Voto: 
4.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Etichetta: 
Solid State Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

:
- Ryan Clark – vocals
- Don Clark – guitar
- Ethan Luck – guitar
- Jon Dunn – bass guitar
- Timothy Watts - drums  

Tracklist: 

:
01. Descending Upon Us
02. Lifewar
03. Collapsing
04. This Is The Line
05. Driving Nails
06. The World Is A Thorn
07. Tie This Around Your Neck
08. Just Breathe
09. Shallow Water
10. Feel As Though You Could
11. Blood In The Tears

Demon Hunter

The World Is a Thorn

Dopo averci piacevolmente sorpresi con l’inatteso e graditissimo ritorno dei Living Sacrifice, ci eravamo illusi che anche i Demon Hunter, forse in assoluto i più noti e validi rappresentanti di quel sottogenere estremo che prende il nome di christian metal, avrebbero saputo bissare il clamoroso successo ottenuto dai loro colleghi di casa discografica, la crescente Solid State Records, speranze alimentate da una carriera discografica costantemente su buoni livelli e del tutto priva di battute d’arresto o improvvisi cali d’ispirazione. La legge dei grandi numeri certamente ci indicava come più probabile proprio quest’ultima eventualità, non certo quel definitivo salto di qualità a lungo ventilato tanto dal pubblico quanto dalla critica, da sempre orientata a considerare i Demon Hunter niente più di onesti mestieranti in grado di sfornare, sì e no, qualche album più che discreto e nulla più. Opinione che, personalmente, abbiamo sempre rifiutato e che speravamo potesse essere smascherata in maniera incontrovertibile dal loro nuovo album, quel The World Is A Thorn che tutti gli alt metallers del globo terracqueo aspettavano come una delle uscite più interessanti dell’anno attualmente in corso.

Fra le più alte speranze e gli immancabili scetticismi, è ben difficile riuscire a prevedere in maniera più o meno precisa l’effettiva riuscita di un’opera discografica, ma, in questo specifico caso, il risultato finale è certamente sorprendente e in maniera, ahinoi, tutt’altro che positiva: il quinto capitolo discografico della formazione originaria di Seattle è a tutti gli effetti un lavoro scialbo, a tratti del tutto inconsistente, costantemente aggravato da un sound patinato all’eccesso e del tutto incapace di preservare quella minima dose di veemenza e brutalità che soggiace a song inconcludenti e retoriche. Abbiamo sempre distinto, finora, fra melodie semplici ma coinvolgenti e ricami invece ammiccanti ma deboli, velleitari, melensi, facendo di questa fondamentale distinzione uno dei nostri principali punti d’orgoglio: ebbene, non è sicuramente questa la prima volta che incontriamo proprio quest’ultimo genere di proposta, ma dai Demon Hunter tutto ci saremmo aspettati tranne che scadessero, in maniera francamente indifendibile, nella più totale ovvietà d’un metal moderno ed ultra-melodico, fortemente indirizzato sulle frequenze metalcore, ma del tutto privo di grinta e mordente. Sia chiaro fin d’ora che non vogliamo assolutamente negare, in maniera del tutto pretenziosa, le (poche) buone idee che è possibile riscontrare all’interno di Black Thorn, soprattutto il notevole incremento dell’apparato elettronico, in grado di trasformare una traccia sostanzialmente omologata come Collapsing in una hit di discreta efficacia, guarda caso esattamente il primo singolo estratto dall’album.

Tuttavia, è nel suo complesso che questo platter tradisce le sue premesse in maniera clamorosa: fra episodi decisamente prolissi come l’opener Descending Upon Us ed altri piuttosto prevedibili come This Is The Line (nonostante sia uno dei pochi momenti nettamente al di sopra del minimo sindacale), fra situazioni inspiegabili come lo pseaudo-intermezzo di Lifewar, collocato addirittura in posto 2 della tracklist, ed attimi di totale smarrimento (o, peggio, sconforto) come l’appiccicosa Just Breathe o l’agghiacciante Shallow Water, quasi emo-oriented, non stupisce affatto che a risultare più credibili e quindi anche più piacevoli siano pezzi del tutto fumosi come la ballad centrale dal titolo Driving Nails (e, allo stesso modo, la conclusiva Blood In The Tears) o in parte riciclati dalle precedenti fatiche discografiche, come nel caso della titletrack The World Is A Thorn o la più violenta Tie This Around Your Neck. Nulla di trascendentale, naturalmente, giacché ogni ricercatezza, ogni finezza, ogni tipo di soluzione alternativa si rivelano algide, distanti, del tutto fini a sé stesse, se non persino dannose o addirittura fastidiose.

The World Is A Thorn
è una delusione cocente cui non bastano alcuni  (molto pochi, a dire il vero) momenti azzeccati per affrancarsi dal tragico appellativo di flop totale. Sarebbe ora il caso di tratteggiare, almeno per sommi capi, a quale pubblico possa essere rivolto questa opinabile produzione, ma persino questa semplice indicazione ci risulta estremamente difficoltosa: a nostro modesto parere, infatti, i Demon Hunter sono riusciti a pubblicare un disco in grado di scontentare chiunque, perché chiunque, al di là dei gusti e delle preferenze, ben oltre ai preconcetti e ai pregiudizi, non può tollerare ciò che da quest’album traspare nella sua più totale evidenza, vale a dire quella totale mancanza di ispirazione che nemmeno gli artifici della presunta modernità sono riusciti a mascherare.      


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