Voto: 
5.0 / 10
Autore: 
Paola Andriulo
Genere: 
Etichetta: 
Noisehead/Relapse Records
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Roberto García - Lead Vocals
- Eduardo Huertas -  Drums
- Alejandro Suarez -  Lead Guitar
- Javier Suarez -  Bass
- David Suarez -  Lead Guitar

Tracklist: 


01. Whirlwinds And Tornadoes
02. For Time Immortal
05. As She Sleeps
04. Corpse Files
05. My Little Eye
06. Eternal Torment
07. The Fury Within
08. Evil Heredity 9.
09. Poisoned Arrows
10. When It Rains
11. Scar

Enemy of Myself

The Fury

Difficile ricordarsi degli Enemy of myself: la loro poca originalità diventa nemica di se stessi.
Ma partiamo dal principio...Gli enemy of myself provengono da Madrid, e sono dediti ad una sorta di melodic death metal che risente dell’influsso di gruppi come Dark Tranquillity, Soilwork, In Flames.
Un melodic death metal che, però, oltre a risentire di varie influenze,  riesce a parlare poco di sè, riesce a trasmettere molto poco di personale, di peculiare. Purtroppo gli Enemy of myself non sono nè i primi nè gli ultimi musicisti poco originali del panorama metal degli ultimi anni; purtroppo tante sono le band che sperano di restare impresse creando un sound clone di altre band.

Per giustificare questo giudizio poco positivo partiamo proprio dai primi due brani, Whirlwinds And Tornadoes e For Time Immortal: il primo, il biglietto da visita della band spagnola, parte con una voce a metà tra growl, scream fastidioso e, in alcuni momenti del pezzo, anche un timbro più melodico che non dà prova di un’evidente personalità. Lo stesso dicasi a proposito della voce anche nel secondo brano (così come in nell’intero lavoro): è un timbro che non riesce a convincere, che non buca l’amplificatore, un timbro ibrido di influenze che non esplode; il sound, tanto nel primo quanto nel secondo brano, è piatto, monotono, scontato.
As She Sleeps, terzo pezzo, non dice nulla di nuovo: abbastanza orecchiabile musicalmente, peggiorato dallo scream alquanto fastidioso, pezzo troppo lungo per quello che in realtà trasmette (sarebbe stato sufficiente farlo durare 3 minuti anzichè 5).

Personalmente mi sfugge il carattere di The Fury: non è facile trovare qualche pezzo memorabile, qualche aspetto significativo; proseguendo nell’ascolto non ci sono prove di grande creatività da parte della band. Forse tra tutti i brani spicca l’ottavo Evil Heredity: all’inizio sembra quasi allontanarsi dagli altri scontati riff, ed in effetti in generale è un brano più vivace e accattivante rispetto agli altri, è un brano che cattura maggiormente l’attenzione dell’ascoltatore, anche se anche in questo caso probabilmente il messaggio sarebbe stato trasmesso meglio se il brano fosse durato meno. Putroppo sì, The Fury è troppo logorroico, troppo pedante, fino al nono pezzo al primo ascolto pare di sentire un unico pezzo monocorde. Il decimo brano When It Rains, nonostante non sia un capolavoro quanto a fantasia, è comunque una ventata di novità all’interno di The fury: si respira con questo brano un’aria del tutto diversa; anche le influenze cambiano, sembra di essere lontani dal death metal se non fosse per quello scream che riaffora spesso e che purtroppo risulta a volte cacofonico (molto meglio il growl). The Fury mette un punto con Scar, che insieme a When It rains lascia (nonostante la ripetitività del disco) un ricordo vagamente piacevole al pubblico.

Nulla di particolarmente innovativo dunque in The fury, un album con pochi brani accattivanti e poca fantasia, e un esempio di come la ripetitività e la mancanza di creatività possano essere nemiche della musica.

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