Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Paolo Cazzola
Genere: 
Etichetta: 
Warner Bros/Wea
Anno: 
1972
Line-Up: 

- Ian Gillian - Voce
- Ritchie Blackmore - Chitarra
- Jon Lord - Tastiere, Organo, Cori
- Roger Glover - Basso, Cori
- Ian Paice - Batteria


Tracklist: 

1. Highway star (06:05)
2. Maybe I'm A Leo (04:51)
3. Pictures Of Home (05:03)
4. Never Before (03:56)
5. Smoke On The Water (05:40)
6. Lazy (07:19)
7. Space Truckin' (04:31)

Deep Purple

Machine Head

Reduci dalla pubblicazione di due album a dir poco fenomenali, quali In Rock e Fireball, i Deep Purple nel 1972 erano all’apice della carriera. La cosidetta Mark II, ovvero la formazione dei Deep Purple del periodo (una delle migliori di tutto il rock) era una delle formazioni di punta di tutta la scena rock mondiale, guidata dalla graffiante chitarra di Blackmore e dall’organo di Lord.
Questo grande stato di ispirazione non cala nemmeno dopo l’uscita dei due album sopra citati, anzi, viene portato avanti con la pubblicazione del loro successore, Machine Head. Durante il tour del disco in questione, che toccherà anche paesi estremamente lontani come il Giappone, il gruppo avrà l’occasione di registrare una delle più grandi testimonianze live di sempre, cioè Made In Japan. Ed è proprio con Machine Head che i Purple creano la terza perla di questa collana, incastonando il terzo diamante in questa discografia unica.

Highway Star esplode in tutta la sua straordinaria bellezza a cento all’ora, aprendo il disco in maniera perfetta. Si tratta di una delle canzoni più famose del quintetto, riproposta quasi sempre in veste live, sempre con la stessa energia e dirompenza. Grande prova solista di Lord e Blackmore, che confezionano dei grandi assoli, creando un vero e proprio vortice di note con i rispettivi strumenti. L’effetto generato è esaltante: una tempesta elettrica come poche, un classico.
Si procede con Maybe I’m A Leo, dove il tappeto è affidato alla chitarra di Blackmore, che costruisce riff esaltanti, basati su una ritmica mai banale e alquanto insolita. Si tratta di una canzone dal retrogusto blues molto marcato, che sa prendere l’ascoltatore, grazie a delle ottime prove individuali dei singoli componenti del gruppo.
Un velocissimo intro di batteria introduce Pictures Of Home, terza canzone del disco. Incredibilmente sottovalutata, si tratta di un ottima canzone sorretta dal solito lavoro di chitarra del solito Blackmore, da un Gillian in grande spolvero e da delle ottime ritmiche. Le sue sfumature più epiche e solenni e le sue ottime parti soliste la rendono irresistibile e le fanno guadagnare punti ascolto dopo ascolto.
Never Before alterna parti più blueseggianti a sfuriate più prettamente Hard Rock. Gillian offre un ottima prestazione vocale, mostrando la sua grande versatilità e abilità nel canto. La sezione ritmica è tra le migliori del periodo, con un Glover che tesse ottimi fraseggi col suo basso, mentre Paice va ben oltre il semplice tenere il tempo, utilizzando delle soluzioni fantastiche.
Si arriva quindi ad un colosso del Rock in generale, un caposaldo nella sconfinata discografia del gruppo, ovverosia Smoke On The Water (che in principio doveva essere il semplice e scontato riempitivo del disco). Sorretta da quello che si può definire, senza paura, il riff più famoso della musica Rock, la canzone non può non prendere l’ascoltatore, portandolo al centro di questo ciclone di distorsioni. Un intro celeberrimo e un ottima prestazione di ogni componente lo rende uno dei più famosi e amati pezzi Hard Rock di sempre. Da ricordare che la canzone in questione è un riferimento all’incendio scoppiato al concerto di Frank Zappa e dei Mothers Of Invention a Ginevra. Lazy si apre con un intro spaziale, che prende spunto dalla grande scuola psichedelica dell’epoca, andando ad esplodere letteralmente nel riff confezionato da Ritchie Blackmore. E’ proprio in questo frangente che tutti i componenti del quintetto danno il meglio di loro stessi, confezionando una tra le migliori canzoni del disco. Una canzone che sa molto di Rhythm And Blues, travestita da perla infernale, grazie alla sconvolgente maestria sfoderata dai Deep Purple, e soprattutto dal cantante Ian Gillian che sfodera una prestazione maiuscola (arricchita dall’uso dell’armonica) e dal geniale Jon Lord. L’ultima canzone, Space Truckin’, è un vero e proprio inferno elettrico, un sabba creato da cinque musicisti dal gran gusto e ottima perizia tecnica. Gillian la fa da padrone, grazie al suo grandissimo carisma e alle sue doti canore.

E così si chiude Machine Head, probabilmente il miglior disco in studio dei Deep Purple insieme a In Rock. Gli anni settanta sono stati veramente il periodo d’oro per l’Hard Rock mondiale, portato ai massimi splendori da gruppi come proprio i Deep Purple, o i Led Zeppelin, o gli Uriah Heep o i maestri Black Sabbath. In questa variegata scena i Deep Purple occupano un posto particolare, dovuto alla loro proposta musicale così travolgente, così perfettamente strutturata e contraddistinta dal fondersi perfetto delle melodie soavi dell’Hammond di Lord e dai riff metallici della Fender di Blackmore. Machine Head è il classico esempio di cosa sia un disco dei Deep Purple: canzoni esaltanti, grandi individualità e cura di ogni singolo secondo delle canzoni. Fatelo vostro.

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