Voto: 
7.1 / 10
Autore: 
Marcello Zinno
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Shagrath – voices, keys and effects
- Silenoz – guitars
- Galder – guitars
- Gerlioz – keys
- Snowy Shaw – bass and additional voice
- Daray - drums

Tracklist: 

1.Xidir
2.Born Treacherous
3.Gateways
4.Chess With The Abyss
5.Dimmu Borgir
6.Ritualist
7.The Demiurge Molecule
8.A Jewel Traced Through Coal
9.Renewal
10.Endings And Continuations

Dimmu Borgir

Abrahadabra

Il sound dei Dimmu Borgir è da sempre incentrato su alcune tematiche imprescindibili: il male e satana, le tastiere e le atmosfere lugubri. Non a caso dopo i Cradle Of Filth, i Dimmu Borgir sono stati antesignani in quello che si è con il tempo definito symphonic black metal che pur partendo dalle radici anticristiane del genere padre, ha sviluppato un’intensa corrente sinfonica dietro il concetto di metal estremo che campeggia insieme all’etichetta “black”. Queste band hanno una notevole responsabilità: quella di riuscire ad offrire effettivamente qualcosa di più nel panorama musicale dopo aver snaturato il concetto di “true black metal” legato solo alle band storiche più oltranziste.

Dopo questa doverosa premessa che inquadra l’obiettivo super partes di una band del genere, sveliamo subito come si presenta Abrahadabra, ultima uscita in casa Dimmu Borgir. Non si tratta per nulla di un album di rottura ma di “evoluzione discontinua”: solo talvolta rielabora gli insegnamenti del precedente In Sorte Diaboli, duro e diretto, mentre cerca di attingere a man bassa dal periodo Death Cult Armageddon e dalle sue melodie gotico-sinfoniche. Abrahadabra risulta molto più pomposo e maestoso del passato della band e fa compiere ai sei musicisti un ulteriore passo avanti (probabilmente voluto) verso il concetto di “colonna sonora” di un ipotetico film horror. Le tracce sono meglio costruite, più complesse e da metabolizzare, non c’è mai una parte che prevalica l’intero brano e, come l’opener Xibir ci dimostra, anche le parti puramente strumentali rappresentano un anello funzionale a reggere tutto il resto più che una creazione estemporanea degli artisti.

Ciò in realtà sembrerebbe in contrapposizione con lo stato di salute della line-up: l’album è stato concepito interamente dal fulcro dei Dimmu Borgir, ovvero il cantante Shagrath ed i due chitarristi Silenoz e Galder, mentre il basso e le backing vocals sono stati registrati da Snowy Shaw (prima uscito dai Therion e poi rientrato). Il riffing quindi, che poteva risultare più protagonista in questa uscita, risulta seppur in primo piano molto meno funzionale all’interpretazione dell’album rispetto al precedente lavoro del 2007.
Tutta questa visione è chiarissima non solo dalla presenza di una “Scuola Cantorum” composta da quasi 40 elementi che ha supportato la registrazione dell’album, oltre all’orchestra composta da altri 19 elementi, ma è risultata lampante fin dal primo ascolto di Gateways, antecedente l’uscita di Abrahadabra, brano intricato e funesto, caratterizzato da una moltitudine di passaggi non ultimo quello in cui la voce femminile di Agnete Kjolsrud (degli ormai sciolti Animal Alpha) prende il sopravvento per accompagnare il quasi-growling di Shagrath. In questa traccia l’adorazione per il male risulta anche molto più velata (“Realize you are your own sole creator of your own masterplan”) rispetto agli estremismi di un tempo.

I brani che manifestano più di tutti la durezza della band, tutta da eseguire dal vivo (probabilmente composti con intenzionalità) sono la cadenzata Born Treacherous e la tirata ed impattante Ritualist mentre interessante risulta Chess With The Abyss, soprattutto nella sua parte centrale dove torna il doppio pedale in stile Hellhammer nonché il grande lavoro di ambientazione sonora; più canonico e kitch il pezzo intitolato Dimmu Borgir, probabilmente concepito embrionalmente qualche tempo fa; un segno di debolezza è riscontrato dall’assenza di Vortex, membro storico della band che con le sue seconde voci riusciva ad offire una cattiveria maggiore alle melodie già malvagie del combo.
Nel finale è da citare sicuramente Renewal che nasconde un lato emotivo dietro le sue note scure come la pece ed i tempi dispari del suo ritornello stanno lì a ricordarlo.Nel complesso possiamo classificare Abrahadabra tra le uscite positive del 2010, probabilmente dai più classificata come pacchiana ma che con ascolti ripetuti fa emergere l’interessante calibro compositivo della band.

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