Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
BMG/Cheeky/Warner Bros/Reprise
Anno: 
2002
Line-Up: 

- Rob Dougan - tutti gli strumenti

Tracklist: 

CD1:
1. Prelude
2. Furious Angels
3. Will You Follow Me?
4. Left Me for Dead
5. I'm not Driving Anymore
6. Clubbed to Death (Kurayami No version)
7. There's Only Me
8. Instrumental
9. Nothing at All
10. Born Yesterday
11. Speed Me Towards Death
12. Drinking Song
13. Pause
14. One and the Same (Coda)
15. Clubbed to Death 2

CD2:
1. Will You Follow Me? (instrumental)
2. Furious Angels (instrumental)
3. Left Me for Dead (instrumental)
4. I'm not Driving Anymore (instrumental)
5. There's Only Me (instrumental)
6. Instrumental
7. Nothing at All (instrumental)
8. Born Yesterday (instrumental)
9. Speed Me Towards Death (instrumental)
10. One and the Same (instrumental)

Rob Dougan

Furious Angels

Ecco un altro compositore che abbiamo già ascoltato tutti almeno una volta nella vita, tramite colonne sonore, pubblicità varie e quant'altro: stiamo parlando di Rob Dougan, e del suo unico (per il momento) disco, Furious Angels, uscito nel 2002 e che più che un album vero e proprio si potrebbe considerare anche una raccolta di tutti i suoi singoli composti dal 1998 fino a quell'anno (tranne la titletrack composta nel '95). E lo conosciamo senza rendercene conto di sicuro (come minimo Clubbed to Death l'abbiamo ascoltata tutti almeno una volta nella vita), perché per numero di brani selezionati per apparire da qualche parte sembra sia secondo solo a Play di Moby.

Il suo stile, per certi versi riconducibile a Craig Armstrong, è molto singolare: una combinazione di ambient orchestrale, dai diversi richiami classicheggianti, battito di stampo trip hop e linee vocali tendenzialmente collocabili fra blues e soul. La voce di Dougan, ruvida e grave, può apparire inizialmente in contrasto con il lato più classico e orchestrato dell'album; in realtà la sensazione iniziale è che mal si adatti completamente con tutto il disco, ma analizzando meno superficialmente la sua prestazione si nota che il suo timbro si sposa alla perfezione con il mood abbattuto dell'album, mostrando infine addirittura un fascino tutto particolare ed espressivo. In ogni caso, il secondo disco presenta diverse versioni strumentali dei brani cantati nel primo disco, per chi preferisse un tale approccio.
La prima critica, per quanto relativa, che possiamo fare fin da subito è che i diversi stili combinati fra loro non danno vita ad una miscela unica e innovativa, ma ad una semplice unione, personale ma priva di quel pizzico di originalità e sperimentazione in più che consenta di fare il grande salto. Per fare una metafora banale ma che rende l'idea, la musica di Rob Dougan è "bianca e nera", ma non "grigia". Un po' forse ha a che fare con questo il fatto che lo stesso Dougan afferma di non essere interessato principalmente alla musica, al punto che neanche gli interessa che i suoi brani finiscano nelle OST di film come Matrix e giudica i remix come inutili.
Bisogna proprio dire che uno dei punti su cui l'australiano si focalizza è l'emozionalità, a volte solenne grazie ai tappeti di tastiere/strings, ma che si incupisce nel lato trip hop, la cui oscurità urbana si fa meno ricercata, puntando più su un effetto sentimentalistico diretto. Difatti c'è un occhio di riguardo verso una certa malinconia, oscillante fra l'essere espressa vissutamente in maniera egregia (sia grazie alle atmosfere che alle vocals pessimistiche) e l'apparire un po' fine a sè stessa, a tratti anche melensa. La seconda critica a questo punto che si può fare è che l'approccio musicale sembra essere a volte un po' troppo manieristico (il che a sua volta rende leggermente ripetitivi alcuni brani), come se nel corso del full-lenght ci fossero poche idee già programmate per ricercare apposta una musicalità d'effetto. Fortunatamente questo non viene espresso direttamente, è piuttosto come un retrogusto dell'ascolto, per contro inoltre ci sono diversi brani davvero efficaci e di grande suggestione; ma la sensazione che si poteva fare di più rimane.

Saltando la breve e un po' inutile Prelude, iniziamo con la titletrack Furious Angels, un up-tempo risalente nientemeno che al lontano 1995. Le oscure tastiere d'introduzione si intrecciano in un crescendo suggestivo e che lascia intravedere una partenza infuocata per la traccia, ma nulla di tutto questo: la parte ritmica elettronica che si viene ad aggiungere è abbastanza piatta e monotona, e ad un certo punto finisce anche per stonare con le strings. Non un inizio brillante, ma ci sono margini di miglioramento, e lo si nota subito, dato che Will You Follow Me? è un'orchestrazione epica tutto sommato poco originale, ma di grande effetto. Il lato più classico di Dougan prende il sopravvento in questa canzone, e il risultato non è male, forse è però troppo breve per questo tipo di sonorità. Da queste sensazioni epico-romantiche si torna nel malessere della metropoli con Left Me for Dead, con un Dougan particolarmente espressivo, colmo di amarezza nella sua voce. La parte musicale è molto più ricercata che in Furious Angels, facendo notare come tre anni dopo quel primo singolo l'approccio fosse già molto maturato; ne abbiamo un'ulteriore prova con I'm Not Driving Anymore, un trip hop vissuto ed emozionante, dove gli spunti orchestrali impreziosiscono l'atmosfera vissuta della canzone. Viene ora il pezzo più famoso di tutto il lotto, la strumentale Clubbed to Death (kurayami no variation), di cui ne esistono anche altre versioni. Il sottotitolo in giapponese significa pressapoco "variante dell'oscurità", ed è esattamente questa la materia prima della traccia: dopo una breve introduzione di strings (citazione al primo movimento degli Enigma Variations di Edward Elgar) parte un battito veloce e inesorabile, accompagnato da tastiere cupissime e da inquietanti effetti di sottofondo. Anche se un po' ripetitivo, è un pezzo di grande effetto, oscuro e dalle atmosfere azzeccate. Per contro, There's Only Me torna su binari più malinconici. Anche se piacevole e tinta di tristezza, non aggiunge molto al disco, comunque scorre via lasciandosi ascoltare alla grande. Instrumental è un intermezzo malinconico dai richiami interamente classici. Nothing at All è una delle canzoni migliori, un pregevole e sofferto trip hop, sostenuto da tastiere tetre ed una chitarra acustica che, seppur semplice, accompagna con grande efficacia la dolente voce di Dougan. A completamento, alcuni piccoli effetti di synth nascosti nell'atmosfera melanconica del brano lo impreziosiscono ulteriormente. Nuovamente un trip hop molto suggestivo con Born Yesterday, le cui sonorità sono le più vicine ai Massive Attack, eccetto ovviamente per le tastiere interamente nei binari seguiti dal disco. Con Speed Me Towards Death la musica si fa improvvisamente più imponente ed eroica (ciò nonostante vi sono riferimenti al suicidio), ma solo grazie alle orchestrazioni di tastiera, cardine dell'album: il lato trip hop in questo caso è secondario e non contribuisce nel costruire queste sonorità, piuttosto diventa un inserto interessante vista la differenza con l'atmosfera del brano. Drinking Song è una canzone da piano bar di altr'epoca, mesta, ma con un pizzico di speranza fra le note, una voce a tratti rievocante Tom Waits e degli spunti classicheggianti come supplemento. Trenta secondi esatti di silenzio con Pause, dopodiché la chiusura dell'album viene affidata a One and the Same, punto d'incontro fra Instrumental e Drinking Song dove tutta l'angoscia di Dougan si rasserena e trasforma anche in speranza, lasciata trasparire dalla musica e dalla sua voce. C'è anche una bonus track, Clubbed to Death 2, che comincia dopo un minuto esatto (forse ad indicare il suo stato di aggiunta). Diretta estensione dell'originale, da cui recupera le atmosfere oscure e il battito cupo e incessante, espandendo al contempo il lato orchestrato (che si rifà ai Preludi di Chopin), è un'altra piccola perla, in cui il contrasto con One and the Same diventa anche più affascinante grazie a quei sessanta secondi di pausa. Il secondo cd contiene le versioni strumentali dei brani principali. Presentano alcune minori e trascurabili differenze rispetto agli originali, ad eccezione di I'm Not Driving Anymore che comincia direttamente con la parte più spedita e ritmata, in una versione più intensa e accattivante (ma un po' rassomigliante ad Army of Me di Bjork).

Furious Angels non sarà un masterpiece, nè un album privo di pecche, ma un songwriting evocativo ed una voce ricca di carattere riescono a dare vita ad una selezione di canzoni davvero suggestive. Rimangono comprensibili tutti i dubbi che si possono provare ascoltando questo disco, ma anche le tracce più deboli rimangono un assaggio tutto sommato piacevole di un godibile disco più che discreto.

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente