Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Rough Trade
Anno: 
1994
Line-Up: 

- Ian Crause - Chitarra, Voce, Effetti
- Paul Wilmott - Basso, Voce
- Rob Whatley - Batteria

Tracklist: 

1. In Sharky Water
2. New Clothes For The New World
3. Starbound: All Burnt Out and Nowhere to Go
4. A Crash At Every Speed
5. Even the Sea Sides Against Us
6. Next Year
7. A Whole Wide World Ahead
8. Footprints In Snow


Disco Inferno

D.I. Go Pop

Ne parlano come disco inerente al grande calderone del post rock, nonostante risulti indecifrabile nelle sue strutture e nei suoi concetti, incatalogabile e indefinibile in qualsiasi contesto, in ogni tipo di categoria. Nessuna etichetta risulterebbe azzeccata, probabilmente neanche appellativi, epiteti e aggettivi aiuterebbero una sorta di classificazione della grande opera degli inglesi Disco Inferno: D.I. Go Pop. Si tratta infatti di uno di quei dischi impossibili da contestualizzare non tanto perchè risulterebbe assurdo trovarne una collocazione precisa, quanto più che altro perchè, di fronte a composizioni del genere, si ha quasi la paura di rinchiudere l'arte in una banale e approssimativa matrioska di generi, stili ed etichette.
Composto, prodotto e distribuito nel 1994, D.I. Go Pop segna l'atto cruciale della carriera degli allora giovani Ian Crause, Rob Whatley e Paul Wilmott, balzati innanzi agli occhi di pubblico e critica tre anni prima con l'opera d'esordio Open Doors, Closed Windows (1991) e ora dipinti come profeti del nuovo rock, come portabandiera di un intricato distacco concettuale e stilistico dalla musica intesa come reale processo storico; questo perchè i Disco Inferno coincidono con la sua stessa essenza ingannevole e criptica, la sua sintassi espressiva indecifrabile ed alienante. E' per tal motivo che avvicinarsi a dischi come questi non è mai facile.

Ma andiamo con ordine: siamo alla fine del Novecento, la chiusura di un secolo rivoluzionario e rivoluzionato da correnti, filosofie, arti e pensieri contrastanti e destabilizzanti. In musica quest'aspetto ricopre principalmente quei trent'anni che separano l'inizio del nuovo millennio dall'uscita di Velvet Underground & Nico (1967), la prima vera opera rivoluzionaria e avanguardista del Rock, nonchè una delle principali influenze che si possono cogliere durante l'ascolto di D.I. Go Pop, soprattutto per quanto riguarda la decostruzione e la frammentazione dell'intera struttura musicale, il decadimento della normalità e l'avvento incontrollabile dell'indipendenza creativa.
D.I. Go Pop nasce e muore nell'arco di un'abbondante mezz'ora di turbamenti psichedelici, violenza concettuale e annientamento atmosferico: il Rock nel suo eterno paradosso, nella sua negazione al contempo elevata ad opera d'arte.

Tepori disorientanti (l'inizio della opener In Sharky Water) si scontrano così addosso a distorsioni e ritmi meccanici, a chitarre spesso cabarettistiche ed effetti sonori che sbandano nella confusione (Starbound: All Burnt Out and Nowhere to Go) e nel disordine (A Crash At Every Speed) come nella psichedelia e nella perdizione, aspetto che si compie nell'atmosfera instabile dell'abbagliante e profetica New Clothes for the New World, una sorta di ballata sospesa tra il noise di fine '80 e i richiami dei Velvet Underground più iconoclasti, visti sotto una luce meno nichilista ma doppiamente schizoide.
Il contrasto sonoro e armonico diventa per questo il fulcro centrale del disco, interrotto da esplosioni effettistiche al vetriolo e da estensioni atmosferiche ipnotizzanti (A Whole Wide World Ahead) o addirittura malinconiche, come accade nella meravigliosa traccia conclusiva Footprints In Snow.
Le chitarre - di netta matrice inglese sia nelle loro parti più distorte che in quelle più soporifere (a la Talk Talk di Spirit Of Eden) - solcano la superficie del disco ma senza delinearne gli insipidi movimenti e lasciando da parte qualsiasi coordinamento armonico, perchè ogni elemento interno di D.I. Go Pop corre da solo in preda ad attacchi di un incosciente autocelebrazione musicale, annichilendo il concetto stesso di organicità sonora e lasciando l'intero contenuto dei brani al vuoto più totale, un vuoto che però riesce ad innalzarsi e ad esplodere, abbattendo i limiti dell'arte e dell'autocontrollo espressivo.

D.I. Go Pop è un'iniezione di estasi visionaria, una droga dai poteri onirici devastanti, un pò come l'effetto che due anni più tardi provocheranno i Labradford con l'omonimo capolavoro, solo in chiave più industriale e post-moderna.
Non c'è discorso critico storico-musicale che tenga: i Disco Inferno, lontani da qualsiasi impostazione concettuale tradizionale e altrettanto distanti dal modo di procedere di gran parte degli artisti sperimentali di allora a cui venivano affiancati, hanno elaborato quello che potrebbe più semplicemente essere definito il non-rock, una musica svuotata dei suoi stessi contenuti e costruita basandosi su tutto ciò che, umano o disumano, concreto o astratto, violento o pacato, abbia almeno i minimi requisiti per massacrare la morale e le impostazioni concettuali tradizionali del mondo moderno.



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