Voto: 
8.4 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Roadrunner Records
Anno: 
1992
Line-Up: 

- Burton C. Bell - vocals
- Dino Cazares - guitar, bass
- Raymond Herrera - drums

Guests:
- Otis – sampling
- Darius Seponlou – introduction on track 4

Tracklist: 


1. Martyr
2. Leechmaster
3. Scapegoat
4. Crisis
5. Crash Test
6. Flesh Hold
7. Lifeblind
8. Scumgrief
9. Navidad
10. Big God/Raped Souls
11. Arise Above Oppression
12. Self Immolation
13. Suffer Age
14. W.O.E.
15. Desecrate
16. Escape Confusion
17. Manipulation

Fear Factory

Soul of a New Machine

Gli ispano-americani Fear Factory vengono formati nel 1989 a Los Angeles col nome di Ulceration dal chitarrista Dino Cazares e dal batterista Raymond Herrera. Assumono il monicker definitivo l'anno successivo dopo l'arrivo del cantante Burton C. Bell (scoperto mentre cantava una cover degli U2 in un concerto).
Completata così la formazione, i tre registrano qualche demo e, sotto l'egida del produttore Ross Robinson, scrivono il primo album effettivo Concrete nel 1991. Tuttavia a causa di controversie contrattuali il disco non vede mai la luce e finisce in una sorta di limbo (da cui verrà ripescato solo nel 2002 con non poche polemiche), così i Fear Factory, questa volta assieme a Colin Richardson, si concentrano sul vero e proprio debutto ufficiale, che fra l'altro comprende molte ri-registrazioni di precedenti brani: Soul of a New Machine, pubblicato nel 1992.

Quel che Soul of a New Machine rappresenta è più che un semplice disco di metal estremo, trattasi infatti di un seminale crocevia fra la violenza e il marciume del death metal con l'immaginario claustrofobico dell'industrial più oscuro ed efferato, a cominciare dal concept (elemento che sarà sempre basilare per definire il sound fearfactoryano), che descrive un mondo in cui l'umanità ha creato una società iper-tecnologica dove le macchine stanno lentamente prendendo il sopravvento, a partire dagli enti governativi. Il connubio fra uomini e macchine diviene quindi una costante, a parte qualche episodio isolato che esplora altre tematiche.

Ispirati principalmente dal thrash dei Dark Angel, dal death di Death e Morbid Angel, dal thrash/death dei Sepultura, ma anche dal grindcore di Napalm Death, Carcass e Terrorizer, i Fear Factory gettano da qui dei ponti con gli influenti Godflesh, dei quali apprezzano le caratteristiche più allucinogene e strazianti, per creare la loro personale colonna sonora per questo mondo freddo, implacabile e inquietante.
Già dall'iniziale Martyr si può percepire un'inedita variante leggermente più alienante e robotica del death metal, accompagnata da distensioni melodiche che edificano un'aura da futuro incerto e disumanizzante, mentre l'intermezzo di Natividad, consistente nella registrazione campionata di oggetti che vengono rotti e cose metalliche sbattute, è solo un breve intermezzo noisy/industrial - tutto sommato trascurabile.
Sono presenti anche sporadici esempi di sampling, come nell'intro della ferocissima Crash Test o della bestiale Lifeblind, ma sono più interessanti quelli da film come soprattutto Blade Runner (in linea con l'immaginario cyberpunk sposato dal gruppo) in Flesh Hold.

Pur rimanendo sostanzialmente d'estrazione death metal nella musica, quindi, i tre fanno percepire l'influenza del mondo industriale nella meccanicità delle canzoni, tutte delle schiacciasassi dall'incedere inesorabile come quello di un carro armato, così come anche nell'enfasi sulle ritmiche dure e marcate, al punto da far loro prendere il sopravvento sull'elemento solista. Ma le coordinate sulle quali di base si muove il gruppo rimangono intrinsecamente extreme metal, come dimostrano i pezzi nel complesso e soprattutto quelli più corposi (per esempio la marcia Scapegoat e l'antemica Big God/Raped Souls) come anche quelli più frenetici e sporcati di grind.
Le canzoni sono tutte pesanti, lineari e secche, senza virtuosismi nè tantomeno assoli, bensì con gli accenti tutti sul riffing granitico e brutale di Cazares; ciò che lo esalta di più è la batteria di Herrera, precisa, veloce e violentissima, degna erede di quella di mattatori come Igor Cavalera e Gene Hoglan.
In ogni caso però a svettare è il cantante Burton C. Bell, poiché propone un inedito e innovativo binomio fra growling cupo e feroce, in linea con quello adottato nel death metal più canonico, e linee vocali pulite lontanamente imparentate col mondo crossover che fanno capolino in refrain molto melodici. Questi ultimi all'apparenza sembrano quasi spezzare la brutalità dell'album, ma in realtà ne accompagnano ed esaltano il lato post-apocalittico, rendendo così i pezzi ancora più angoscianti ed in linea definitiva significativi.

Il disco si dipana in ben 17 brani, ma è difficile trovare momenti sottotono, visto che i Fear Factory riescono ad edificare un monumento granitico dove la tensione e la disperazione da apocalisse sono fondamentali nel rendere tutte le canzoni micidialmente tritaossa: su tutte ancora, da menzionare Leechmaster, Arise Above Oppression, la dissonante Self Immolation, Suffer Age e la macabra Escape Confusion... ma l'intero full-lenght si attesta su ottimi livelli diventando un punto di riferimento per la scena estrema.

Soul of a New Machine si rivela alla fine uno dei lavori death metal più innovativi ed influenti, soprattutto dal punto di vista vocale, che ispirerà persino gruppi fra loro molto diversi come Machine Head o Soilwork, ma non va dimenticata la violenza psicologica che impregna a dismisura tutte le note e che rende il sound ancora più angosciante, malato, cinico e spietato, per una delle interpretazioni più genuine e suggestive del thrash/death.

Il grido disperato di una società in eclissi, l'imminente alba dell'era delle macchine.

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