Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Jacopo Prada
Genere: 
Etichetta: 
Lucifer Rising/Self
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Steve Sylvester - voce
- Emil Bandera - chitarra
- Oleg Smirnoff - tastiere
- Glenn Strange - basso
- Dave Simeone - batteria

Guests:
- Clive Jones - flauto e sassofono


Tracklist: 

1. Give'Em Hell (04:10)
2. Venus' Gliph (05:11)
3. Der Golem (04:49)
4. Shock Treatment (03:18)
5. Absinthe (04:05)
6. Another Life (04:03)
7. Psychosect (03:32)
8. Heck Of A Day (05:59)
9. S.I.A.G.F.O.M. (06:08)
10. The Healer (04:18)
11. Time To Kill (03:21)
12. The 7th Seal (08:11)

Death SS

The 7th Seal

Eccolo finalmente il nuovo lavoro dei Death SS, che esce a distanza di quattro anni dall’ultimo Humanomalies. Steve Sylvester, storico leader della band italiana, aveva già anticipato in un’intervista a RockLine.it molte preziose informazioni in anteprima riguardo a The 7th Seal. Niente era stato lasciato al caso per questa importante uscita discografica, a partire dal titolo, dotato di un profondo significato simbolico. Il disco rappresenta infatti il settimo sigillo, l’ultimo capitolo di un’era che quindi si chiude, dando vita così a parecchi dubbi sulla possibilità di risentire o meno i Death SS in futuro. Nonostante lo stesso Steve abbia rassicurato tutti dichiarando che The 7th Seal non sarà necessariamente l’ultimo album del gruppo, numerosi fan hanno timore di non rivedere forse mai più uno dei complessi fondamentali per il panorama Metal nazionale e non solo. Soltanto il tempo potrà rivelare la soluzione a tale enigma.

Prima di inserire il cd nel lettore è necessario spezzare la chiusura (adesiva o di ceralacca in base all’edizione posseduta) che sigilla la confezione, un gesto tanto semplice quanto ricco di valore metaforico. L’artwork è particolarmente curato, come ormai d’abitudine per quanto concerne i Death SS. Che Steve Sylvester fosse una persona molto precisa ed interessata davvero a tutto ciò che fa già lo si sapeva ed il cofanetto che racchiude The 7th Seal non fa che confermare quest’impressione. L’immagine di copertina e le fotografie all’interno del libretto conferisco inoltre al disco un alone tetro, quasi diabolico, in perfetta sintonia con le sonorità proposte dal combo italiano.

The 7th Seal è composto da dodici brani assai vari fra loro e di natura quasi contrastante. Give ‘Em Hell, ad esempio, è il tipico pezzo pacchiano, diretto e facile da memorizzare. Non a caso dunque, dopo essere uscito pure come singolo, è stato posto in qualità di opener. Fin da subito la song appare coinvolgente, ben suonata e certamente adatta al suo ruolo. Occorre sapere infatti che Give ‘Em Hell è stata scritta per dare un inno alla ICW, ovvero la Italian Championship Wrestling. Proprio per questa ragione le liriche della track sono piuttosto banali, prive di elementi esoterici, come è giusto che sia in questo caso. L’anthem è dotato di cori ossessivi e riff massicci, contornati da un sound, in particolar modo di tastiere, orientato verso un Industrial in stile Humanomalies. I Death SS dimostrano così di continuare la loro evoluzione stilistica, tuttavia ciò appare ben più evidente in altre canzoni del platter, soprattutto in quelle maggiormente articolate.

Con Venus' Gliph comincia poi l’album vero e proprio, caratterizzato principalmente da introspezione e misticismo. La seconda traccia dell’opera presenta dei suoni decisamente Heavy uniti a continui effetti avveniristici, in cui si inserisce uno Steve in grandissima forma deciso ad accendere l’animo degli ascoltatori, come se i vent’anni passati a suonare in giro per il mondo non lo avessero provato minimamente. In alcuni passaggi però la voce del singer marchigiano viene alterata da speciali giochi sonori, ricordando perciò dischi particolari come Panic. Le liriche di Venus’ Gliph sono malinconiche e del tutto pessimistiche, proprio come la frazione conclusiva del pezzo, fatta di sole tastiere e caratterizzata da uno sconforto incredibilmente evocativo.

Una melodia d’altri tempi apre invece Der Golem, la quale narra di una tremenda creatura, nata da un antichissima leggenda ebraica, che non può essere contrastata né tanto meno annientata. Un gran numero di registi ha poi preso spunto da questo mito per creare pellicole terrificanti e la song dei Death SS sembra la perfetta colonna sonora per tali lungometraggi dell’orrore. Tuttavia il golem non deve essere pensato soltanto come una bestia spietata, dal momento che le diverse interpretazioni lo vedono a volte come un fedele servitore del proprio padrone, altre come il difensore del popolo giudaico dalle persecuzioni oppure semplicemente come un automa. In Der Golem i Death SS appesantiscono ulteriormente il proprio sound, rendendolo sì compatto, ma comunque melodico, specialmente durante l’avvincente refrain.

Shock Treatment, vista la sua immediatezza, ricorda chiaramente Give ‘Em Hell, con la quale ha in comune anche gli intensi cori. Si capisce immediatamente che la canzone diverrà un cavallo di battaglia della band negli eventi live, durante i quali apparirà ancora più travolgente. Tuttavia, forse proprio a causa dell’eccessiva linearità, la quarta traccia di The 7th Seal potrebbe stancare con facilità l’ascoltatore più esigente. Così non è invece per la seguente Absinthe, pezzo che potrebbe sembrare scontato ma che in realtà possiede tutte le carte in regola per poter diventare presto un classico dei Death SS. La canzone esordisce con il ritornello cantato praticamente a cappella da Steve e prosegue con continui inserimenti elettronici, in parziale contrasto con il tipico sound Heavy delle chitarre e della batteria.

Totalmente diversa è Another Life, ballad dal sapore tetro e rassegnato. Il pezzo è assolutamente imperdibile, qualcosa di unico ed eccezionale che mostra uno Steve Sylvester inedito e perfettamente immedesimato nel suo nuovo ruolo. Inizialmente ad accompagnare l’enigmatica voce del singer ci sono soltanto le tastiere, le quali creano un’atmosfera a dir poco surreale. Il ritornello riesce clamorosamente ad emozionare chiunque, tuttavia non si tratta delle classiche sensazioni che si provano ascoltando le restanti tracce. C’è un che di romantico in Another Life, tanto che se non fosse per tanti piccoli elementi non sembrerebbe più di ascoltare i Death SS. Solo un esperimento? Forse, ma senza dubbio una prova fantastica e le parole di certo non bastano per descrivere quest’autentica gemma maledetta della musica Metal.

Diversamente Psychosect dividerà i fan del complesso italiano. Gli amanti di Black Mass e Heavy Demons difficilmente apprezzeranno il settimo capitolo di questo album, al contrario, a coloro che hanno apprezzato Panic e Humanomalies la track in questione piacerà sicuramente, vista la somiglianza della stessa ai lavori citati. Psychosect non è comunque un capolavoro assoluto, così come la successiva Heck Of A Day, che però si rivela un buon pezzo Heavy oriented. Peccato purtroppo per la voce di Steve, stupidamente modificata tramite gli appositi strumenti, che poco si addice al sound lento ed ossessivo di Heck Of A Day. Fortunatamente sia l’assolo centrale che quello conclusivo, entrambi del buon Emil Bandera, riescono comunque a valorizzare enormemente il pezzo.

S.I.A.G.F.O.M. è l’acronimo che sta per Satan Is A Good Friend Of Mine ed è un misto fra le due canzoni precedenti. Essa è infatti ricca di componenti Industrial ed allo stesso tempo munita di un refrain di stampo classico. Assolutamente da ascoltare la sezione dove il pianoforte e Steve duettano graziosamente, così come il solo di chitarra, veramente inebriante. Il testo di S.I.A.G.F.O.M. può benissimo fungere da manifesto per tutti coloro che dentro di sé hanno un animo malvagio e vedono nella bontà solamente il seme della debolezza. Questi sono essenzialmente i Death SS: maligni, crudeli e perfidi come non mai.

Il riffing iniziale di The Healer riporta alla mente in modo inaspettato i Rammstein del 1997 ed il loro immenso debutto discografico: Herzeild. Naturalmente la song prende poi le dovute distanze dall’album in questione svelandosi però abbastanza scontata e ripetitiva, sebbene l’uso di percussioni particolari meriti una critica positiva e l’assolo sia elettrizzante come sempre. Decisamente superiore Time To Kill, ottimo brano che riassume in sé gli ultimi tre studio album dei Death SS. La breve durata della traccia permette alla stessa di non annoiare, malgrado certi passaggi vengano ripetuti un po’ troppo spesso. Pure Time To Kill sarebbe un potenziale inno dal vivo e potrebbe diventarlo, per saperlo basta aspettare il tour che seguirà l’uscita di The 7th Seal oppure i festival estivi a cui parteciperanno i Death SS.

Si arriva all’ultimo pezzo del disco con enormi aspettative, in quanto è ormai risaputa la partecipazione del grandissimo Clive Jones (Black Widow) in veste di flautista e sassofonista. In poco più di otto minuti si decide la carriera di un gruppo, giunto forse al capolinea o magari solo ad un importante punto di svolta. Il delicatissimo compito viene affidato alla titletrack, alla The 7th Seal di cui si è tanto parlato, la suite (così è stata chiamata, forse in maniera un po’ azzardata) che avrebbe dovuto meravigliare ogni singolo ascoltatore. Ebbene, l’attesa non è stata vana e quella che potrebbe essere l’ultima testimonianza musicale dei Death SS non può che essere considerata un capolavoro. Un incipit a metà fra il fantascientifico ed il retrò, un signor Sylvester che interpreta ogni singola parola con estremo entusiasmo, un giro di basso che sembra provenire direttamente da un altro mondo e poi il ritornello: straordinario, magico, a momenti commovente. Come se non bastasse esplode poi un’accelerazione ritmica, accompagnata da un chorus infernale, che raggiunge il culmine con l’ennesimo, magnifico, assolo. Clive Jones non può fare altro che impreziosire una canzone di per sé gia perfetta. Quando l’ultima, toccante, nota di piano delineerà la fine del disco una lacrima potrebbe bagnare il viso dei più affezionati a Steve e compagni, i quali, comunque vadano le cose, hanno salutano tutti nel migliore dei modi possibile.

The 7th Seal non è un platter semplice da assimilare e da capire, nonostante al suo interno siano contenute due tracce alquanto lineari. Another Life mostra il lato interiore più sentimentale di uno Steve Sylvester che non smette mai di stupire, mentre la titletrack va necessariamente classificata come una delle migliori canzoni mai scritte dai Death SS. I soliti invidiosi si sono aggrappati ad una stupida scusa per rovinare l’attesa per l’uscita dell’album, affermando che la copertina di The 7th Seal è identica a quella di Rebirth degli Angra. La scultura nell’immagine rappresenta alla perfezione i Death SS del 2006 e non poteva quindi esserci di meglio per presentare il disco. Se The 7th Seal è effettivamente l’ultima uscita discografica di Steve e soci allora vorrà dire che non poteva esserci fine migliore, altrimenti saranno tutti felici per il grande ed atteso ritorno sulla scena. Comunque vada, Steve Sylvester rimarrà sempre un personaggio straordinariamente unico e chi ha avuto l’onore di parargli direttamente lo sa bene. Il settimo sigillo è stato spezzato, il cerchio è chiuso, ma i Death SS vivranno in eterno, perché, come dice una celebre canzone, il male che gli uomini compiono sopravvive anche dopo la loro morte.

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