Voto: 
8.1 / 10
Autore: 
Salvo Sciumè
Genere: 
Etichetta: 
Sanctuary
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Joey Tempest - voce
- John Norum - chitarra
- Mic Michaeli - tastiera
- John Leven - basso
- Ian Haughland - batteria


Tracklist: 

1. Secret Society
2. Always The Pretenders
3. Love Is Not The Enemy
4. Wish I Could Believe
5. Let The Children Play
6. Human After All
7. The Getaway Plan
8. A Mother's Son
9. Forever Travelling
10. Brave And Beautiful Soul
11. Devil Sings The Blues

Europe

Secret Society

Se con Start From The Dark, album che seguì alla reunion del 2004 arrivato dopo ben tredici anni di inattività, ne avevamo avuto un primo sentore, adesso con quest’ultima release Secret Society è stato definitivamente fugato ogni dubbio, così si può affermare che gli Europe sono tornati, ma al tempo stesso si deve pure sostenere che, nel bene o nel male, non sono più gli stessi. Infatti il nuovo album segue lo stesso sentiero già tracciato dal precedente full-lenght, staccandosi totalmente da quello stile e quel sound che li avevano lanciati negli eighties, anzi sembra quasi si voglia allontanare lo spettro di quel glorioso passato tanto da ricorrere il meno possibile a sonorità ottantiane e preferendo invece limitarsi a spunti di Hard targato anni ’70, Deep Purple e Thin Lizzy in prima fila.

Niente più quindi melodie pompose ed armoniose ma un sound più snello e maturo in cui l’uso delle tastiere è meno protagonista che in passato, mentre chitarre ribassate e linee di basso ben marcate danno vita ad atmosfere più cupe e dure rispetto alla positività degli anni d’oro, certo non pensate di ritrovare la stessa genialità presente nei loro primi lavori, ma in ogni caso, se come il sottoscritto non avete apprezzato più di tanto il come-back di due anni fà, non abbiate timore perché lo storico combo svedese ha in compenso ritrovato il buon gusto per le belle melodie e la giusta grinta che tanto sembravano mancare in quello che ormai può considerarsi il loro penultimo album.

E dire che l’inizio non è dei migliori, infatti la title-track apri pista ha un piglio moderno e americanizzato, quasi post-grunge, con un Tempest sottotono nell’eseguire linee vocali che forse poco si addicono al suo modo di interpretare e alla sua formazione e maturazione di cantante e compositore. Fortunatamente si tratta semplicemente dell’unico passo falso di un album che prosegue poi senza altri intoppi fino alla fine regalando pezzi unici, a cominciare dall’adrenalinica e melodica Always The Pretenders, primo singolo estratto dall’album, costruita intorno ad un riff potente, una melodia trascinante ed un refrain esaltante che mostrano il grande vero ritorno di Tempest e Norum, semplicemente stupendo il suo assolo, ai fasti del passato. Neanche Love Is Not The Enemy tradisce le attese, un brano cupo e tirato in possesso di un’azzeccata linea melodica e di un buon refrain, in cui si rendono protagonista il basso di Leven, l’interpretazione incisiva del singer ed il solito veloce solo di chitarra, a seguire la sensazionale Wish I Could Believe, mid-tempo grintoso e melodico che vi metterà addosso i brividi, mentre un possente riff di basso introduce Let The Children Play che sembra proseguire in modo monotono tra strofe e pre-chorus prima di sfociare però in quel bel chorus dove Tempest è accompagnato da rasserenanti voci femminili. Human After All, pur presentando lo stesso tiro delle altre, è l’unica song che sembra trarre giovamento dalle esperienze soliste del mastermind della band, infatti ad una struttura portante coerente con la tradizione scandinava e con il nuovo corso musicale da loro intrapreso viene associato nelle linee melodiche, e nei chorus in particolare, quel gusto tipicamente West Coast che Tempest raccolse dai suoi numerosi viaggi seguiti alla dipartita successiva a Prisoners In Paradise, mentre ancora Leven col suo basso e Haugland da dietro le pelli regalano emozioni in The Getaway Plan grazie ad una sezione ritmica sostenuta e trascinante, ed anche il capitolo ballad risulta interessante dando risultati positivi con A Mother’s Son, qui però non troverete il romanticismo di Carrie, il brio frizzante di I’ll Cry For You o la melodia sognante di Dreamer, ma piuttosto un brano triste e ricco di pathos dove la sofferta interpretazione di Tempest dona al brano il giusto tono drammatico. Forever Travelling è un altro gran pezzo che punta ancora su una linea melodica avvincente ed accattivante, come il suo ottimo refrain, e se nella più modesta ma buona Brave And Beautiful Soul si respira una certa sensazione di deja-vù specie in alcune parti di chitarra che riportano alla mente gli U2, la conclusiva Devil Sings The Blues, ancora una volta buone la melodia ed il gioco di chitarra e basso, è l’ennesima gemma incastonata in un album che rilancia l’act svedese ai livelli che più competono loro.

Secret Society può considerarsi a tutti gli effetti l’album della rinascita, o forse sarebbe più giusto dire l’album della ripartenza trattandosi come già detto di un nuovo corso intrapreso già col ben più modesto Start From The Dark, nuovo corso in cui Tempest e Norum sono stati capaci di forgiare uno stile diverso, più moderno ed attuale, ma mai ruffiano o incoerente, puntando su un song-writing fresco, grintoso e sempre piacevole, dando vita così ad un nuovo trademark, fin da subito risultato personale ed inconfondibile, che possa riportare gli Europe tra gli dei dell’Olimpo del Rock.

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