Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Jacopo Prada
Genere: 
Etichetta: 
Born & Bred Records/Warner
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Al Barr - voce
- Marc Orrell - chitarra e voce
- James Lynch - chitarra e voce
- Tim Brennan - mandolino e chitarra acustica
- Ken Casey - basso e voce
- James "Scruffy" Wallace - cornamusa
- Matt Kelly - batteria, bodhran e voce


Tracklist: 

1. Famous For Nothing (02:47)
2. God Willing (03:16)
3. The State Of Massachusetts (03:52)
4. Tomorrow's Industry (02:19)
5. Echoes On 'A.' Street (03:17)
6. Vices And Virtues (02:11)
7. Surrender (03:15)
8. (F)lannigan's Ball (03:39)
9. I'll Begin Again (02:38)
10. Fairmount Hill (03:58)
11. Loyal To No-One (02:25)
12. Shattered (02:47)
13. Rude Awakenings (03:23)
14. Johnny, I Hardly Knew Ya (03:54)
15. Never Forget (02:51)
16. Jailbreak (03:54) (Bonus Track)

Dropkick Murphys

The Meanest Of Times

Se una qualsiasi band finisce nel catalogo di una major i motivi sono essenzialmente due: è una potenziale gallina dalle uova d’oro oppure la sua proposta musicale è talmente valida ed accattivante da attirare persino l’attenzione delle etichette più potenti. Sebbene possano vantare un seguito di tutto rispetto, è ovvio che i Dropkick Murphys abbiano ricevuto un’importante offerta discografica per via delle proprie qualità artistiche. Considerate anche le cifre dell’operazione (probabilmente da capogiro), per i sette statunitensi era quasi impossibile resistere alla tentazione di accettare. Ed infatti, dopo dieci anni di intensa attività insieme alla Hellcat Records, i Dropkick Murphys entrano ufficialmente a far parte del già nutritissimo roster Warner Music (Born & Bred Records non è altro che un’etichetta creata dalla società). Nonostante il passato abbia insegnato che non sempre ad un passaggio su major corrisponde un calo qualitativo (specie per i gruppi più alternativi), fra gli appassionati del genere si è fatta strada una certa sfiducia nei confronti del combo e del suo operato. Che ne sarà dei vecchi Dropkick Murphys? Che ne sarà di quella miscela tanto unica quanto esplosiva che rese celebre il complesso di Boston? La risposta si chiama The Meanest Of Time e non è, come vedremo, una risposta del tutto positiva.

Il sesto studio album targato Dropkick Murphys si presenta in una copertina meno vivace del solito, dove predominante è il colore nero. Bene o male, comunque, l’artwork del disco non ha legami particolari con il sound dello stesso. The Meanest Of Time, infatti, non offre particolari novità rispetto ai precedenti lavori discografici degli americani. Se da un lato quest’aspetto può far sorridere i fedelissimi di Al Barr e compagni, dall’altro evidenzia una netta mancanza di innovazioni all’interno delle sonorità. Come già sapevamo, il progresso artistico del gruppo non si basa sulla proposte di nuove soluzioni, quanto invece sulla capacità di coinvolgere l’ascoltatore grazie a brani tirati ed avvincenti. La forza del gruppo continua pertanto ad essere incentrata sulla composizione delle varie canzoni piuttosto che sulla stesura di un full lenght compatto ed appassionante. E se i vecchi dischi del combo non risentivano di questo approccio compositivo grazie alla loro indiscutibile qualità, ora che anche i singoli brani iniziano a perdere la propria carica, ecco emergere evidente il limite principale della band bostoniana.

The Meanest Of Time è di fatto il primo album dei Dropkick Murphys a stancare dopo qualche ascolto, ben più del non impeccabile esordio del gruppo. La causa è dovuta ad una tediosa sensazione di ripetitività che affiora con il passare dei minuti (oltre che alla durata eccessiva dell’opera). La monotonia sonora non si limita però al solo The Meanest Of Time, ma - e questo è il vero problema - coinvolge anche i passati lavori del combo, da cui il nuovo disco riprende, senza mutarli, tematiche, scelte stilistiche, atmosfere e persino passaggi strumentali. Ciò accade soprattutto nei pezzi più incalzanti, come per esempio God Willing e Tomorrow's Industry, che al passato della band devono tutto o quasi. Non è un caso, quindi, che gli episodi migliori del disco siano proprio Fairmount Hill e Johnny, I Hardly Knew Ya, entrambi brani tradizionali irlandesi riproposti qui dal complesso di Boston. Purtroppo mancano le tracce davvero fulminee in stile For Boston e Your Spirit's Alive, ma dopotutto esse non hanno mai rappresentato una fetta considerevole dei brani firmati Dropkick Murphys. Le frazioni meno insistenti, d’altra parte, non convincono fino in fondo, lasciando un pizzico di amaro in bocca ai vecchi fan del gruppo. Al Barr e soci sembrano aver deciso di dare sempre maggiore spazio agli influssi Folk, trascurando di conseguenza la componente Punk. Non si tratta tuttavia di semplice alternanza: è il sound in sé ad incorporare il tipico spirito folkeggiante dei Dropkick Murphys, rendendolo a tratti troppo corposo e soffocante.

Sebbene raggiunga la sufficienza con ampissimo margine, The Meanest Of Time è un album per certi versi deludente. Questo non tanto a causa del passaggio su major e di un possibile stravolgimento sonoro, ma, proprio al contrario, per via dell’ossessività con cui i Dropkick Murphys continuano imperterriti ad offrire le stesse soluzioni raggiunte già sei anni fa con Sing Loud Sing Proud!. Sono tanti i gruppi che agiscono nello medesimo modo, gli stessi Dropkick Murphys lo hanno fatto fino ad oggi. Quando però la qualità viene meno le mancanze risultano più evidenti e, salvo qualche capitolo ben riuscito, The Meanest Of Time non riesce a nascondere i propri limiti. Le vendite non si sono fatte attendere (vent’ottomila copie nella prima settima), ma i dubbi restano.

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