Voto: 
7.2 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Etichetta: 
Southern Lord
Anno: 
2011
Line-Up: 

- Adrienne Davies – batteria e percussioni
- Dylan Carlson – chitarra elettrica
- Lori Goldston – violoncello
- Karl Blau – basso elettrico

Tracklist: 


1. Old Black
2. Father Midnight
3. Descent to the Zenith
4. Hell's Winter
5. Angels of Darkness, Demons of Light 1

Earth

Angels of Darkness, Demons of Light - I

Terzo full-length della “nuova” fase dello storico gruppo americano, “Angels of Darkness, Demons of Light – I” è, come il titolo lascia intendere, la prima metà di un progetto che verrà completato con la pubblicazione (attesa per la fine del 2011 o l'inizio del 2012) del disco gemello “Angels of Darkness, Demons of Light – II”, composto contemporaneamente alla qui recensita parte prima.

Questo nuovo parto del gruppo di Dylan Carlson prosegue sulla polverosa e solitaria strada  del Midwest a cui bene si adatterebbe la musica di “Hex” o “The Bees Made Honey in the Lion's Skull”: rock psichedelico in salsa Americana, dilatato e atmosferico, supportato da ritmi lentissimi e da un uso importante delle pause e dei silenzi, situazioni che ben differiscono dalle vibrazioni Drone-Metal di classici anni '90 come “Earth 2”, “Pentastar” o “3”.

Rispetto a “Bees”, la line-up è per due quarti rinnovata: Karl Blau sostituisce Don McGreevy al basso, e il polistrumentista Steve Moore ha lasciato il gruppo, rimpiazzato dalla violoncellista Lori Goldston, che partecipò ai tour dei Nirvana nel 93-94 e registrò con loro il famoso “MTV Unplugged”. Un ingresso, quello della Glodston, tutt'altro che marginale.

Dylan Carlson ha infatti deciso di sfruttare l'assenza dell'ingombrante suono dell'Hammond e del pianoforte di Moore (che profondamente caratterizzavano “Bees” rendendolo corposo, denso e ricco), facendo un passo indietro e tornando ai suoni più dispersi e meno compatti di “Hex”: ecco quindi che il violoncello va a ricoprire un ruolo fondamentale, disegnando traiettorie che si intersecano con quelle della chitarra elettrica di Carlson per descrivere situazioni sonore più astratte ed eteree rispetto al più “fisico” e massiccio recente passato di “Bees”.

Lo snellimento del suono e il ruolo importante affidato al cello mettono in mostra anche un lato più inquieto e turbato degli Earth, in cui vengono probabilmente riflessi i problemi di salute (al fegato in particolare) vissuti da Carlson nel periodo in cui il disco veniva composto e registrato: in nessuno dei primi quattro pezzi ci si scrolla mai di dosso una certa apprensione, a volte mitigata da aperture più solari, ma senza mai arrivare ad un momento veramente purificatore. L'ultima traccia si discosta invece leggermente dalle precedenti non tanto nel mood, quanto nella struttura sonora, più libera e improvvisata (un'anticipazione dello stile che verrà proposto sulla “seconda parte”), quasi una “jam” di 20 minuti introdotta da un duetto vagamente jazzy tra basso elettrico e violoncello (uno dei rari momenti in cui l'influenza dei Pentangle, più volte richiamata dallo stesso Carlson, si fa veramente sentire).

Buonissimo disco, che pur non facendo gridare al capolavoro certamente non mancherà di soddisfare l'appetito dei seguaci del verbo degli Earth.
 

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