death Punch si affacciano sulla scena internazionale come una ventata di assoluta freschezza e modernità, compositiva e strumentale: se, da un lato, potranno riscontrare il più totale biasimo di quanti esaltano il thrash metal nella sua purezza, o l’intollerante pregiudizio dei tanti che erroneamente li tacceranno di appartenere al naufragato metalcore, dall’altro sapranno certamente accattivarsi i consensi di coloro che già si sono affezionati a questo genere nella sua forma più tenera e strutturata, di quanti non rinnegano ancora il nu metal (forse troppo pochi, visto il drammatico declino di questa scena negli ultimi anni), di tutti quelli che, senza approfondire nessuno dei movimenti storicamente più canonici, trovano massimo gusto nell’eterogeneità di quelle proposte collettivamente ridefinibili come alt metal. E’ in questo ambito che The Way Of The Fist trova la sua naturale collocazione, è sotto questa dicitura che, se proprio non ridefinisce un genere, per lo meno allarga notevolmente i confini di una dimensione musicale attuale e ancora in piena fase di gestazione: il groove metal.

Giudizio finale, 7,5: debutto entusiasmante, perfetta combinazione di melodia e ferocia, hits di assoluto livello per un album da ricordare ed una band che promette scintille. Il futuro è adesso: sapranno ripetersi?

TRACKLIST

  1. "Ashes" – 3:46
  2. "The Way of the Fist" – 3:59
  3. "Salvation" – 3:20
  4. "The Bleeding" – 4:29
  5. "A Place to Die" – 3:42
  6. "The Devil's Own" – 4:14
  7. "White Knuckles" – 4:10
  8. "Never Enough" - 3:29
  9. "Stranger Than Fiction" - 3:20
  10. "Can't Heal You" – 3:02
  11. "Death Before Dishonor" – 3:56
  12. "Meet the Monster" – 4:24
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