Voto: 
7.2 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Inside Out/Audioglobe
Anno: 
2005
Line-Up: 

- Devon Graves aka Buddy Lackey - chitarra, voce, flauto, pianoforte

- Adel Moustafa - batteria

- Roland Ivenz - basso

- Roland "Rolls" Kerschbaumer - chitarra




Tracklist: 



1. Prelude: Time and Pressure (01:40)

2. A Flight on an Angels Wing (04:31)

3. To My Beloved… (05:56)

4. Don’t You Ever Hurt? (04:56)

5. Some Sane Advice (03:57)

6. Let the Hammer Fall (04:03)

7. Waiting in Line (06:34)

8. Someday (01:34)

9. My Dying Wish 4:01)

10. A Fistful of Bended Nails (05:25)

11. The Long Ride Home (04:20)

Deadsoul Tribe

The Dead Word

Quattro album in quattro anni è un’ottima media per una band che sta vivendo un periodo di transizione del proprio sound; e i Deadsoul Tribe, dopo aver prodotto nel 2004 l’inusuale quanto poco convincente The January Tree, cercano di risvegliarsi da quel torpore invernale con The Dead Word.
L’artwork è sicuramente molto meno emblematico del grande albero impresso su The January Tree: qui appare uno scheletro di un angelo, quasi sbiadito e consumato dal tempo. Devon Graves ci sembra già misterioso nella copertina e nell’introduzione Prelude, Time and Pressare, in cui voci si susseguono confusionarie, senza significato e senza una meta.
Le voci si perdono così, infinite, finché giunge il momento dei ritmi tribali disegnati dal percussionista Adel Moustafa; in un’atmosfera Alternative mesta e connessa profondamente alla radice dei connazionali Tool, prende forma la prima vera traccia di The Dead World, ovvero A Flight on an Angels Wing, angosciante nel suo andamento, spaventosa nella voce di Graves che cerca di ricalcare quella di Maynard James Keenan (Tool).
Il processo di allontanamento dal passato Progressive è stato completato dai Deadsoul Tribe che, basandosi sui giochi delle sezioni ritmiche, hanno valicato la soglia dell’Alternative più riflessivo e sommesso.

Nonostante sia avvenuto questo processo di ricerca di un sound personale, spesso le canzoni sono intrise di un alone sì tenebroso ma non pienamente trascinante. Monotoni nella loro struttura e mai esposti a cambiamenti repentini che possano destare l’ascoltatore sono episodi come il terzo To my Beloved…, costruito sui giri contorti del basso e il quinto inaspettato Some Sane Advice, che non è neanche omogeneo al contesto dell’opera.
Molto convincente è invece il quarto capitolo di The Dead Word, il bellissimo Don’t You Ever Hurt?, che prosegue la direzione presa con The January Tree: pur non essendo perfetto a livello di song-writing, esso subisce dei buoni cambiamenti al suo interno, che non annoiano all’ascolto e che anzi contribuiscono ad impreziosire le composizioni di Graves.
Anche Let the Hammer Fall è votata ad evidenziare i giochi di Moustafa, oltre a valorizzare alcune aperture melodiche presto riprese dalle chitarre Alterantive distorte e costanti.
La voce di Graves cambia diversi registri tonali, risultando eccellente nell’approccio, ma leggermente dispersiva, non in grado di assumere il ruolo di filo conduttore all’interno di ciascuna canzone.
Waiting Line è la più cupa del full-lenght, a metà tra l’ultimo periodo dei Katatonia e il grande Lateralus dei Tool; sembra quasi che, influenzati dall’Alternative odierno e oscuro, i quattro americani stiano ancora cercando un sound rappresentativo, costituito solo da elementi attribuibili ai Deadsoul Tribe e non ad altre bands. Da qui si può comprendere l’inserimento a sprazzi di un flauto abbastanza strano e il cantato corale ben definito, ma non totalmente apprezzabile. Tuttavia la canzone scivola via veloce con la sua atmosfera tetra, quasi una rivisitazione in chiave moderna dei primissimi Black Sabbath.

Prima del gran finale, ecco appare un breve intervallo di pianoforte e voce, certamente ben riuscito per la sua linearità avvolgente, che colpisce con raffinatezza e compostezza; Someday però non ha molte connessioni con il resto delle tracce, in particolare con l’elettronica My Dying Wish, cibernetica sperimentazione dotata di buoni intermezzi vocali; non si comprende più l’ambito musicale che il gruppo vuole esplorare, perché la traccia, sebbene ottima trovata compositiva, è parecchio distante dalla prima parte del cd.
Stupenda nell’inizio è A Fistful of Bended Nails nella sua attesa verso un’esplosione sonora che mai avverrà: poi i Tool si impadroniscono nuovamente di Devon e dei suoi tre compagni di viaggio, escludendo quasi completamente gli interventi delle chitarre e prediligendo le strutture ritmiche.
Più tirata e cadenzata al tempo stesso è The Long Ride Home, un’altra di quegli episodi Alternative pensati e plasmati con cura, ma sempre fin troppo lenta nel suo depressivo incedere.

Certamente più piacevole di The January Tree, The Dead Word non costituisce però un capolavoro del genere: anzi, la strada è sempre più in salita per i Deadsoul Tribe in previsione di prossime uscite, ma già Devon ci aveva stupito in passato con i suoi leggendati Psycothic Waltz. Tutto è possibile, perché le idee straripano; ciò che serve ora è saperle organizzare, puntando ad una musica più votata all’impatto.

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente