Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Gabriele Bartolini
Genere: 
Etichetta: 
A cup in the garden
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Alessandro Balotta - tastiere
- Fabio Campetti - voce
- Michele Campetti - chitarra
- Pierpaolo Lissignoli - batteria
- Stefano Stefanoni - basso

Tracklist: 


1. Meet Someone Else
2. Caravan # 1
3. Happy Together
4. Millions
5. Loveless
6. Galaxies
7. The Pianist
8. Crocodiles
9. Miss Sunshine
10. Godspeed
11. Hurricanes

Edwood

Godspeed

In un  2010 ricco di debutti e di ritorni (più o meno) graditi, ci pensano gli Edwood a curare l'aspetto più pop di un movimento musicale italiano che definire underground sembra, ad oggi, una barzelletta.
Ma andiamo con ordine: i cinque ragazzi bresciani, che condividono l' etichetta con gli Hollowblue (altro nome capace di imporsi con uno stile proprio), esordirono nel 2004 con Like A Movement, debutto perlomeno singolare visto che già si sentiva quella miscela di pop sdolcinato e indie/rock, resa inconfondibile in questo primo atto da brani come Soft-core e Strangers, ricchi di effetti elettronici malinconici e dalle liriche inconfondibili, che poi diventeranno loro marchi di fabbrica.
Poi venne il tempo di Punk Music During The Sleep, che dopo nemmeno tre anni dal precedente dimostrava già una maturità impressionante.
Incredibile come in quelle dodici tracce la band fondeva indie/rock, shoegaze e post-rock ad effetti elettronici, con un sound più sicuro e romantico.
Tante le perle dell' album, accolto con grande fervore dalla critica, a cominciare da Tender, una delle canzoni totem del gruppo, fino ad arrivare a Riot Afternoon e Spiderland: insomma, un viaggio intimo e significativo quello che seppero raccontare con dodici onestissime tracce.

Venne il 2009, e con sé gli Edwood in altre vesti: l'inedito side project (si fa per dire) Intercity folgorò per impressionante qualità e musica rinnovata.
Coadiuvati da Anna Viganò (chitarra e voce) e Fausto Zanardelli (tastiere), il gruppo bresciano adotta un'inedita lingua italiana per raccontare le atmosfere particolari di un disco a dir poco malinconico; tristi Racconti di dischi, Hippie speranzosi che trascorrono noiosi Pomeriggi alcolici che si integrano con le perfezioni di strumenti che sembrano già ampiamente collaudati tra di loro: un disco pop, in tutto e per tutto, che ha il pregio di farci affezionare alla voce così fragile e ad un sound lento ma intenso.

Arrivati al 2010, ci viene da chiederci quali siano gli ulteriori assi nella manica che la band abbia ancora nella manica, ed ecco qui Godspeed.
L' inizio del disco con Meet Someone Else è sostenuto, in pieno stile Edwood; la tastiera elettronica pizzica la voce di Fabio Campetti, che continua imperterrito a giocare la parte di finto malinconico.
I testi dimostrano ancora una volta di saper emozionare, ma cosa è cambiato da Punk Music During The Sleep? Tanto per cominciare, possiamo dire che la chitarra e il basso nella parte finale di Caravan # 1 costituiscono un innovazione, sotto un punto di vista molto pignolo.
Le trombe provano a svegliarci dal torpore Happy Together, ma in sostanza il ritmo ancora non decolla; ben altro effetto produce invece Millions, canzone acustica che con il suo crescendo, in cui ancora una volta sono presenti le trombe, acquisisce fattezze tipicamente pop.
L'attacco di Loveless è degno dei migliori gruppi Post-Punk: ritornello potente, anche se avvolto sempre in un' atmosfera sognante (o sorniona?), e chitarra posata che lascia spazio ai piatti di una batteria ottimamente gestita da Pierpaolo Lissignoli.
Galaxies ha il pregio di rivelare l'altra faccia del gruppo, evidenziando le notevoli abilità del gruppo anche con l'elettronica che, alternata alle chitarre, contribuisce a creare un delicato brano dal cuore tenero, dream pop.
''Perchè gli Edwood sanno fare solo questo'' - azzarderebbe a dire qualcuno - e invece no: il gruppo prova a scollarsi l' etichetta di dosso con The Pianist, che in effetti è aggressiva; ma il country/rock dei primi secondi aumenta di velocità e finisce per dettare un ritmo impossibile che la voce solo a tratti riesce a sostenere.
E allora si ritorna tutti nel proprio orticello, convinti che quello che si suona può essere ripetuto e tramandato da album ad album; ascoltando Crocodiles sembra di fluttuare in uno spazio visto e rivisto, anche se sempre di ottimo impatto.
I violini di Miss Sunshine giocano a fare i finti Fanfarlo, mentre in Godspeed, pezzo di chiusura oltre che title track, il gruppo sembra non veda l'ora di salutare la propria creatura, in un lentone slowcore che sembra dirci qualcosa come: ''dopo Godspeed tutti a nanna''.
Incredibilmente, le aspettative che riposte nel disco vengono soddisfatte dalla ghost-track, Hurricanes. Pezzo che parte ancora una volta lento, ma non solo. Continua con atmosfere danzereccie che manco i migliori My Awesome Mixtape sfornerebbero e stupendi violini che, accompagnati dalla chitarra, fanno sembrare la fine una serenata. Sì, perché questi in sostanza sono gli Edwood; amano giocare con le nostre emozioni, fanno i malinconici in un pezzo e subito dopo s'inventano jingle originali ma soprattutto ballabili nell'altro.

Un metodo tanto ruffiano quanto efficace quello dei bresciani, che in questo terzo capitolo non hanno saputo proporre alternative stilistiche (anche perchè a mio avviso servirebbe una voce di supporto dal timbro diverso) ma ''solo'' suonare altri pezzi di pregevole fattura da aggiungere agli altri già composti. E il disco convince se non altro per la buona riproposizione di quel sound che ormai potremo definire proprio degli Edwood, tra dream pop, indie/rock ed elettronica.

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