Voto: 
9.8 / 10
Autore: 
Paolo Cazzola
Genere: 
Etichetta: 
EMI
Anno: 
1972
Line-Up: 

- Ian Gilan - voce
- Ritchie Blackmore - chitarra
- Jon Lord - organo, pianoforte
- Roger Glover - basso
- Ian Paice - batteria

Tracklist: 

1. Highway Star
2. Child In Time
3. Smoke On The Water
4. Mule, The - (drum solo)
5. Strange Kind Of Woman
6. Lazy
7. Space Truckin'

Deep Purple

Made in Japan

I Deep Purple nel lontano 1972 erano un gruppo sulla cresta dell’onda, dati i grandissimi successi di veri e propri capolavori come In Rock, Fireball e Machine Head. Durante il tour giapponese di quest’ultimo decidono di pubblicare un live, IL live, probabilmente il migliore di sempre, che risponde al nome di Made In Japan.
Le sette canzoni che compongono il disco furono registrate tra il 15 ed il 17 Agosto 1972 ad Osaka e Tokyo, a testimonianza della potenza e della estrema bravura dei Deep Purple sul palco. Inoltre nella versione estesa pubblicata di recente è presente anche un secondo cd contentente tre canzoni live prese sempre da quel tour, cioè Black Night, Speed King e l’inedita Lucille.
La formazione dei Deep Purple all’epoca, la cosidetta Mark II, è forse considerata universalmente la migliore che i Purple abbiano mai avuto, e una tra le migliori formazioni rock di sempre, in quanto composta da veri e propri maestri dei singoli strumenti.

Le danze si aprono con un vero e proprio cavallo di battaglia del gruppo, la veloce Highway Star. Bastano le prime note dell’hammond di Jon Lord a esaltare il pubblico, che assiste ad un’esecuzione pressoché perfetta, che mette in luce la grandissima facilità con la quale il gruppo si lascia andare a improvvisazioni folli e quasi disarmanti. Gli assoli di Lord e di Blackmore lasciano di sasso gli spettattori, mentre Glover pesta come un dannato sul basso, cercando di non lasciare mai punti vuoti nella canzone. A seguire troviamo una tra le ballad più famose del quintetto, la malinconica e struggente Child In Time. Aprono hammond e batteria, quasi in lontananza, tessendo una melodia che crea delle atmosfere quasi oniriche. Il cantato di Gillian è qualcosa di incredibile, prima dolce e cullante, ma rabbioso e selvaggio nel ritornello.
Il cantante si dimostra uno tra i migliori del periodo, riuscendo a riprodurre dal vivo i vocalizzi presenti sul disco e mandando la sua voce dritta dritta in cielo, prendendo note troppo alte per qualsiasi pentagramma. Nel break centrale parte la folle improvvisazione di Blackmore e di Lord che si scambiano vorticosi botta e risposta mettendo in mostra la loro grande tecnica. Magistrale inoltre la grandissima prova di Ian Paice dietro le pelli, sempre in mostra con i suoi stacchi particolarissimi. Dodici minuti di vera goduria musicale.
E’ Gillian a presentare il terzo pezzo, la celeberrima Smoke On The Water. Blackmore che gioca con il riff iniziale, il pubblico che batte le mani, quell’ “Oh yeah” pronunciato da Gillian, tutte cose che rimangono negli annali della storia del Rock. L’esecuzione è come sempre spettacolare, forse talmente tanto da surclassare la versione in studio, grazie alla grinta e alla maestria sprigionate dai cinque musicisti.
Si arriva alla quarta traccia, The Mule, contenuta in Fireball. Subito si sentono un Blackmore e un Glover in grandissimo spolvero, ma il vero protagonista di questa canzone è senza dubbio il batterista Paice, che si cimenta in un assolo che diventerà uno tra i più famosi di tutti i tempi. La sua tecnica è sopraffina e l’energia spigionata in questo assolo è sempre la stessa, anche se questo concerto risale a quasi trentacinque anni fa. L’assolo non risulta noioso nemmeno per un minuto dei sei che lo compongono ed è uno dei picchi tecnici dell’album.

A seguire Strange Kind Of Woman, song dotata di grandissimo groove, nella quale Blackmore si cimenta in un assolo a dir poco fantastico. Storici inoltre i duetti rigorosamente improvvisati tra l’ugola d’oro di Gillian e la chitarra tagliente di Ritchie Blackmore. Si va avanti con Lazy, grande traccia di Machine Head. E qui si arriva al massimo dal punto di vista tecnico. La traccia è un grande concentrato di improvvisazione e virtuosismi, con un Lord e un Blackmore che danno lezioni ai più. Gillian inoltre, sfodera una grande prestazione vocale e ci delizia anche con la sua armonica. Nessuno spettatore potrebbe non rimanere di sasso di fronte a tutto questo…
Si arriva infine all’ultima traccia del platter, Space Truckin’. E’ incredibile come i Deep Purple riescano a portare brani normali a venti minuti di durata, senza annoiare nemmeno per un nanosecondo. Ci riescono perfettamente con questa canzone, facendola diventare un capolavoro da tramandare ai posteri. Si nota subito come l’ugola di Gillian riesca ad essere aggressiva e tagliente anche dopo un ora di concerto, deliziandoci con una grande interpretazione, sentita e d’impatto. Nel break centrale i musicisti rivelano tutta la loro vena psichedelica e riescono a creare con un effettistica da paura, dei suoni proprio spaziali, terminando in maniera incendiaria lo show.

Come si fa a non adorare un disco del genere? C’è gente che lo reputa come il miglior disco Rock mai concepito, e a dir la verità non le si possono dare nemmeno tutti i torti. Non una nota fuori posto, ne una sbavatura rendono questo platter un disco divino, al quale miriade di band si sono ispirate per quanto riguarda la concezione di “musica dal vivo”. Voto massimo.

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